Category: Spent days

  • Epitelio retro.

    Perché a me è sempre piaciuto apprezzare le piccole cose.
    Che al momento giusto diventano preziose, grandissime.

    Ad esempio, si può passare un’oretta insieme ad una coppia di veri geni, incontrati per puro caso, e così riuscire a compensare l’angosciante presenza di odiosi pseudo-artisti con parentame depressivo al seguito. Con un po’ di sano sfotto’ a concorsi privi d’ogni decenza, fra meteore da ricordare e faccine da scoprire ad ogni angolo.

    Opzionalmente si può inoltre annullare la solitudine salutando esistenze di passaggio, scambiando due parole, e poi tornare a fissare le armonie impresse sulle corde, con un pieno d’empatia per commuoversi o ridere con gusto.

    Oltre quel piccolo mondo tutto il resto affonda per due ore.

  • Be fed off.

    Dolce notte insonne.

    Balla, balla ancora, piccola checca.
    Senza tema, né temi, né pensieri, né sguardi.

    Come spiegare all’accanita fumatrice, mentre mi porgeva l’accendino e aspettava le sue venti dosi, che a quell’ora si era svegli o perché si era già svegli o perché si era ancora svegli?

    Perché se ci avesse visti aspettare l’alba, rannicchiati come cuccioli per scaldarci l’un l’altro, sarebbe rimasta anche lei a guardare senza chiedersi più nulla, pensando che forse sono davvero giorni preziosi, vivi, inaspettati. Giorni che scivolano leggeri su nastri di seta, scossi d’impulso e senza pretese.

    Giorni che vorrei far galleggiare in una piscina di soffice schiuma.
    Fra mura biancoparadiso.

  • S/plin.

    Dobro.

    Giorno lucido spento, caldo e senza sole. Non più notti dal colori blu elettrico e candido-lenzuola, dal sapore di gulaš e pomodori giganti. Non più guanciali che non martellano i dolori cervicali. Non più silenzio e ritmo lento, occhi fissi all’orizzonte dai profili irregolari, cintura di terra rassicurante, e la sensazione di essere in una nuova vita.

    Torno a casa e cosa trovo?
    Niente.

    Solito caos. Soliti motorini che si lanciano contro il rosso come tori moribondi nella corrida. Solita giungla dell’uomo contro l’uomo. E ancora, la solita casa, le solite formichine che strisciano stancamente sul pavimento. E una travarica suicida che sanguina alcol sul pavimento proprio all’inizio del suo show.

    Mai come questa volta ho voglia di tornare lì.

    Voglio rivedere Duško che risponde contento «Eeeeh, dobar dan!», e voglio vedere se ora che ce ne siamo andati i cechi («Eh, other gosts no gut!») usufruiranno del parcheggio senza sfondare il muretto appena allargato anche per loro. Voglio sorseggiare un’altra Karlovačko. Voglio ascoltare ancora una lingua così diversa dalla nostra ma che accarezza in qualche modo le ciglia. Voglio comprare un’altra travarica lungo il fiume Neretva. Voglio percorrere tutta la strada fino a Sarajevo, con la luce del sole, e senza dover invertire marcia in un punto imprecisato di una Bosnia buia come la morte, e senza immaginare per tutto il ritorno che, se siamo arrivati vivi a Brist, probabilmente siamo stati salvificamente scortati dalla Madonna di Međugorje, insieme a S. Antonio e un congruo stuolo di angioletti. Voglio mangiare ancora quei cavoli strani, i cornetti giganti di Gradac, il risotto al nero di seppia (e che nero!) e i ćevapčići.

    E voglio che queste ore scorrano ancora dolci sui capelli da accarezzare e seta da tener stretta fra le braccia. O, chissà, scivolare fra le strade vagabondando eremita verso destinazioni ignote.

  • Pseudoadolescenziale II. With added mango juice.

