Category: Story

  • The Dumper, episode VII.

    Forse a volte preferisco restare nella mediocrità
    dell’espressione spruzzata a piccole dosi,
    che scoppiare d’un botto,
    rivoltando le carte in gioco della mia opera,
    e scoprendo che, alla fine, non resta più nulla.

  • The Dumper, episode VI.

    Mio dolce cuore,

    questa lettera è per te, prima di partire.

    Il tramonto è rannuvolato, annuncia pioggia. La pioggia arriva, e scompare subito. Il tempo mi è avverso, sia quello di pioggia che quello dei minuti che son passati da quando ci siamo visti. Ricordi? Quando ti accompagnavo a casa il giorno dopo ci confidavamo sottovoce di aver sentito la mancanza l’uno dell’altro. La mancanza di cosa, poi, non lo si capiva mai bene.

    Forse era la mancanza del tuo sorriso, dei tuoi occhi illuminati dai riflessi del sole, dei tuoi baci, delle tue carezze, del fare l’amore stringendoti forte i fianchi, stringendoti forte a me, nel culmine; e ancora: le sbronze, le scorribande in parchi desolati, rotolare nel fango e sporcarci, quell’acido che prendemmo insieme a casa di Sergio, il viaggio a Praga, la morte di mia madre e tu che mi sei stato vicino in ogni momento, le nostre liti che si risolvevano dopo cinque minuti in una cioccolata caldissima.

    E tante altre cose.
    Era tutto lì, in quel saluto,
    quando ripetevamo il piccolo gioco,
    di lasciarci ogni notte, per una notte.

    Ora, invece, per sempre.

    Ed è un gioco che odio,
    ma a cui sono costretto per un patria che non sento,
    per questo sistema che mi costringe a diventare un mercenario,
    pur di aiutare mio padre a sopravvivere.

    Ma, mio dolce cuore, ho conservato una foglia dell’albero del tuo giardino su cui ci piaceva poggiarci. Quella dove tu ti arrampicavi e io non ti seguivo per paura. Una volta però lo feci, ricordi? Lo feci davvero e strappai questa foglia. Questa foglia, amore mio, la brucerò, perché non la veda disgregarsi sotto lo scorrere del tempo, come la mia memoria.

    Le sue ceneri voleranno, delicate, nell’aria,
    come se seguissero la scia di una melodia.

    La mia dolce personale
    composizione musicale.

    E tu, l’inizio dell’inciso più bello.

  • The Dumper, episode V.

    Gli piace fischiettare.
    Adoravo sentirglielo fare.

    Ultimamente capitava solo quando era sotto la doccia.

    Ma il problema è che capitava solo una volta alla settimana.

  • The Dumper, episode IV.

    Erano in perfetta empatia.

    Se uno stava bene, l’altro stava bene.
    Se uno si faceva male, l’altro gridava "ahia!".

    Una volta, purtroppo, uno si buscò un brutto malanno.
    L’altro no.

    Si decise a lasciarlo,
    mentre posava l’ultima rosa.

  • The Dumper, episode III.

    Non può chiamarmi mentre sta scrivendo un anti-virus in PHP in preda ad un attacco di diarrea.

    Non tanto per l’attacco di diarrea,
    Quanto piuttosto per l’uso del PHP.

    Rivoluzionario sfigato.
    Vado a cercarmi un MVP.

  • The Dumper, episode II.

    Quando uscimmo per la prima volta mi misi in ghingheri. Lo feci aspettare anche un bel po’, lo ammetto, ma più mi guardavo allo specchio più volevo apparirgli perfetta. Poi, dopo una cena e una chiacchierata indimenticabile, ci baciammo, per ore ed ore. Le sue mani erano ovunque, ma soprattutto si affannavano sul viso, sui capelli. Questo mi irritava. Mi sentivo in disordine, con il trucco sfatto, i capelli scarmigliati. E quando tornai a casa mi guardai allo specchio, delusa: sembravo un rottame.

    Uscimmo per mesi e mesi, e tutte le volte fu la stessa storia. Più apparivo bella più lui cercava di distruggere il lavoro che avevo applicato con cura su me stessa. Sembrava quasi che mi odiasse in quei momenti, e avrebbe volentieri stracciato via quei vestiti, rovinato il trucco, scombinato l’acconciatura, per sentirsi rassicurato. A volte si eccitava nel vedermi sciatta, sfatta, con un’aria da drogata. Si divertiva a distruggere la mia forza, con violenza.

    In verità non mi ha mai graffiato, neanche per sbaglio.

