Ti amo perché
ci sei sempre
quando ho bisogno di te
ma soprattutto
quando non ne ho.
Ti amo perché
ci sei sempre
quando ho bisogno di te
ma soprattutto
quando non ne ho.
Ci pensi mai alla solitudine? A quando sei da sola sul tram, con le tue cuffiette del cazzo per proteggerti dalla gente intorno, che però ti guarda, ti fa sentire così scomoda, anche quando ti schermi dietro i vestiti più grandi che puoi? Quella gente non ti conosce, non ti pensa, quella gente pensa ai fatti propri, e tu sei solo una formichina in mezzo ad un mare di formichine che passano senza lasciar traccia. Ma tu lo sai che le formiche la lasciano eccome, una traccia. Un segno. Un contributo. E quelle intorno a te lasciano contributi fastidiosi, che ti toccano senza toccare, che graffiano senza far male. Queste cazzo di formichine ti hanno già osservato, giudicato, messo in relazione, e in quel momento le cuffiette non ti bastano più, serve qualcos’altro. Qualcun altro. E quindi, Mina, ci pensi mai alla solitudine?
La gente non capisce.
Io amo mio fratello.
E lui ama me.
In due siamo invincibili,
soli siamo inutili.
Ogni dieci anni,
penso agli scorsi dieci,
mi vergogno,
li cancello,
custodico gelosamente il poco che rimane,
e penso:
Adesso basta, sono diventato grande.
Per i prossimi dieci anni.
Sara si è vestita di tutto punto.
Sneakers nuove,
Calze nere,
Gonna verde smeraldo,
Camicia bianca,
scollata il giusto necessario,
E un coprispalla nero.
Ha un pendente d’argento che doveva far rima con gli orecchini, ma ha avuto un ripensamento all’ultimo secondo, e ha optato per un paio viola, che rimandano al reggiseno. Di pizzo. Che nessuno vedrà. È proprio quello il punto.
Sara è annoiata.
Questa festa fa schifo,
I suoi amici sono già ubriachi,
E non c’è nessuno di interessante.
Soprattutto,
non c’è Nico.
Sara vuole tornare a casa.
Appena finisce ‘sta birra.
Anche se, magari.
Di tutte le cose belle del venerdì sera, quella che piace a me è tornare a casa a piedi. Le luci della città sono calde, fioche. Mi siedo su una panchina in cima al castello e guardo la vita scorrere lenta laggiù. Formichine. Stanche, ma ancora indaffarate. Sempre indaffarate.
Mi si accosta un tipo.
– Hai una siga?
– Certo, tieni.
– Ci facciamo una cannetta?
– Ok.
Io e Tizio,
seduti su una panchina,
a fregarcene del vento.
Non riesco a sopportare quelli che riescono a fare quelle robe illegali lì. Tipo quando uno parcheggia sulle strisce e poi va a casa tranquillo. Madonnasanta quanto mi fanno incazzare.
L’altra sera ho chiamato la Polizia, ho dovuto insistere un po’ ma alla fine hanno portato via la macchina. Stamattina mi sono ritrovato la buca delle lettere piena di merda. Nunzia dice che è una coincidenza, qualche ragazzino che ha alzato troppo il gomito. Ma io lo so che è stato lui, il tizio delle strisce. Ha proprio la faccia da stronzo mafioso.
Vorrei una casa sul mare. Lontana da tutti. Vorrei solo il suono delle onde, il fruscio dell’erba, i gabbiani. Sono troppo stanca e troppo sola per andare. E ho troppa paura di questo posto per restare. La sera non dormo. La settimana scorsa sono entrati in casa mentre dormivo. Zingari, di sicuro. Ogni volta che sento un rumore mi affaccio alla finestra, o alla porta, con un coltello più pesante della mia mano. Se qualcuno mi attaccherà, non mi servirà a niente.
Lui.
Penso a lui e piango.
Lui mi faceva sentire al sicuro.
Ora sono in balìa delle onde.
Vecchiadimmerda. Ogni volta che torno a casa sta sempre lì, sul pianerottolo, porta socchiusa. Mi scruta. Scruta tutti, è vero, ma a me sembra che guardi in particolare proprio me. Si è innamorata di me, la stronza.
Scommetto che è stata lei a uccidermi il gatto.
Mino mi manca tanto.
Quando avrò 7 anni,
farò il giro del mondo,
avrò imparato tutto,
metterò la crema antirughe,
comprerò il SUV,
mi scoperò una 50enne,
avrò tre lauree,
e nessun lavoro.
Smetterò di fumare,
ché avrò così tanti soldi,
che comprerò solo robebbuone,
e le butterò dopo tre giorni,
ché poi puzzano,
come gli ospiti,
butterò pure quelli,
ché tanto la ggente non serve.
Ma soprattutto,
(soprattutto),
non morirò
mai.