Category: Story

  • Per aprire tutti i cancelli.

    – Ciao.
    – Ciao!
    – Oddìo, vieni qui, stringimi forte, mi sei mancato da morire!
    – Anche tu, maledizione…
    – Beh, che mi dici?
    – Partiamo!
    – Eh?
    – Partiamo, ho detto!
    – In che senso?
    – Nel senso che adesso vai a casa un attimo, prepari la valigia, ti cambi, e ce ne andiamo.
    – Ma dove? Per quanti giorni? No dài, mi stai prendendo in giro…
    – No, macché, partiamo davvero, ho la valigia nel portabagagli! E comunque non importa dove e per quanto… noi partiamo, dove ci va di andare andiamo, quando ci va di fermarci ci fermiamo, quando ci finiscono i soldi torniamo. Non ti preoccupare, ho pensato a tutto!
    – No scusa, ma pensato a cosa se non sai neanche dove andare?
    – Oh, insomma, quante storie: ti fidi?
    – Ma se ci siamo conosciuti tre giorni fa!
    – Sì, ma non c’entra… io mi fido di te, per esempio, e so che non rifiuterai!
    – Invece dovrò deluderti, io non posso partire!
    – Voglio farti vedere una cosa prima.
    – Cosa?
    – Devo portarti prima in un posto.
    – Sì ma non partiamo eh?
    – Sì, ho capito, non ti porto a Bombay, è ad un paio di chilometri da qui.
    – Ah ok.

    Je ne veux pas travailler,
    je ne veux pas déjeuner,
    je veux seulement l’oublier,
    et puis je fume.

    Je ne suis pas fière de ça
    vie qui veut me tuer,
    c’est magnifique être sympathique,
    mais je ne le connais jamais.

    (Pink Martini, Sympathique)

    – Sai chi era questo?
    – Tuo nonno.
    – No, era un vecchietto che conobbi anni fa per caso.
    – E come l’hai conosciuto?
    – Per caso, ti ho detto.
    – Vabbè, qualche dettaglio magari…
    – Lascia stare. Comunque: tutti dicono che si è suicidato per la morte della moglie. Ma io parlai con lui qualche giorno prima, e mi disse la verità: era insopportabile il fatto che fosse costretto all’immobilità. Ha passato tutta la sua vita viaggiando, in qualsiasi modo, anche solo per qualche giorno. Mi diceva di viaggiare, viaggiare sempre, perché era il solo modo per capire davvero ciò che c’è fuori, e per poter poi vedere la realtà che vivi con occhi sempre diversi. Ma soprattutto aveva un bisogno viscerale di viaggiare, lo faceva ogni volta che voleva distaccarsi un po’ da una realtà che gli stava stretta. Paradossalmente si rilassava da morire nell’affannarsi a gironzolare qua e là per posti sconosciuti e fermarsi ad ammirare dettagli che per chiunque altro sarebbero parsi insignificanti.
    – E tu quindi vorresti partire per rilassarti?
    – Bah, anche. Voglio dire, ci son tante cose che possono farti rilassare… non so, una sigaretta, una canna, una bottiglia di rum, una sega, leggere un libro, ascoltare musica, pogare ad un concerto, e per i più raffinati torturare cani o lanciare sassi dal cavalcavia. Ma partire, senza meta, scappare chissà dove e poi tornare, è una sorta di eremitaggio leggero che a volte diventa davvero impagabile. Ma a me serve più che altro per riempire la mia testa di qualcosa di fresco, nuovo, diverso. Non è questione di dimenticare, si tratta proprio di sovrastare un cumulo di cadaveri con un monumento sublime.
    – Capisco.

    – Allora?
    – Allora resto qui.
    – Ah. Sei sicura?
    – Sicura.
    – Perché?
    – Perché io sto bene. Non ho bisogno di scappare.
    – Non è scapp…
    – Neanche di sovrastare.
    – Lo spero per te, di cuore. Addio allora.
    – Arrivederci.

  • I wish you candles, flowers, sun. Forever.

