Bolle di sapone. Aleggiano luccicando in mille tenui colori. Attratto, ti azzardi a sfiorarle e – pop! – svaporano. Ma cosa sarà mai, in fondo, quando fra le mani hai una piccola biglia, calda e luminescente, dai riflessi carichi di verde, poi viola, poi porpora, vinaccia e blu oltremare?
E alla fine questo continuo giocare sfianca, è vero. Ma continueresti ancora a toglier tempo al tempo, o cercheresti il modo di fermarlo o allungarlo all’infinito, ancora una volta. Rinunceresti a tutto il resto, anche solo per un’ultima deroga, un’ultima tregua.
Poi c’è il tempo delle forme. Per l’ennesima volta mi hanno detto che la forma precede il contenuto. Ormai come dargli più torto? Solo che ora sono io ad esibirmi a ridicolo argomentatore, e forse davvero è utile, forse non vorrei.
E infine c’è il tempo della pioggia. Oh, pioggia, dopo tante invocazioni finalmente hai avuto il tuo grand retour de grande classe! Beh, se l’avessi fatto domani, magari, sarebbe stato un tantino meglio. Ma fa niente, fa niente. Sei stata, ancora una volta, un piacevole imprevisto. E prendete nota, dannati meteopatici, noi siamo il vostro contrario.
Ma scoppio tutte le bolle di sapone quando meno te l’aspetti, ti rubo la biglia dalle mani e la lancio ad anni-luce da qui, ti nascondo il tempo e sembrerà che sia volato troppo in fretta, ti impongo un contenuto che non potrai più forgiare.
E la pioggia?
La pioggia laverà via il tuo splendore.
E io continuerò a cercare quel puntino luminoso laggiù.
Sì, sempre quello. Non cambia mai, ma è sempre bene così.
Cenere.
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