Sono una nuvola, che scivola leggera sospinta da venti ora impetuosi ora così delicati. Sospeso così in alto da poterti comprendere nell’insieme, contemporaneamente scorgere i dettagli, e guardare con stupore i movimenti sinuosi dei tuoi confini. I tuoi limiti. Sei troppo lontana, ormai, perché possa riconoscere quei dettagli che mi distinguano dalle altre. Tante piccole nuvole si uniscono per caso, o per fortuita coincidenza, lungo la strada, sembrando una grande, lunghissima filare. A volte mi scontro, esplode il mio tuono roboante, le mie lacrime bagnano il tuo viso, sciolgono la tua maschera leggera.
Sono un treno. Lo ero già, non lo sono diventato di nuovo. Ma mi son ritrovato fermo alla stazione più inutile, proprio quando invece avrei dovuto correre ancor di più, verso la fermata più dolce. O al capolinea. Chissà se arriverà mai il capolinea. Di certo, una volta arrivato, non tornerò più indietro. E ho bisogno di correre, correre ancora.
A volte mi chiedo se mi penserai. O se mi pensi. O piuttosto mi cercherai. Mi chiedo se capirai tutto questo, e se sarà troppo tardi o troppo presto. Mi chiedo cosa farai, se sceglierai o ti nasconderai, se sarai felice o perennemente inquieta, se sarai qui o te ne sarai andata. Se ti raggiungerei ancora, se ti troverei cambiata, o se ancora una volta scoprirei che è la solita stupida trovata.
Perché ieri mi hanno raccontato per l’ennesima volta di una storia iniziata così bene e finita così male.
E avrei voluto piangere. E urlarvi contro tutto il mio disprezzo per la delusione di cui vi rendo tuttora colpevoli. Complici. Correi.
Mi spie[ghe]rai?
Davvero, lo farai?
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