    Un giorno Bernie, durante la sua solita passeggiata con Cerbero, notò lungo il sentiero una scia fatta di piume. Alcune erano insanguinate, altre di un candore brillante, tanto che fu tentato inevitabilmente di prenderne un paio. Cominciò a rimirarle, a notarne la struttura ancora perfetta, l’odore insolito e piacevole. Cominciò a chiedersi quale volatile potesse mai generare delle piume così belle, ma soprattutto perché ne perdesse così tante nonostante sembrassero forti e salde.

    Incuriosito, decise di inseguire la scia.

    Cerbero, come sempre, cercò di dissuaderlo con tutt’e tre le sue teste. Ma Bernie, ormai abituato, gli spiegò ancora una volta che preferiva accettare il rischio di un dispiacere, pur di affrontare la realtà.

    Dopo qualche decina di metri la scia si interruppe, concludendosi in un ammasso di piume e sangue. Bernie non riusciva a capire. Si avvicinò alla pozza, il sangue sembrava ancora fresco, di un colore più chiaro del solito. Ad un certo punto sentì una goccia cadere sulla testa, alzò lo sguardo e notò qualcosa fra i rami più alti dell’albero accanto.

    Un uomo con gli occhi gonfi di lacrime.

    Senza accorgersi della sua presenza, l’uomo proseguì nel suo piccolo rituale. Con un sorriso soddisfatto, prendeva una piuma, con uno scatto improvviso la staccava, tentando di smorzare la smorfia di dolore. Poi la guardava e perdeva una lacrima, che faceva cadere insieme alla piuma e ad una goccia di sangue. E tutt’e tre giungevano lentamente a terra nello stesso istante. Fissava nel vuoto per qualche minuto, poi ricominciava.

    Dopo poco Cerbero, spazientito, produsse un latrato assordante.
    L’uomo sull’albero trasalì. Guardò in basso, spaventato.

    – Perché siete qui?
    – Ho adorato la magnificenza delle tue piume, così le ho seguite. Ti ho visto ripetere questo rituale, e mi ha incuriosito. Ti ho visto sorridere mentre lacrimavi, ma ho provato una fitta al cuore per ogni piuma che staccavi, come se fossero mie.
    – È così infatti.
    – Che vuoi dire?
    – Tempo fa sono stato un pastore. Poi un demone. Poi un fiore appassito. Tempo dopo, infine, sono stato un angelo, con un paio d’ali che non sapevo più usare. Ma ora voglio essere un uomo. E quell’uomo sei tu.
    – Non riesco a capire.
    – Vedi, ogni volta che stacco una piuma va via una parte di me, che si divide nelle sue tre facce. La piuma porta in sé la magnificenza, il sangue conserva il dolore, la lacrima porta via la nostalgia. Quando avrò finito molto probabilmente morirò. Ma sapevo che tu, proprio tu, saresti giunto qui e mi avresti trovato. Io ti conosco, così come conosco anche il tuo fido compagno. E so che tu raccoglierai questa pozza, la nasconderai nel tuo scrigno più prezioso, e custodirai gelosamente il mio passato. Che diventerà il tuo.
    – Perché dovrei farlo?
    – Perché, Bernie, deve giungere il momento di andartene da qui, oltrepassare quella montagna. È lì dietro ciò che ti ostini a cercare di capire in tutt’altro modo. E non ci potrà mai essere nessun aiuto, se non il dono del tuo passato, perché devi impegnarti con tutto te stesso, e con le tue sole forze. Hai sempre sperato nell’aiuto di una fata, e solo ora hai provato la delusione di aver sprecato mesi senza riuscire. Anzi, hai provato spesso momenti di profonda contrizione, isolamento, repressione. Questo è il momento.
    – Non riesco.
    – Riuscirai, invece. Riuscirai da solo.

    Bernie si sedette, strinse a sé Cerbero, e passò tutta la notte sveglio seguendo quest’angelo nel suo lento percorso verso una dolce morte. E, man mano, si rendeva conto di vedere davvero in quelle piume le reminiscenze di un passato che aveva voluto allontanare a tutti i costi.

