«Dormi, se puoi. O svegliati, se vuoi. Hai una tazza di caffè per scegliere di svegliarti, o un bicchiere di vino per lasciarti dormire».
Aprì gli occhi respirando a pieno l’odore della pioggia d’estate. Fa sempre una strana impressione la pioggia, d’estate. Forse perché arriva, così calda e odorosa, così rinfrescante e piacevolmente imprevista, solo per mostrare quanto in verità sia da stolti cullarsi nel calore estivo, sperando che possa durare per sempre, quando invece è così effimero e di durata finita. Piccola legge incontrovertibile.
«E non temerai di venir folgorato, perché sai bene di essere tu la folgore».
E allora, in fondo, era anche normale che sentisse addosso un po’ di malinconia. Quella sensazione a metà. Quella dolce tristezza in cui è piacevole, a volte, cullarsi. Quasi-rassegnazione ad un desiderio inappagato perché inappagabile.
Spesso, poi, alla malinconia si aggiunge la tendenza ad insinuare, giusto per un istante, il dubbio anche su ovvietà. Come: "è" si scrive con l’accento grave o acuto? Grave, diamine, che dubiti? No, niente, fai finta che abbia detto nulla e grazie per tutto il pesce.
In queste situazioni, dunque, si dovrebbe ascoltare questa canzone.
Dormi, dormi.
Al buio, s’accendono pupille, attorno si dilatano, si posano, rimangono nell’ombra. E aspettano.
Al buio, sepolte ancora vive branchie che si affannano, han denti di falena, ma nell’ombra… si spengono.
Al buio, nel vuoto di vertigine anche l’ovvio è in bilico, la notte ha un occhio solo appeso in ombra, finché avrà un’ombra di sobrietà.
No, buio! Per altri è già mattino, per me è cielo capovolto, il sogno dorme a riva, aspetta l’onda, aspetta l’ombra, e canta l’ombra, e poi nell’ombra… ritornerà.
(Quintorigo, Illune)
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