Il problema è che era immerso nei suoi pensieri, e sulle prime non se accorse.
Immerso sul serio. Come se i pensieri fossero liquidi, un lago denso e caldo in cui sprofondare delicatamente in un’ipnotica apnea. C’era un po’ di tutto, tra impegni da rispettare, ricordi da conservare, pensieri da realizzare, e libere associazioni che si perdono in infinite diramazioni, condensando passato, presente e futuro in un’unico, copioso flusso di idee. Uno di quei momenti in cui, mettendo a fuoco il vuoto, si ha l’impressione che il volto assuma da sé un’espressione a volte triste, a volte sorridente, a volte serena, a volte semplicemente inebetita.
E sulle prime non se ne accorse, quando camminando alzò per caso lo sguardo e lo scorse in lontananza. Ancora una volta riconosceva la sua figura, man mano più chiara nella penombra dei lampioni, quell’espressione inquieta come la sua camminata ricurva e durissima. Lui, che conosceva da quando era piccolo. Lui, che ogni volta vorrebbe raccontargli tante cose ma non sa mai bene che dire. Lui, che ogni volta puntualmente non ti riconosce nei rari incontri per strada, e puntualmente, con un po’ di insistenza, ricollega, si scusa, e ti intrattiene per qualche minuto, per poi salutarti all’improvviso e proseguire per la sua direzione.
Dicono che sia pazzo. Che soffra di schizofrenia o qualche altra dõença, real ou suposta.
A me invece ricorda un cane che ogni volta osservo lungo quella stessa strada.
Abbaia rabbioso ringhiando contro figure intangibili quand’è al guinzaglio.
Ma scondinzola sereno quando, a volte, si sente un po’ più libero.
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