  • Fall-out.

    Oggi Alvin si è svegliato presto.

    È incredibilmente di buon umore: sta per riuscire ad intercettare finalmente una stazione radio che gli dirà tra quanti giorni il livello si sarà abbassato abbastanza da permettergli di lasciare finalmente lo scantinato.

    Se prova ad immaginarsi cosa lo aspetterà, sente un breve fremito di paura salirgli lungo la gamba. Probabilmente sarà tutto in cenere. Oppure, chissà, troverà alberi ancora in piedi e bestiame agonizzante. Oppure potrebbe non poter più aprire la porta perché le macerie della sua casa, o magari peggio ancora cadaveri putrescenti, hanno ostruito la porta. E cosa fare in quel caso? Si vedrà.

    No, non c’è nulla che possa turbare la serenità di Alvin.
    Ha la consapevolezza che la guerra è finita.
    Che non ci sarà più tensione, non ci saranno minacce, non ci sarà attrito fra le parti, non ci saranno manifestazioni di protesta ad oltranza, non ci saranno scandali diplomatici su tutti i giornali.

    Non ci
    sarà
    più
    niente.
    Tutto qui.
    Tabula rasa.
    E quando è così,
    e tutto intorno svanisce,
    ma hai voglia di ricominciare,
    vedi in quella tabula rasa la base,
    per un nuovo mondo da ricostruire.

    O altrimenti, se volete,
    il proemio di una nuova vita.

  • Stanotte Dio ha telefonato in America.

    – Pronto?
    – Pronto, sono Dio.
    – Ehm… ma non doveva essere Satana?
    – In che senso?
    – Non è uno scherzo dello Zoo di 105?
    – Mi sta prendendo in giro?
    – Potrei dire lo stesso, scusi.
    – Senta, ma secondo lei, con tutto ‘sto riserbo sui numeri di cellulare, ‘sta privacy qua e privacy là, come potrei mai conoscere il suo numero (che tra l’altro chissenefrega, mica la sto chiamando davvero), considerando che lei stesso se l’è comprato apposta apposta per darlo a pochissimi eletti?
    – Beh, il fatto è che l’ho dato alla Luisa – sa, la brunetta no? – e si sa, quella è un po’ bocca larga…
    – Senta, mi sta facendo innervosire, e se ha letto l’Antico Testamento sa benissimo cos’è successo quando mi son girati un po’ i chitarrini. Allora, le dico subito: c’è questo sito…
    – Un attimo, mi chiamano sull’altro… Pronto? Ehi ciao Luisa! Ma si può sapere che hai combinato? Hai dato l’altro numero a qualcuno per caso? No, lo so, lo so… ma sai cos’è, sto parlando proprio adesso con un mezzo matto nevrotic…
    – NON SONO MATTOOOOAAARGH!
    – …vabbè senti Luisella bella forse è meglio se ti richiamo più tardi… no è che sto tipo urla… devo cercare un modo per sbolognarmelo, sennò questo mi richiama… mmm sì, a dopo. Sìpprontoo?
    – Ecco, sì, pronto, alloraledicev…
    – Nonononomiascoltibenelei, come si permette di urlare in questa maniera?
    – M-ma mi scusi, è che lei…
    – Lei è uno screanzato! Mi dica cosa vuole e finiamola!
    – M-ma glielo stavo per dir… vabbè, c’è questo sit…
    – Dio sa quanta pazienza sto avendo con lei!
    – Ancora?! Sono IO quello che sa quanta pazienza sta avendo, e non solo LEI, ma soprattutto IO, che potrei mandarle Azrael e farla friggere in quattro e quattr’otto!
    – …
    – Taci ora eh, mortale?
    – Fa brutto, fa…
    – Allora senta, mi faccia parlare: deve chiudere un sito.
    – Che sito?
    noblogs.
    – Ma è scemo?
    – Scemo sarà lei! Faccia quello che le ordino.
    – Allora, a parte che qua siamo in America e ognuno può fare un po’ quello che cazzo gli pare e lei non mi ordina proprio niente, io noblogs non lo posso chiudere.
    – E perché?
    – Perché non c’è motivazione. E perché questo suo accento italiano di merda mi maldispone.
    – Miinghiaddammillarrobb… no mi scusi. La motivazione è semplice: è un focolaio pestilenziale di sovversivi che effettuano indagini nei confronti dei miei ministri.
    – Ma mi spiega perché il clero è una casta che non si tocca neanche con un po’ di sana satira? Che palle voi italiani.
    – Senta, non è questo. C’è clima di forte tensione nel nostro paese. Non ci si può fidare di nessuno. Secondo lei uno che dice: «Il Sismi da me diretto, mai, dico mai, ha svolto attività non consentite, tanto meno nei confronti di uomini politici, di magistrati o di giornalisti», non potrebbe voler forse dire che le attività oggetto dell’accusa le ha sì svolte, ma erano in realtà più che consentite? C’è una corsa allo screditamento altrui con modalità poco consone, e il gioco che questo sito tenta di difendere ne è l’ennesimo risultato.
    – Senta lei, io non so nulla di queste cose. Qui siamo in America, e anche qui ce n’è per tutti i gusti. Comunque mi ha scocciato, io sto sito lo blocco ma poi ve la vedete voi con quelli di Autistici/Inventati.
    – Non si preoccupi. Gli dica che ho chiamato io.