    Ma lui è un saliromaniaco.
    E io non posso rovinarmi il trucco.

  • The Dumper, episode I.

    Erano troppo diversi.

    Lui si sentiva grande accanto a qualcuna più grande di lui.
    Lei invece preferiva star dietro qualcuno più grande di lei.

    Faceva troppo male.

  • Τα γλυκιά μου μικρή νύχτα.

    Nella mia piccola dolce notte piove a dirotto. Il pomeriggio caldo lascia ancora il posto alla notte gelida, che punge i piedi sotto le galosce umide, e i brividi corrono inaspettatamente lungo la schiena.

    C’è questa stanza, larga e altissima, sprecata rispetto alla poca gente seduta al tavolo. Fra quei tavoli color noce, sorseggiando una tazza d’infuso, ci siamo noi due. Abbiamo aggiunto un po’ di vodka per goderne l’odore mentre si mescola, ancor più pungente, tra i vapori.

    Il nostro sguardo vaga intorno, soffermandosi sui piccoli particolari. La forma dei bottoni della giacca del signore al tavolo di fianco. I riflessi dell’enorme lampadario sul soffitto che, impassibile, lo accoglie nonostante il suo peso. La sigaretta senza filtro della signora triste all’angolo opposto. Poi, in realtà, Ain’t misbehaving finisce per catturare in sé ogni tentativo di distrazione. Studiamo ogni movimento dei polsi, delle labbra, delle dita, dei pomi d’Adamo, ne seguiamo la scia, ne visualizziamo l’onda sonora. Ne percepiamo il calore. Piove su un’enorme cupola tiepida, e noi guardiamo, curiosi, le mille direzioni in cui si infrangono mille gocce sul vetro. Piove su un’enorme scatola soleggiata, e noi ne ascoltiamo l’allegro ticchettìo regolare.

    Ad un certo punto mi giro verso di te.
    Ti guardo negli occhi, scruto il tuo sorriso.
    Sei dolce come questa melodia.

  • Get in deep ‘n’ dance.

    Claudine sognava continuamente quel fiume ambrato attraversare il suo spirito, sorseggiarlo, e impregnarne le vesti calde, sporche dei resti di due posacenere usati a lungo senza criterio. Altalenava il sorriso di un motto salace al pensiero melanconico del desiderio. Si riempiva la bocca di sapori aspri che mantenessero vivo il suo sorriso acido, e subito dopo desisteva in favore di un armistizio sociale al sapor di nocciola. Sciorinava ricordi da due balconcini caldi e umidi, per poterne scrutare la trama sempre più linda da briciole maleodoranti. Succhiava avidamente essenze velenose, e si chiedeva quante altre volte lo potrebbe fare in 6840 minuti, che poi che saranno mai rispetto ai restanti 121320, o chissà quanti altri ancora, e sarà la direzione giusta in cui incanalare tutti quegli sforzi finora così sprezzanti di un’incosciente autodistruzione, perché forse non chiede altro che un po’ di attenzione, come due occhi felici e un cuore che scodinzola con gran gesto.

    Nell’attesa, datele qualcosa di vero.
    Purché non faccia troppo male.

  • Camels lead to hiccups.

    Sono una delle centinaia di identità fittizie di una monade fittizia che vive in una dimensione fittizia. Anche il mio papà e la mia mamma sono fittizi, e come tutte le coppie hanno i loro problemi e le loro crisi, verso le quali provo una preoccupazione reale. Mi alzo ad un orario fittizio, leggo notizie fittizie e prendo la mia macchina (più che fittizia) per dirigermi ad uno dei miei numerosi piccoli fittizi lavoretti. Finiti i quali torno alla mia dimora fittizia con l’intenzione fittizia di godermi un bel sonnellino.

    Mi esprimo spesso con parole fittizie per esprimere concetti veri, ma altre volte preferisco esprimere concetti fittizi con parole vere. I miei problemi sono, alla fine, fittizi rispetto ai problemi reali di altri. Ma il mio essere fittizio è già di per sé un problema più che reale. A volte il mio relazionarmi è fittizio, in quanto volto solo ad esarcebare il mio già di per sé fittizio disprezzo nei confronti del mondo circostante.

    Dopo tanto tempo (fittizio) torno a soppesare fittiziamente le parole provando continuamente un disagio che è, manco a farlo apposta, fittizio, in quanto volto unicamente a difendermi da un me stesso.

    Ma è un me stesso, come già premesso, fittizio.
    Sarebbe quindi il caso, forse, di sollevare il drappo,
    per scorgere il $foobar reale.