Category: Spent days

  • Stotornandociaccià.

    Settorializzando il tempo. Metatempo. Stratempiero.

    Cancella il mondo, Sdrènfano, stracance!

    (F. Maraini, Gnosi delle Fanfole)

    Scena I. In/torno.

    Scivoli. Soave. Passi attraverso altalene spezzate, e profumi di fragola e vino (del resto credo che questo non sarà altro se non l’ennesimo portmanteau). E sprofondo nella rena, o non so quale altra diavoleria porpora e immensa si nasconda dietro l’Europa, mentre si parla di tutto e di nulla. Poi un bacio, in contropiede. Inaspettato. Agognato. Come allora, ancora.

    Ci sono questi giorni in cui non ti va proprio di fermarti, e l’animo diventa così leggero che i piedi, e tutto il corpo, seguono acquiescenti e senza chiedere spiegazioni.

    Scena II. Ri/torno.

    Salgo verso lo scantinato. O, se preferite, prevedo il passato. Capita, vedo cani che portano a passeggio padroni metallizzati. Sì, c’è della paglia dentro, ma lasciate che pensino il contrario. C’è una bottiglia da aprire, ma la apriremo dopo. Dopo. E dopo ancora. La apriremo quando l’alba si vorrà riappropriare di un po’ di notte, e il sonno rivendicherà l’allegria.

    Oggi no.
    Lo so, è poco credibile.
    Tra l’altro anche un po’ insensato.
    Ma oggi noi vogliamo più tempo.

    «Perché?»
    «Perché non sono mai stanchi.»
    «Perché no?»
    «Perché sono folli.»
    «E i folli non si stancano mai?»
    «Come potrebbero stancarsi i folli?»

    (Kafka, Contemplazione)

    Perché ci sono questi giorni in cui non ti va proprio di fermarti, e l’animo diventa così leggero che i piedi, e tutto il corpo, seguono acquiescenti e senza chiedere spiegazioni.

    Scena III. Din/torno.

    Pizzapizzapizzapizzapizza.
    Pizzahodetto.
    Via crucis pizzae.
    Ovvero: pizza, più la desideri più dovrai soffrirne l’attesa.

    E poi ancora correre qui e là, per risicare gli ultimi istanti e fingere di non essere mai abbastanza stanchi. Perché non siamo mai abbastanza stanchi per rinunciare. Piccolo assaggio di un tour de force piacevolmente millantato e piacevolmente atteso.

    Voglio le tue labbra.
    Qui, a sfiorare le mie.
    Un’ultima volta.
    No, un’altra volta ancora.

    Non è ancora il tempo di aspettare il raggio verde, e allora basta, /torno. Tanto non ci sia più null’altro da fare, ho già delle gocce di felicità da inspirare a pieni polmoni.

    Attendo, ansioso, che arrivi un altro di questi giorni in cui non ti va proprio di fermarti, e l’animo diventa così leggero che i piedi, e tutto il corpo, seguono acquiescenti e senza chiedere spiegazioni.

  • ASCII-Art #0.

    
         Allora?
      Com'è andata?
    
               ^^     oO    Mmm... ti
               []     .\.   spiego.
    ___________db_______db______________
    
    
    
               @@          
               []      uu'  ZzZz...
    ___________db______db_______________
    

    Qualche anno fa c’è stato un periodo in cui ero un assiduo lurker del newsgroup alt.ascii-art. Vi sarà evidente che si tratta di un newsgroup storico, e a dimostrarlo ulteriormente ci sono degli appuntamenti che, a distanza di anni, vedo ancora vivi e attivi (leggasi: intramontabili), come l’ASCII Art Fart, ma soprattutto la serie Nerd Boy di Joaquim Gândara.

    Di quest’ultimo ho sempre adorato questo suo rappresentare degli esserini piccolini che fanno davvero tenerezza e son capaci di tante espressioni diverse. Presi spunto da lui per una sign, e lo rifaccio volentieri per commentare il risultato di quello che è successo ieri.