    Per fortuna ora va un po’ meglio, e il videogioco Operazione: Pretofilia è di nuovo online.
    God (un altro God, probabilmente) Bless America.

  • Pseudoadolescenziale II. With added mango juice.

    – Ti lascio.
    – Ah. Vabbè.
    – Vabbè? Tutto qui?
    – Beh, si capiva.
    – Da cosa?
    – Da come guardavi quel tipo nel b-movie di Nino D’Angelo che abbiamo visto la settimana scorsa. E poi da come ti si sono illuminati gli occhi ascoltando quella canzone napoletana anni ’70 nella macchina di Giovanni.
    – Mica siamo stati nella macchina di Giovanni.
    – Ah beh, col quella centrale atomica di altoparlanti che si porta in macchina non era di certo necessario.
    – …
    – …
    – Ma non vuoi sapere perché?
    – Cerchi soddisfazione?
    – Non fare lo stupido.
    – Ok, dillo.
    – Mi sono stancata del tuo motorino.
    – Che motivazione è questa?
    – Lo sapevo, non capisci.
    – Eh, mi sa proprio di no.
    – E ti permetti di fare anche ironia! Ma lo sai che strazio è per me salire su quel seggiolino scomodo, sempre col rischio di venir beccati dalla Polizia… e poi non possiamo andare mai da nessuna parte, perché non ce la fai colla miscela… e soprattutto quel rumore che ti fracassa i timpani… voglio proprio vedere come lo farai passare alla prossima revisione quello schifo truccato come una puttana!
    – Non dire così alla mia vespina bellina.
    – Perché, vogliamo parlare di tutte le volte che abbiamo rischiato la vita quando pioveva? E tutte le volte che i freni non frenavano e per puro caso non abbiamo baciato ogni volta il culo di chi ci stava davanti!
    – Poche ciance. Tutto qui?
    – Sì.
    – È la tua risposta definitiva? La accendiamo?
    – Sì.
    – Vabbè. Mi spiace soltanto che dovrò trovare qualcun’altra per inaugurare la mia nuova Punto. Sai, devo fare in fretta, arriverà giusto tra qualche giorno. Addio, cara!

    Ieri il tempo si è presentato col certificato medico.
    Però mi ha chiesto semplicemente 12 ore di PAR.
    Allora io, ingenuamente, gli ho detto sì.

    Ecco, non pensavo che avrei vissuto una giornata senza tempo.
    Non collocato nel tempo. Tempo che vola.
    E anche noi si volava, fra le banconote a vita breve, briciole e nutella, coperte, cappuccino schiumoso. Scivolando fra le tende impalpabili di un harem illuminato da candele profumate d’antimateria.

