Category: Story

  • Il bianconiglio.

    Il bianconiglio è, in questo sistema, certamente l’elemento più insidioso della storia. Il suo comportamento si basa su brevi interventi, intensi e spesso involontari ma non per questo meno efficaci.

    È capace, a titolo d’esempio, di produrre suoni a bassa frequenza degni di un precisissimo LFO (la cui sigla sta, appunto, per Low Frequency Oscillator). Riesce anche, volendo, a distruggere un vetro già di per sé molto fragile.

    Insomma, sì. Ha rotto un vetro fragile con un suono.

    Cerbero. Che palle. Ma capitelo: già sta un po’ girato di suo, senza contare che sta lì come un babbione a far la guardia; e poi sappiamo bene che ha anche il sonno leggero ed è molto indisponente.

    And if you go chasing rabbits, and you know you’re going to fall,
    Tell ’em a hookah-smoking caterpillar has given you the call.

    (Jefferson Airplane, White Rabbit)

    Ma i pensieri sono troppo sopiti per potersi organizzare.
    E quando è così si sa che non c’è molto spazio per me.
    E allora le luci continuano a spegnersi e riaccendersi.
    Troppo. Troppo veloce. Troppo intenso. Più tempo, più tempo ancora.

    Magari una volta non era così.

    E io provo ancora ad inseguire il bianco.
    Ma sono da solo.
    Col timore di incontrare un altro bianconiglio.

  • Wake up!

    Bernie sta studiando i vincoli di integrità referenziale. Il che diventa molto interessante, se consideriamo che, in una base di dati, le operazioni principalmente applicabili sono l’inserimento, la cancellazione e l’aggiornamento delle tuple. Che poi, in realtà, bisognerebbe specificare che l’ultima operazione non è altro se non una successione di cancellazione della vecchia tupla e inserimento della nuova; ma per vari motivi dobbiamo ammettere che la sua esistenza ha comunque un senso.

    La cosa interessante in tutto questo è che, quando si cancella una tupla, o la si aggiorna, succede un vero casino con tutte quelle altre tuple che si riferiscono a questa.

    Ma a dirla tutta non scenderemo nei dettagli di questo argomento, tanto gli studenti di Basi di Dati e gli appassionati di database ne sanno già qualcosa.

    E poi, diciamocelo, Bernie pensava a ben altro.

    Bernie pensava al suo fido Cerbero che, per colpa del suo sonno leggero, si era risvegliato dal suo torpore udendo in lontananza una moneta affondare in un pozzo. Bernie sapeva che, quando tutte e tre le teste di Cerbero si svegliano, son cazzi amari per tutti, e questo lo metteva a disagio.

    Potreste chiedervi che senso abbia avere un Cerbero in casa che non si possa mandar via; ma capirete che non è facile abbandonare un animale che ti accompagna per mezza vita. «E poi che sarà mai, sbraita ogni tanto, ma poi gli do’ un cicchetto di rum o tre gocce di endorfine, tempo due minuti e dorme come un angioletto».

    Allora chiuse il libro, si mise il cappotto, prese il suo lettore MP3 con dentro un solo album, e invitò Cerbero a fare una passeggiata.

    – Non farlo Bernie, ti prego. È un percorso insidioso. Non voglio iniziarlo adesso.
    – Cerbero, ma cosa dici? Si tratta solo di una passeggiata. Dài, voglio staccare un po’ dallo studio, sono troppo distr…
    – Ti ho detto che non dovrai uscire da questa porta!
    – Smettila.
    – Fai come credi… passerai i tuoi giorni solcando l’animo con la stessa lacrima.
    – Dài, andiamo.

    Fuori piovigginava. C’era un sole in lontananza che ogni tanto appariva dietro nuvole incerte, ma sopra le loro teste restavano nuvole sicure di sé nel loro grigiore. La loro casetta era protetta da un enorme sequoia, ma il terreno fuori era fangoso e scivoloso. Bernie aveva messo gli scarponi apposta, mentre Cerbero aveva degli zoccoli che gli conferivano un aspetto da caprone demoniaco.