    (Beh sì, magari potrei anche parlarvi di ieri in sé e non delle sue conseguenze… ma avrei così tante cose da dire che non riuscirei a trovare le parole adatte. Davvero. Un piccolo fantastico momento che avrei voluto non finisse mai. Anche perché sai che rottura alla fine smontare e riportare tutto quel popo’ di roba al locale… argh!)

    Chissà che non mi venga in mente di continuare a fare delle strip. E pensare che cinque minuti fa stavo pensando pure di aprire un blog parallelo apposta per l’occasione. Ehm… ebbene sì, comincio a credere di essere davvero dissociato.

    Comunicazione di servizio: non avete la minima idea di che cazzo stia dicendo? Cliccate qui per una guida alla prima parte e qui per l’incidentale. Eppoi non dite che sono oscuro e incomprensibile, oh.

  • Nozières guarda il Soménal, lo sbriciola e lo sparge per il campo appena arato.

    Oggi ho conosciuto una persona che conoscevo. Ho conosciuto la sua immagine crearsi nella mia testa: l’immagine di un uomo che ha sofferto per tanti anni, ma nonostante tutto ce l’ha fatta ed ora è felice. Un uomo che vale per sé, pur non disdegnando l’amore incondizionato, la pietà per il prossimo. Beh, certo, non proprio qualsiasi prossimo, però si è sulla buona strada, ecco.
    Un uomo, insomma, scevro da (o forse più semplicemente ignaro di) quel certo malessere intrinseco, ontologico, che volendo si potrebbe esprimere col termine – che pur rischia di risultare riduttivo e quasi fuorviante – di sehnsucht.

    Poi ho conosciuto una Medusa, attraverso i cui percorsi sono giunto a delle conclusioni certe. Il che è stato un ulteriore toccasana, come quando ci sono dei fili aggrovigliati e tu cerchi di districarli facendoli passare attraverso i nodi, ma poco dopo ti arriva il classico stronzetto-so-tutto-io che, tirando semplicemente l’altro capo del filo, risolve il tutto, per poi farti quella solita faccia da «Vedi stupido? La soluzione a volte sarebbe molto più rapida e indolore se solo ti degnassi di guardare un po’ le cose nel loro complesso».

    Infine ho preso il sacco pieno di piume, l’ho poggiato sul tavolo e mi sono messo a ricomporne i pezzi come in un puzzle. Di quelli dove ci sono i pezzi che sembrano tutti uguali, ma in realtà ognuno assume un significato esatto e univoco.

    Fra 28 ore succederà qualcosa che alla fine mi lascerà, nell’ordine: irrequieto, ansiotico, impaziente, contento, deluso, stanchissimo.

    Ci sono piccole grandissime cose a cui non rinuncerei mai.
    Neanche se fosse l’ultimo avanzo delle mie escrescenze.

  • アマミ, ジュ. コメ アモ テ.

    Non ricordo più nulla, al di fuori di frammenti.
    Piccole esplosioni davanti agli occhi.

    Non ricordo più nulla.
    Ora ricordo.

    C’era un piccolo essere che voleva morire di una piccola morte, la cui presenza assonnata e silenziosa mi era ormai indifferente. E io continuavo a parlare, parlare, e ancora parlare. Non sentivo più il freddo, né la stanchezza, né il dolore. Non sentivo più il dolore, perché non sentivo più neanche il motivo di quel dolore. Non lo ricordavo già più.

    Eppure parlavo proprio di quello. Solo di quello.

    Parlavo del fatto che ci stiamo avvicinando alla guerra fra due stagioni, e io per l’ennesima volta dovrò essere spedito al fronte e cadere nell’ennesima battaglia persa. In realtà è un po’ come un curioso e triste rituale, che però adesso ho fatto mio e che, con un pizzico di titanismo, continuo a portare avanti insieme all’Anarchia. La mia piccola utopia vitale.

    Sono nell’avamposto che lotta strenuamente contro lo scorrere inesorabile del tempo.

    Perché alla fine sono un po’ romantico.

  • No step.

    Sono in stand-by.
    Pertanto mi è tutto sostanzialmente indifferente.
    Altrimenti, al contrario, sono intrinsecamente insofferente.