    Non aver fatto quasi niente eppure aver fatto così tanto.
    E le abitudini di un passato piuccheprossimo
    sembrano già un tenue ricordo.

    Cammino a una spanna da terra,
    col vento che solletica i piedi
    e mi spinge dolcemente in avanti.

    Aspetto il diadema del dolce ακμή.

  • Pseudoadolescenziale.

    Mi sono innamorata di te fin dal primo giorno. Ho sempre adorato il tuo modo di essere così sempliciotto, così tenero, quel particolare che ti rende una persona speciale, cara più di ogni altra. Voglio dire… non sei famoso, non sei figo come quel bonazzo da sturbo della D, non sei neanche ricco e giri con un Ciao scoppiettante, mentre i tuoi compagni di classe hanno le city car decappottabili con certi subwoofer sulle cui vibrazioni mi poggerei volentieri.

    Però mi fai impazzire, non so perché.

    Peccato che non mi caghi.
    Non mi fili manco per idea.

    Se mi mettessi nuda davanti a te e ti implorassi in ginocchio di considerarmi, probabilmente mi passeresti sopra con quel cazzo di Ciao come se fossi trasparente. Un T-1000 dovevo diventare! Almeno non mi avresti crepato la costola l’altra volta in palestra.

    Allora ho chiamato Gennaro D’Auria per vedere che si poteva fare… Ma lui, oltre a dirmi che avrei dovuto invocare Cicciput per una settimana fra un’Ave Maria e l’altro, mi ha propinato una di quelle sue tutine d’acetato tamarrissime dicendo che porta molta fortuna indossare gli umori del Mago. Ho dovuto nascondermi per una settimana, altrimenti mi avrebbero preso per un’eco-terrorista carica di bombe a gas nervino. E non ho risolto un bel niente.

    Ma la cosa che mi fa più incazzare è che non ti accorgi di nulla.

    Mi sono truccata, ho fatto manicure e pedicure due volte alla settimana, ho provato tutte le acconciature che il mio parrucchiere fosse in grado di immaginare, mi sono fatta bella e mi son ridotta in poltiglia, ho partecipato alle tue stesse manifestazioni, mi sono fumata una canna e ho asfaltato per tutta la sera, mi sono iscritta al Partito Marxista-Leninista d’Italia per vederti a quelle riunioni di comunisti nostalgici… e tu che fai? Non-mi-guar-di.

    E poi, ciliegina sulla torta, dopo che ho passato mesi a rifiutare proposte decenti e indecenti di certi stalloni che mi avrebbero fatto dimenticare tutti i cuoricini e i TAT che scrivo nei compiti di Greco… che fai tu? Ti metti con quel cesso.

    Ma vaffanculo va.
    Tu e quella Ideal Standard che ti porti sotto braccio.

  • Nenia.

    Una volta cedette, e scoppiò in un pianto disperato, senza motivo. Davvero, il motivo più lo si cercava più aveva perso senso trovarlo. Riempì una tazza di liquore e la bevve rincantucciato sulla sedia come si beve una tazza di cioccolata calda. Le due mani stringevano saldamente la tazza, un appiglio dal quale nessuno poteva tirarla via.

    Lui non riusciva a capire cosa stesse succedendo, ma decise di correre da lei al più presto. Aveva paura che potesse accadere qualcosa di grave. La trovò su una strada deserta bagnata mentre sperimentava il brivido vibrante di un testacoda. Lasciarono la sua macchina e lui la portò lontano, lontano. Lontano da tutto quello che poteva toccarla, lontano da tutto quello che poteva ferirla o poteva accarezzare le sue sinapsi in fibrillazione.