    Sono steso su un cielo-fan che opportunamente ho disteso per me.
    Ora commentami un giorno come non lo hai fatto mai, io lo spero ancora.
    Spesso dormo su un cielo-fan, qui le cose sfuggono e non mi spiego perché.
    Se puoi condensa il giorno, come non lo hai fatto mai, e fa male ancora.
    Eppure non stai per piangere… torna la libidine prima o poi.
    Lo spero per te finta comodità… torna la libidine prima o poi.

    (Verdena, Balanite, Il Suicidio dei Samurai)

    Dopo pochi passi trovarono davanti a loro una collinetta.

    – Bernie, lascia stare, prendiamo quel sentiero di lato, sarà più comodo.
    – Dài Cerbero, ci siamo vestiti di tutto punto perché sapevamo che avremmo incontrato questi ostacoli. E cosa vuoi che sia una collinetta…
    – Sei un coglione! Se non fossi il mio padrone ti avrei già sbranato… ma fai un po’ quello che ti pare, hai rotto con questa storia. Lo sai che se ti dico di non fare una certa cosa è perché so già che avremo dei problemi, ma tu vuoi fare di testa tua. Crepa, stronzo.
    – Ma si può sapere che vuoi? Adesso invece ci andiamo proprio, mi stai facendo innervosire.

    Era una collinetta strana. Non se ne vedeva mai la fine, eppure si saliva (la prima salita sembrava anche più o meno facile, secondo quanto suggerivano le loro forze) e la discesa sembrava anche lunga e ripida, ma poi senza accorgersene si saliva di nuovo, poi si scendeva, poi si risaliva di nuovo all’improvviso, e così via. Sembravano tante collinette in sequenza, eppure c’era qualcosa che ti faceva intuire chiaramente che in realtà si trattava della stessa. Una collinetta polimorfa, insomma.

    A un certo punto Bernie trovò un sentiero di lato. Pensava finalmente di aver trovato un modo per evitare questo andamento confusionario, e si incamminò. Dopo un po’ gli si parò davanti un’altra collinetta. Ma questa si capiva che era diversa, e soprattutto era più facile scorgerne la fine, quindi iniziò a scalarla e, dopo aver attraversato un punto in cui si acuiva particolarmente, discese.

    Poco dopo scoprì che, durante la lunga discesa da questa collinetta, si finiva per tornare sulla stessa strada dove, pochi metri dopo, sembrava terminare definitivamente (per fortuna) anche la collinetta stregata.

    – Hai visto, Cerbero? Non era poi così complicato. Certo, abbiamo dovuto sforzarci molto, però alla fine siamo riusciti a oltrepassare questi ostacoli.
    – Idiota, credi che sia finita qui? Guarda.

    E
    di
    fronte
    ai loro
    occhi si
    mostrava
    un’enorme
    altissima e
    ripidissima
    montagna
    dalle forme
    indinstinguibili.

    Bernie rimase senza fiato.

    Era a questo che si riferiva Cerbero, e lui non lo capiva.

    Ma ormai era tardi per tornare indietro e dargli ascolto.

    E forse era meglio così.

    C’erano numerosi sentieri che permettevano di aggirare agevolmente la montagna, ma erano tutti fangosi e pieni di escrementi d’ogni sorta. Prendere uno di quei sentieri avrebbe significato compromettersi e macchiarsi indelebilmente. Sarebbe diventato un uomo di merda, il risultato di atti deviati, e non era più il momento.

    Restava solo la possibilità di scalare la montagna.

    Bernie si avvicinò alla base, cercando un appiglio per iniziare la scalata. A mani nude e senza corde. Ma non riusciva a vedere nulla, perché, sebbene avesse finito di piovere, altre gocce gli riempivano gli occhi, e provava un’angoscia così forte da non essersene neanche accorto.

    Quindi si sedette e rimase ad aspettare di riuscire a capire i punti della montagna che doveva affrontare (in realtà l’ideale sarebbe affrontarli tutti, ma questa montagna si mostra agli occhi dello scalatore così tetra da non riuscire a far scorgere quasi nulla). Cominciò a realizzare che il momento di affrontarli era lì dietro l’angolo già da molto tempo, e ormai si era mostrato. Spaventoso come il demone di Mulholland Drive.