    Provo a sentire una profonda contrizione, ma non riesco. E il fatto è che questo problema diventa una scatola, chiusa e sormontata da un’altra scatola, a sua volta chiusa e sormontata da un’altra scatola ancora più prominente. Pur non essendo importante, l’ultima scatola è talmente tangibile che mi riesce più facile voler indugiare sul sollevarla o meno per vedere cosa c’è sotto. Potrei aspettare una quarantina d’ore ad esempio, il che sarebbe l’ideale, o potrei sollevarla e sperare che l’antimateria non mi corroda ancora un po’.

    Vedo frecce infuocate scagliarsi al cielo, dirette a me ma intenzionalmente fuori mira. Certo, so che prima o poi mi potrebbero centrare, ma io non voglio scudi e non voglio svicolare. Non ho nessun motivo per farlo, semplicemente. Anzi, in fondo vorrei darti un buffettino sulla fronte, di quelli che dicevano chiaramente «Sveglia! Ricordi? Capisci?». Un’ultima volta. Solo che le cose sono cambiate, e avrebbe l’effetto di un sonoro e provocatorio ceffone. E allora la contrizione lascia spazio ad una pena infinita. Prima o poi finiranno le frecce, e giungerà l’armistizio. Non ci vuole poi tanto.

    Ho un’ansia che difficilmente saprei spiegare. O motivare. Forse è perché sto compiendo sforzi disumani per convincere il mio inconscio a non assecondare questa sorta d’istinto di protezione e tagliare quindi un filo che invece va serbato ad ogni costo.

    Ma è il caso di fare un’ultimo sforzo: il premio varrà qualsiasi sacrificio.

  • Un branco di lupi solitari.

    Toccare le corde mi da’ ancora piccole grandi soddisfazioni.
    Rende stimolante qualsiasi prodigarmi a questo scopo.

    Ma portarmi il Mac in bagno per confrontarmi con un codice PHP ostile mi sembra un po’ troppo.

    A proposito, se qualcuno riesce a trovare un’utility per la sincronizzazione dei siti Web, stupefacente come iSynch, ma che non mi costringa a dover avviare quel mattone di Classic (essì, alla versione per X ci stanno pensando, ma la mia pazienza ha anche un limite), mi faccia sapere e gliene sarò profondamente grato.

    Ok, fine della marchetta.
    Dicevo.

    Soprattutto se ogni 30 secondi fisso lo sguardo sul display del cellulare in attesa spasmodica di due lettere che mi sconvolgono ancora i sensi. A vista.

    Diamine.
    È proprio grave.

    Ma soprattutto non reggo più di quattro ore qui.
    E invece tra due ore fanno ben otto.
    Otto.

    Fortuna che l’apparizione dei russi ha fatto andare in fibrillazione i cavi elettrici da queste parti.

    Rimangono solo i monitor accesi che si scorgono fra le position.
    Sembra il profilo notturno di una metropoli.
    O un’albero di Natale di nuova generazione.

    Questi sono i momenti in cui vorrei che il mio occhio facesse click! e registrasse l’immagine su una SD.

    Anzi, domani vado a brevettarlo, non si sa mai (il concept, non l’occhio).

  • Wii n’est pas seulement une console.

    C’era un tempo in cui le forbici tagliavano di netto i cavi sottili. Succede infatti che, mentre un’estremità rimane qui, le altre cominciano a tirare, perché è arrivato per loro il momento di allontanarsi. E allora in questa situazione è meglio lasciare che si smembri fra atroci sofferenze o è meglio decapitare e -zac!- pace?

    Mentre disquisivo su queste facezie presi una birra dalla cassa, e la stappai usando per leva una foto indurita dal tempo. Poi vidi un letto matrimoniale sfatto. Odorava di funk. Fisico, disinteressato, forte, apparentemente volgare. Volevo adagiarmi lì sopra, ma non riuscivo più. Allora presi il libro che c’era sul comodino, e cominciai a declamare ad alta voce un brano. Si parlava di Dostoevskij, di probabilità e cose del genere. Watanabe era lì, davanti a me, e mi guardava interessato. Io interessato non lo ero più. Ma l’idea che fosse possibile per lui riuscire a leggere in queste parole il barlume di una risposta alle sue domande… beh, mi piaceva.