    Lei continuava a piangere a dirotto, singhiozzando. Lui non chiedeva perché, era chiaro che sarebbe stato inutile. Lei non avrebbe fatto lo stesso, l’avrebbe visto come un problema da risolvere, questo pianto immotivato l’avrebbe mandata nel panico. Ma a lui questo non importava. L’avrebbe fatto lo stesso, perché è fatto così. Perché a volte, a volte, non è poi così strano che ci siano cose che accadono o esistono indipendentemente dal conoscerne il motivo.

    Erano soli. Terra grigia, cielo grigio, mare grigio, lacrime grigie. Pianse ancora, ancora per molto, e molto ancora. Ogni tanto blaterava qualcosa senza senso, lui la consolava con rassicuranti risposte senza senso. Poi, pian piano, finì. Si sentiva meglio. Si sentiva al riparo. Erano loro due, e questo non era mai un problema. In quel momento era perfetto. Erano loro due, e avrebbe voluto che questo momento durasse sempre, per sempre. C’era sempre.

    Poi tornarono alla vita normale. Il mondo delle piccole abitudini e delle piccole cose da ammirare. Come se non fosse successo nulla. Nessuno ne parlò quasi più. Restò forse solo un piccolo ricordo fossile.

    Ricordo.

  • Però China, sempre China.

    Questa è la cronistoria dei mirabolanti avvenimenti in cui furono coinvolti due infedeli, miscredenti e mispatriottici. Costoro ebbero avversi il fato, il tempo e persino il Sole, abbattendosi convergenti sulle loro teste per punirli del loro cattivo operato.

    In quel giorno in cui ognuno è moralmente costretto a rendere omaggio alla memoria di coloro che diedero libertà al Popolo (e magari volendo sottostare anche alle tesi scalmanate di certi bambinoni che, non essendo ormai più possibile per loro giocare a Guardie e Ladri senza che la Pubblica Autorità li fermi ritenendo tale gioco una forma di giustizia privata, cercano soddisfazione in varianti da veri adulti quali Comunisti vs. Fascisti, possibilmente indossando di nuovo eskimo o pantaloni a zampa d’elefante, e magari portando con sé una fida molotov e professando lo scontro ideologico sul terreno della guerriglia urbana), o se volete quel giorno in cui si ricorda il più sfigato dei quattro evangelisti, i due decisero di liberarsi – per l’appunto – da queste tradizionali costrizioni e godere finalmente del Gran Sole della Ventura Estate.

    Non mi biasimerete, dunque, se vi confesso che è stato davvero opportuno l’intervento del fato per ostacolare quest’empio progetto. Fato che decise, infatti, di creare una coltre di Nubi tale da occupare tutta la porzione di cielo visibile, tanto che alla fine la decisione presa in quel primo momento dai due fu resa vana.

    Bianca e Bernie, che chiameremo appunto così per vari motivi, soprattutto per il fatto che anche questi due viaggiano su una cosa che è sostanzialmente una scatola di latta, decisero quindi di catturare dei pennacchi da alcuni Carabinieri che stazionavano da quelle parti, fissarli nel CCD (dandogli ogni tanto un’occhiata nell’LCD), e sgusciar via verso il Gran Castello d’Oriente, dove Yao aveva conservato il mantello della loro principessa in attesa che i messi lo reclamassero.

    Qui i due scoprirono che i giganteschi Draghi Cinesi, messi lì a guardia dell’ingresso, dormivano ancora. Per ingannare l’attesa, quindi, decisero di immergersi nella cittadella blu, dove speravano di poter acquistare delle nuove armature al Bazar Delle Cose Che Devono (re)Stare.

    Ma anche in questo caso il fato ha fatto sì che i due, dopo aver affrontato strade impervie, zigzagato fra dragoni rumorosi, tentato numerose strade (persino invocando lo Stregone d’Occidente), arrivassero a destinazione scoprendo che qualcuno aveva ostruito l’ingresso con pesanti sbarre di metallo.

    Delusi, ma non rassegnati, i due tornarono a chiedere spiegazioni di tale comportamento al pravo Yao, il quale rispose «Tua lagazza lasciale vestito ieli!».