    Lo rinfrancava il fatto che avrebbe lasciato Cerbero di guardia e la sottile speranza che il suo dio potesse far entrare in questo microscopico universo una fata che gli potesse tergere gli occhi e donare forza per gli arti e lo spirito.

  • Radio Bemba Città Libera.

    Ci siamo?

    Benvenuti a Radio Bemba Città Libera, la radio più libera della città più libera. Ragazzi, vi confesso che sono molto emozionato. Ammetto che è la mia prima volta come speaker radiofonico, anche perché prima di questa radio non c’è mai stata nessuna radio in questa città. E prima di questa città non c’è mai stata nessun’altra città, quindi non sarei potuto neanche andare a cercare lavoro altrove.

    Spesso mi chiedo in effetti come si possa dire “più libera” se effettivamente siamo gli unici… più libera rispetto a cosa? O chi? In effetti il concetto stesso di libertà non esiste, perché non sarprei dirvi a questo punto se possa considerarmi “libero” o “non-libero”. Alla fine sono il solo in questa città, quindi con chi potrei mai confrontarmi?

    Ma passiamo ad altro. Lasciatevi trascinare da questo breakbeat a 180bpm (Cento-ottanta bipièm. One and eighty b-p-m. Subb’-subb’, hoopher, hoopher!), non siamo tre metri sopra il cielo né tre metri sotto terra, siamo con i piedi ben saldi e aspettiamo il pezzo che renda giustizia alla nostra ipnosi. La ripetizione ossessiva è conforto del malato, la ripetizione ossessiva è conforto del malato, lasciatevi ingabbiare in 3 minuti di riferimento.

    Porcellino, lascia che la tua casa di paglia venga soffiata via dalle potenti froge di un lupo che ha deciso a tutti i costi di soffiar vortici dalle sue grandi e pesanti froge sulla tua casa preferita, il tuo piatto preferito, il tuo accordo preferito, il tuo schiocco preferito. Ascolta l’eco del tuo nome rimbalzare da una parte all’altra del Grand Canyon e ritornare come un boomerang per sentirlo addosso come uno schiaffo… schiaff… sch…

    Non è quel che vidi che mi spaventò.
    È quel che non vidi.

    (A. Baricco, Novecento)

    Oggi potrebbe essere il 2 agosto e potrebbero essere le 10.24. Sono in ritardo, anche se mi chiedo rispetto a chi. Potrei avere 60 secondi a disposizione, ma d’altra parte può darsi che il tempo e lo spazio non abbiano senso ad essere commisurati: dopotutto non esiste un… metro di paragone.

    Alla fine potrei chiedermi anche come faccia a parl…

  • Ehm… perdonami, ma se Cody dice di non essere australiano… cosa dovrei mai andare a pensare?

    Probabilmente che Cody non sia mai stato australiano.

    Così, quando Bernie ebbe quest’ennesima rivelazione, prese coraggio e decise cosa fare.

    «Questa sera sentirò rubini dissolti nell’ambrosia scendere lungo il mio corpo e risalire lungo la schiena, mentre Virgilio mi accompagnerà nel lungo tragitto che porta al sacro parapendìo.»

    «Giunto lì griderò con voce piena uno schwa, o una qualche altra vocale dal timbro indistinto, e sputerò fuori un po’ di tristezza (e la tristezza è rabbia repressa, diceva Freud… non male). Dopodiché mi metterò in bilico sul pozzo e non sentirò altro che odori di umido, eco di campanacci e latrati, e scrosciare di flussi d’acqua che si arrovellano l’uno sull’altro.»

    «Quando sarò soddisfatto trascinerò il mio Virgilio più in là e ci nasconderemo in una grotta. E poi un’altra. E un’altra ancora. E infine vorremo leggere le trame del cotone e farsene accarezzare dolcemente. E scoprire forme nuove e più primitive.»

    Brucia il tabacco nel cilindro di carta velina.
    Una sottile scia di fumo denso vola sinuosamente verso l’alto, separandosi in vortici che si sperdono, alla fine del loro tragitto, nell’aria comune. Cody forse avrebbe voluto poter fermare queste idee nella loro prima essenza, senza scottarsi.