    Allora presi la macchina fotografica. Si tratta di uno strumento potentissimo contro Medusa. Si possono fermare i suoi percorsi in un attimo, nonostante gli elfi si divertano a lanciare pezzi di bruschette nell’obiettivo; perché tanto alla fine basta un tortino ben fatto (come sappiamo Noi) e/o un cornetto, e tutti diventano più buoni. Provare per credere.

    Il punto, in tutto questo, è che per la prima volta mi sono reso conto che ci sono dei cavi così elastici, così lunghi e resistenti, che tagliarli sarebbe un’ingiustizia.

    E allora volevo prendere nota di questo.

    Così la prossima volta che mi capita passo prima da qui e ci penso un po’.

  • What a subject!

    Lo so che vi aspettavate che continuassi la storiella (bugia).

    Ma, tranquilli, non è che è finita senza preavviso.
    C’è giusto bisogno di un’interruzione pubblicitaria.

    Voglio dire: uno si piglia una cosa che viene chiamata genericamente perifaringite acuta. E fin qui uno dice: ok, alla fine suona pure caruccio, del tipo che lo darei come nome ad un cagnolino affettuoso. Essì, e ognuno ha anche i suoi problemi, evidentemente. Però non è questo il punto. Il punto è: porca miseria… porca miseria quanto fa male la gola… e quanto mi pizzica sto maledetto naso che saranno due giorni che è costantemente tappato… – stai bene? – DO!

    Oh. Poi giustamente uno sta nel cantuccio della propria stanzetta, non sa che fare visto che normalmente a quest’ora dovrebbe stare a litigare con qualche presunto sistemista certificato Cisco o qualche titolare di una graaaande-snc-de-me’-cojoni.

    Tra un po’ devi guardare un film che si preannuncia divertentissimo. L’acchiappasogni. Dài, già il nome è così dolce… e poi ho sentito che ci stanno ‘sti alieni che prendono possesso degli umani entrando dal… come dire… vabbè insomma poi per uscire praticamente devono fare degli stronzoni esagerati… insomma sarà quantomeno ridicolo, no?

    (No, cazzo, invece proprio no… era un film angosciante… e non potrò più vedere qualcuno ruttare e scorreggiare senza temere che da un momento all’altro possa cagare un’anguilla-stronzo che mi potrebbe mangiare con un morso solo… però in compenso mi son ripromesso che d’ora in poi dirò vacca baldracca!, altro che "porca miseria"…)

    Insomma, cosa si fa per ammazzare il tempo?

    L’angolo delle ricette.
    Con la collaborazione di FrancesGlass.

    Ingredienti (per 1 persona)

    • 1 tazza da cappuccino
    • latte q.b.
    • liquore Strega q.b.
    • cereali

    Istruzioni

    Riempire la tazza da cappuccino per poco più di metà con latte e riscaldarlo. Se volete fare i fighi e lo volete mettere nel microonde fate molta attenzione, perché se il latte bolle ed esce dalla tazza vi ritrovate con due gocce nella tazza (avvolte per di più in quell’orribile strato di panna che si forma quando lasciate per troppo tempo il latte sul fuoco), e tutto il resto invece sul piatto girevole. E non è una bella cosa, ecco.

    Una volta fatto questo prendete il liquore e versatelo. Credo che il quantitativo sufficiente sia mezzo cicchetto, ma potreste aver bisogno di versarne un altro po’ a seconda del vostro gusto personale. Chiaramente non saranno dati suggerimenti sula dose utilizzata effettivamente ai fini della sperimentazione.

    Mescolate e servite. A voi stessi, immagino. Fidatevi, è buona, non c’è bisogno di farla assaggiare al cane. Per quello ho saputo che ad Amsterdam è uscita una birra apposta per loro, quindi semmai dategli quella.

    Se lo si gradisce, aggiungete cereali o altre porcherie di questo genere. Vi prego, evitate i bran flakes o all-bran o altre cagate salutiste simili, che tanto non vi crede nessuno e comunque fan proprio schifo. Semmai mettete cosette gustose come riso soffiato glassato (su suggerimento della collega FrancesGlass) o anellini tipo i Cheerios.