    Quale verità avrà voluto nascondere questo semidio, noto per i suoi arguti indovinelli degni della migliore Sfinge? Come interpretare il suo gesto? Improvvisamente, però, un piccolo demone si introdusse nella conversazione e porse un oggetto a Bianca.
    Era il mantello.

    Subito controllarono che il Sacro Graal Digitale fosse ancora al sicuro del suo (neanche tanto) morbido tessuto. Ma non c’era! Era sparito nel nulla! Yao, in preda al panico, cominciò a balbettare qualcosa, finché non disse «Folse caduta su tavolo e poltato via tutto quanto lavandelìa!». Questo turbò non poco Bernie, che aveva colto nelle sue parole quanto terribili fossero le conseguenze di questa sparizione. Apocalisse. Yao parlava dell’Apocalisse, e non vi era nulla che si potesse fare per evitarla.

    Amareggiati, i due decisero quindi di tornare alla Reggia per riferire i dettagli del viaggio. Il fato aveva intuito che ormai era riuscito nel suo intento, e quindi decise di consolare (piuttosto sadicamente, bisogna ammetterlo) i due ritirando il suo esercito di Nubi e lasciando che il Sole bruciasse ancor di più la ferita del fallimento.

    Tutto questo non prima che un soldato della retroguardia delle Nubi avesse chiamato a raccolta i loro Corrieri Aviari per attaccare di nascosto i due sconfitti, inferendogli il colpo di grazia.

    I Corrieri si disposero in formazione e sparararono, con precisione indicibile, tutti nello stesso punto. Un lembo del mantello della principessa. Corroso e devastato per sempre, a monito di come la nemesis theon sia incontrovertibilmente unica fonte di vera giustizia.

    E fu a seguito di quest’ultimo evento, quindi, che i due tornarono, affranti, consolandosi l’un l’altro fra i Veli della Disperazione, nella Reggia del proprio sintetico essere.

    A futura memoria.

  • Cinismo.

    A volte mi sveglio all’improvviso. Forse è il freddo. Umido, condensa sull’asfalto, si insinua nelle ossa. La mia pelliccia non è più forte come un tempo, e ormai passo la notte a cercare un riparo.

    Da tempo non vedo più nessuno di quelli che conoscevo. L’ultima volta che ci siamo fatti compagnia per tutta la notte… la ricordo ancora, fu fantastica. Corremmo per chilometri e chilometri in lungo e in largo, spaventando passanti e urlando un misto di gioia e di rabbia. Sì, ci capita così. Poi però arrivò un gruppo di ragazzi annoiati e cominciò a spararci contro. Colpì uno di noi in corsa, uno spasmo lo fece saltare e rivoltare in volo. Piangeva. Non sapevo che fare. Uno di loro prese un masso enorme e, fra le risate, lo scaraventò con tutta forza sulla sua testa.

    Oggi ho trovato un pranzo eccezionale. Qualcuno ha fatto festa, e doveva essere una riunione di macellai, c’era tanta di quella carne che avrebbe sfamato un branco. Però ora ho sete, e intorno non c’è neanche una pozzanghera. Potrei andare da quell’anima pia che mi ha preso a cuore. Mi lascia sempre da parte una ciotola con dell’acqua. Ma sono così tanto stanco, e credo che sia troppo lontano. Meglio riposare.

    Il problema è che non riesco a dormire. Questa notte è impregnata di sogni ansiogeni. Soprattutto quando sogno lui. Lui che mi comprò in quel negozio appena in tempo, prima che finissi in un laboratorio. Lui che non era quasi mai a casa, e quando tornava mi strapazzava di coccole per ricompensarmi delle feste che gli facevo di cuore. A volte. Perché altre volte invece mi prendeva a calci, con tutta la forza che aveva, senza dire una parola e con gli occhi fuori dalle orbite. Sembrava che mi odiasse, che odiasse l’amore che provavo nei suoi confronti. Poi però un’ora dopo mi chiamava e mi coccolava come fosse l’unica cosa davvero importante. Importante per lui. Lui che mi portava ovunque, tranne quando si vedeva con lei. Lei che mi odiava, ed era una cosa che avvertivo anche senza parole che lo stigmatizzassero. Quando si avvicinava sentivo forte la sua ostilità, la sua insicurezza, e questo mi irritava tanto che mi trovavo a ringhiare senza neanche rendermene conto.