    O raccoglierle sotto la campana di una lampada.
    O frenarle lungo la condensa sul vetro inclinato del parabrezza.

  • Ma alla fine non era questo.

    Io sono un treno.

    Un treno di centinaia di vagoni. Considerato che ogni vagone di un Eurostar è lungo 26.10m possiamo dire che siamo nell’ordine dei 26.10m x 100 = 2610m = ho fatto 2 chili e mezzo di treno, che faccio lascio?

    Sono un treno che procede lento ma vuole andare sempre avanti. E chi aspetta il mio passaggio davanti alla sbarra deve sorbirsi 100 vagoni che passano alla velocità di 20 Km/h. Considerato che 20 Km/h = 5.5 m/s (e si ringrazia Google), 2610m / 5.5 = 474.5s = 7.9 minuti. Vabbè, e ci dobbiamo perdere per 0.1 minuti? E no, allora facciamo 8 minuti. Ce n’è da aspettare, comunque.

    A volte si para qualcuno davanti perché vuole suicidarsi sotto di me (a 20 all’ora…), oppure vuol farmi fermare per protesta, oppure vuol rapirmi (rapire un treno? Oh Cowgirl, ti prego, salvami!), oppure vuol salir su per scroccare un passaggio, o semplicemente per assaporare la brezza dell’attrito sul viso (a 20 all’ora… boh).

    A volte mi fermo, a volte no. A volte mi fermo, aspetto, riparto. A volte non ci faccio caso e lo spingo via con uno sbuffo di vapore.

    Stanotte poi ho fatto un sogno strano (e qui qualcuno potrebbe obiettare che alla fine tutti i sogni son strani). Ero in viaggio. Alloggiavamo in un posto a metà tra un bagno turco, un ospedale e un ostello. Insieme ad amici. Un giorno, in due, decidiamo di far gita in un altro posto. E io mi trasformo in un videogioco. Un tizio che vola giù in picchiata da chissà quale altezza, e deve aggrapparsi a delle specie di aerei aviomorfi. Inutile dire che schiatta sempre al suolo, in un modo o nell’altro (And the dreams in which I’m dying…). Vabbè, alla fine riesce a sopravvivere, e per premio torno in me stesso, atterrato in una zona desolata di questa città sconosciuta. Corro, corro, corro (Cavalca, cavalca, cavalca…). Sono da solo. Non ho modo di chiamarla. Vado in un autosilo, mi vorrei fregare una macchina. Si entra solo con tessera magnetica. Porc… ok, cerco di prendere un pullman. Ce ne sono tantissimi, sotto un grande arco. Vanno tutti a Tokyo. Li perdo tutti. Cerco di tornare al punto dov’ero atterrato, ma ormai è buio e io non so dove sono. Corro, corro, corro, mi sveglio.

    Ok, adesso posso anche accarezzarmi i capelli.

    Forse sì, non è niente di particolare.
    O forse è un pezzo di me che va via e che non riesce a ritornare.
    E farsi nuovamente riempire.
    O è colpa mia, tout court.

    E non sono un bravo attore.
    Né mi avvalgo dell’RMA.
    Al contrario di quanto sembri.

    Ma questo è meglio che non si sappia in giro. No?

  • Mater Matera, Mater Gravina.

    E poi ti prendo e ti porto via. Sembra così banale ogni volta che te lo dico, ma tu sai che ogni volta lo dico con lo stesso sapore di un nuovo bacio, di un nuovo abbraccio, di una nuova carezza. Voglio portarti con me, abbracciarci sul parapetto, mentre grido forte il tuo nome per far sì che l’eco arrivi fin dietro la collina dall’altra parte della gravina.

    Voglio farti sentire lo scroscio dell’acqua, sembra che non esista in fondo a questo baratro, eppure lo si sente chiaramente. Sembra si porti via gli ami che tirano giù le stelle e le fanno bruciare, morendo rapidamente, contro l’atmosfera. Voglio desiderare di restare per sempre con te, di far l’amore ancora una volta. Un altro respiro, se vuoi. One more breath for the dying man.