    Se lo provate fatemi sapere com’è. In realtà, se avete già assaggiato lo Strega Crema, potrete già immaginare che il sapore sia sostanzialmente simile. Se no, godetevi una nuova esperienza.

    Ah, chiaramente si accettano anche suggerimenti per le varianti.

  • On the last good day of the year.

    Fresh old iBook so many things done I could forget you in 2015 Belle è un cagnolone delicato I’ve been to this place once again love you come back so many things thought Play that funky legs white boy. please feed your head this activity sucks knees I want to call this place home, home, home I miss you I could do this thing tomorrow I must do this thing today wanna be socially correct wannabe too late change that funkin’ strings with fresh new ones play this pay that go-CC-go! plastic Tokyoish movements so many things to do too slow sometimes too quick sometime else but time won’t save our souls «Non hai tu forse fatto a pezzi Raab, non hai trafitto il drago?» I won’t stop smoking I won’t stop talking I won’t stop st-tt-op-to-top-ppp 2046 reasons to look for warmth say hello to our 3 HP Vectra PCs in the new born Crush-lab LAN section, oh ma’ god wot a mess want a reflex want a Warwick want this, want that want nothing primitive lifes in primitive wine sweet kisses in sweet coffee tea + kräuteröl almond tea inspiration Santu Paulu miu di Galatìna, Galàtone, gàlata morente one new pleasing present in the blog, good people for good things. Intento specialistico.

  • Roma, mora amor.

    Eh no, cara. Bisogna ammetterlo: sei un’oscura vecchia baldracca. Ti sei fatta sedurre, plagiare, violentare e influenzare da tutti quelli che son passati dalle tue parti. Da più di duemila anni. Inaccettabile.

    E poi sei troppo grande. Grande? Che dico. Immensa, piuttosto. Non è possibile dover spendere tre giorni interi per non capire che un’infinitesima parte di te.

    «Tutta quella città, non se ne vedeva la fine. La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?»

    (Alessandro Baricco, Novecento)

    Che poi, per quel poco che si riusciva, alla fine sembrava anche possibile conoscerti in fretta. Addirittura, cominciavi a suonare in qualche modo familiare. Però, sinceramente, potrei viverti soltanto se potessi prima massaggiarti i piedi stanchi con gli olii e poi, soprattutto, soffiarti sopra un velo di farina bianchissima che copra e fissi immobili tutte le macchine, tutti gli autobus, tutti i treni della metrò e tutti i tassì.
    Il tempo.
    E magari, visto che ci siamo, tutti i camerieri sibillini, più quelli avvinazzati, più quelli che ti schiaffavano due pezzi di pizza che grondano olio [avete presente il ciccione che spreme l’olio della pizza dell’amico fifì sulla sua in E alla fine arriva Polly?] sul piatto della bilancia senza carta né altro, altresì definibile con l’espressione "con la scorza e tutto" [avete presente l’HACCP? Ecco, loro no], e poi ti spingevano a mangiarli sul retro, il che faceva molto scena da bettola newyorkese, con tanto di true-american-people che mangiava zitta zitta e mogia mogia come nei film.

    La bettola. Potevo dimenticarmene? Il titolare si mostra così soddisfatto nella sua foto insieme a Lino Banfi. Secondo me sarà stato l’averlo ospitato al suo hotel a dare quella svolta penosa alla sua carriera. Il fu Canà, al gelo della stanzetta, mentre l’acqua scorreva già da 10 minuti senza che diventasse quantomeno tiepida, avrà capito che i b-movie trash non pagavano, e quindi era arrivato il momento di cambiar genere. Se è così: grazie Di Rienzo, la tua pensioncina ha strappato al cinema d’altri tempi un fenomeno d’altri tempi.

    E comunque i termosifoni potevi pure accenderli prima che mi raffreddassi.
    Infame. E pure mortacci tua.

    Però il vino de’ li castelli era proprio buono. E anche tu, che ancora una volta hai insaporito e impepato graziosamente questo quadretto agrodolce, dall’inizio alla fine.