    Poi lui e lei si sposarono. E lei gli disse chiaro e tondo che non voleva un coso peloso che gli insozzasse la casa appena comprata da suo padre, e del quale in realtà non le era mai fregato nulla. A lei piacciono i canarini. Così un giorno mi fece salire in macchina. Non mi aveva mai portato in macchina con sé. Facemmo un viaggio lunghissimo, mi portò lontano. Avevo notato una ciotola con del cibo e un’altra con dell’acqua, ma non avevo né fame né sete. Era evidente che avesse litigato con lei per tenermi a casa a tutti i costi, e allora visto che la situazione era intollerabile aveva deciso di prendersi una pausa e farsi un bel viaggetto con me. Ma lui non aveva la valigia, e questo mi sembrava così strano.

    A un certo punto si fermò. Scendemmo insieme. C’era qualche palazzo intorno, ma nessuno per la strada. Pisolino pomeridiano. Mi tolse il collare. Era così strano sentirsi il collo libero da quella specie di catena. Era una fede nuziale tra me e lui. Ma lui la levò dal mio collo. Cominciai a provare una profonda angoscia. Lasciò le ciotole per terra. Poi cominciò a giocare con me. Lanciava un sassolino e aspettava che lo andassi a prendere per sgranocchiarlo e poi tornare indietro. Lo facevamo sempre. Allora no, non vuole abbandonarmi, mi sto preoccupando inutilmente. Andai a prendere il sassolino, lo sgranocchiai e tornai. Poi di nuovo. Poi un’altra volta ancora. E poi, al ritorno, non lo trovai più. Corsi verso la macchina, ma la macchina era già lontana. Mi si strinse il cuore. Era un vigliacco.

    Da allora ho sempre avuto diffidenza verso chi voleva portarmi con sé. Una volta un signore si stava facendo convincere dal suo figlioletto a portarmi a casa per accudirmi. Si avvicinò a me dolcemente, sembrava proprio intenzionato ad adottarmi. Ma io scappai via, non riuscii a tollerare il terrore di un ennesimo abbandono.

    Ora qualsiasi strada è il mio letto. Ora per esempio sono in una strada grandissima e desolata, non se ne vede la fine, e si scorge solo qualche luce in lontananza. Ci sono dei cartelli verdi lungo la strada, e strane strisce bianche per terra. È così comodo qui.

    Un rumore sempre più forte.
    Chi è?
    Spalanco gli occhi.
    Due occhi luminosi mi vengono incontro.

    Non posso scappare.
    Addio, mio amato vigliacco.

  • アマミ, ジュ. コメ アモ テ.

    Non ricordo più nulla, al di fuori di frammenti.
    Piccole esplosioni davanti agli occhi.

    Non ricordo più nulla.
    Ora ricordo.

    C’era un piccolo essere che voleva morire di una piccola morte, la cui presenza assonnata e silenziosa mi era ormai indifferente. E io continuavo a parlare, parlare, e ancora parlare. Non sentivo più il freddo, né la stanchezza, né il dolore. Non sentivo più il dolore, perché non sentivo più neanche il motivo di quel dolore. Non lo ricordavo già più.

    Eppure parlavo proprio di quello. Solo di quello.

    Parlavo del fatto che ci stiamo avvicinando alla guerra fra due stagioni, e io per l’ennesima volta dovrò essere spedito al fronte e cadere nell’ennesima battaglia persa. In realtà è un po’ come un curioso e triste rituale, che però adesso ho fatto mio e che, con un pizzico di titanismo, continuo a portare avanti insieme all’Anarchia. La mia piccola utopia vitale.

    Sono nell’avamposto che lotta strenuamente contro lo scorrere inesorabile del tempo.

    Perché alla fine sono un po’ romantico.