    Il vino è il mio complice astuto, il mio aiuto per alzare un velo intorno a noi. Non più luci, non più suoni. Solo il cielo e me, per te. Ti addormenti tenendomi forte la mano, di lato sul parapetto, mentre appoggi dolcemente la tua testa sulla mia coscia e mi implori, lo sento, di accarezzarti i capelli e coccolare il tuo sonno.

    Ti giri.
    Vuoto.
    Afferra la mia mano!

    Nella buona e nella cattiva sorte.
    Insieme fino all’ultimo istante.

    Ti stringo la mano per l’ultima volta.

    Ed ora so. Ti amo.

    Source.

  • Una fiaba.

    C’era una volta un pastore felice. Era felice perché, sebbene si potessero contare le sue pecore con le dita di una mano, erano pecore speciali, estremamente fedeli.

    Un giorno il pastore incontrò un albatro. Questi guardò il suo gregge e disse: – A cosa ti serve guidarli? Ti donerò un paio d’ali, ti insegnerò a volare! Guiderai te stesso, e ti sembrerà di guidare il mondo intero.

    Il pastore restò perplesso: era difficile poter immaginare di far qualcosa di diverso e più gratificante di guidare le sue pecore. E le sue pecore che fine avrebbero fatto? Chi avrebbe potuto guidarle?

    In più il pastore finì tormentato da altri dubbi. Per esempio, non era convinto del fatto che sarebbe riuscito a percepire gli insegnamenti dell’albatro, né era sicuro se l’albatro l’avrebbe guidato fino alla fine dei suoi giorni, o se invece l’avrebbe abbandonato in volo, con le ali indissolubilmente attaccate dietro la schiena ma senza saperle usare. Come un angelo decaduto.

    Allora si rivolse all’albatro e gli chiese di tornare il giorno dopo, perché doveva pensarci su prima di accettare.

    L’albatro tornò puntuale appena dopo il tramonto e disse: – Non ti abbandonerei mai per nulla al mondo. Ti ho trovato qui, paralizzato sulla terra, e ti ho visto felice perché sai amare incondizionatamente. Io ti insegnerò a volare, tu mi insegnerai ad amare incondizionatamente, come si ama un figlio. E tu sarai come un figlio per me.

    Il pastore era ancora perplesso: era difficile poter pensare di trovare qualcuno che potesse amarlo incondizionatamente come lui faceva con le sue pecore. Di solito o era una pecora o era un leone.

    In più il pastore aveva ancora qualche dubbio. Per esempio, e se volare non gli piacesse? E, comunque, dove lo porterebbe l’albatro?

    Allora si rivolse all’albatro e gli chiese di tornare il mese dopo, perché doveva pensarci davvero a lungo prima di accettare.

    Però la storia finì qui e non si seppe più che decisione prese il pastore.
    O se l’albatro tornò davvero il mese successivo.

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    Source: www.wolaver.org

  • La Mela di Odessa.

    C’era una volta una mela a cavallo di una foglia. Cavalcava, cavalcava, cavalcava… insieme attraversarono il mare: impararono a nuotare!

    Arrivati vicino al mare, dove il mondo diventa… mancino, la mela lasciò il suo vecchio vestito e prese l’abito da sposa più rosso. La foglia sorrise (era la prima volta di ogni cosa), riprese la mela in braccio e partirono.

    Giunsero in un paese giallo di grano pieno di gente felice, si unirono a quella gente
    e scesero cantando fino alla grande piazza; qui altra gente si unì al coro.

    – Ma dove siamo? – chiese la mela.
    – Se pensi che il mondo sia piatto, allora sei arrivata alla fine del mondo. Se credi che il mondo sia tondo
    allora sali, incomincia un girotondo!

    E la mela salì… la foglia invece salutò, rientrò nel mare e nessuno la vide più.

    Forse per lei il mondo era ancora piatto.

    (Area, Crac!, 1975)

    Addendum: In Are(A)zione Demetrio Stratos premise agli astanti che, nel lontano 1920, un dadaista di nome Apple rubò una nave tedesca ad Odessa, per portarla in dono ai rivoluzionari russi. Questi ultimi organizzarono una gran festa in cui fecero esplodere la nave. Con i tedeschi dentro.