    – Ti lascio.
    – Ah. Vabbè.
    – Vabbè? Tutto qui?
    – Beh, si capiva.
    – Da cosa?
    – Da come guardavi quel tipo nel b-movie di Nino D’Angelo che abbiamo visto la settimana scorsa. E poi da come ti si sono illuminati gli occhi ascoltando quella canzone napoletana anni ’70 nella macchina di Giovanni.
    – Mica siamo stati nella macchina di Giovanni.
    – Ah beh, col quella centrale atomica di altoparlanti che si porta in macchina non era di certo necessario.
    – …
    – …
    – Ma non vuoi sapere perché?
    – Cerchi soddisfazione?
    – Non fare lo stupido.
    – Ok, dillo.
    – Mi sono stancata del tuo motorino.
    – Che motivazione è questa?
    – Lo sapevo, non capisci.
    – Eh, mi sa proprio di no.
    – E ti permetti di fare anche ironia! Ma lo sai che strazio è per me salire su quel seggiolino scomodo, sempre col rischio di venir beccati dalla Polizia… e poi non possiamo andare mai da nessuna parte, perché non ce la fai colla miscela… e soprattutto quel rumore che ti fracassa i timpani… voglio proprio vedere come lo farai passare alla prossima revisione quello schifo truccato come una puttana!
    – Non dire così alla mia vespina bellina.
    – Perché, vogliamo parlare di tutte le volte che abbiamo rischiato la vita quando pioveva? E tutte le volte che i freni non frenavano e per puro caso non abbiamo baciato ogni volta il culo di chi ci stava davanti!
    – Poche ciance. Tutto qui?
    – Sì.
    – È la tua risposta definitiva? La accendiamo?
    – Sì.
    – Vabbè. Mi spiace soltanto che dovrò trovare qualcun’altra per inaugurare la mia nuova Punto. Sai, devo fare in fretta, arriverà giusto tra qualche giorno. Addio, cara!

    Ieri il tempo si è presentato col certificato medico.
    Però mi ha chiesto semplicemente 12 ore di PAR.
    Allora io, ingenuamente, gli ho detto sì.

    Ecco, non pensavo che avrei vissuto una giornata senza tempo.
    Non collocato nel tempo. Tempo che vola.
    E anche noi si volava, fra le banconote a vita breve, briciole e nutella, coperte, cappuccino schiumoso. Scivolando fra le tende impalpabili di un harem illuminato da candele profumate d’antimateria.

    Non aver fatto quasi niente eppure aver fatto così tanto.
    E le abitudini di un passato piuccheprossimo
    sembrano già un tenue ricordo.

    Cammino a una spanna da terra,
    col vento che solletica i piedi
    e mi spinge dolcemente in avanti.

    Aspetto il diadema del dolce ακμή.

  • Orecchio assoluto.

    A volte mi chiedo come sarebbe se credessi in Dio e nell’aldilà, se potessi accontentarmi di spiegare tutto con l’esistenza di un sovrannaturale, anziché crucciarmi, a volte, di questo limite alla conoscenza.

    Forse i miei obiettivi, e il perché di questi obiettivi, sarebbe totalmente diversi.

    Perché sì, oggi le due domande che ho fatto a te in realtà le sto ancora adesso ripetendo a me stesso. Per conferma, chissà, o magari piuttosto per insinuare di nuovo il dubbio.

    Quali obiettivi?
    E perché quegli obiettivi?

  • ASCII-Art #1. Airstrike over the mourning crowd.

          Che succede?              
                                  Zitto e corri!
          oO                  OO
         .##.                //.
    ______db________________/\__________________

    Perché ormai c’è una rassegnata ostinazione. E se in questo periodo la Grande Sfiga Universale sta lanciando continuamente degli spilli sulle mie gonadi, le dimostrerò che stoicamente resisterò a questi suoi attacchi alle s… Vabbè.

    Potrei raccontarvi di 160 Km percorsi contro i mulini a vento, oppure di auto in sovrapressione, e altre fantastiche avventure. Ma mi limiterò a spiegare l’ultima.
    Una chicca per gli smanettoni.

    Ho alcuni PC messi in rete tra loro in modalità mista (in parte via Ethernet e in parte via Wi-Fi). Di questi mi interessano in particolare due. Uno lo chiamiamo GROOVE (192.168.0.2), ed è quello che regna sovrano, l’ammiraglia della flotta, insomma il più figo (anche perché, oh, l’ho pagato mica poco). L’altro si chiama VECTOR1 (192.168.0.253), altresì detto "il serverino" per via del fatto che, pur essendo vecchiotto, lavora alacremente come server HTTP, FTP, DNS, DHCP e tanti e tanti altri.

    Ora. Dati i nomi a queste due bestiole è necessario spiegare che finora tutti i computer della rete si son sempre visti senza problemi. In particolare Groove guardava Vector1 e Vector1 guardava Groove. Tanto si son visti che alla fine si sono innamorati. Hanno sempre lavorato fianco a fianco. Per esempio, su Vector1 ho i siti, da Groove li modifico, poi punto il browser su Vector1 per visualizzarli. E altre cose così. A questo punto credo anche che abbiano fatto anche un matrimonio via Ethernet, e non vi dico che ho pensato quando ho visto certe collisioni qualche tempo fa sullo switch che li collega.

    Poi Groove è partito per un’operazione chirurgica. Gli dovevano trapiantare per la seconda volta un alimentatore nuovo (e porca miseria quanto m’è costato ndr).

    Al ritorno non è stato più lo stesso.

    Ora Groove vede tutti (ma dico tutti) i computer tranne Vector1. Vector1 vede tutti (ma dico tutti) i computer tranne Groove. Di conseguenza: Groove e Vector1 non si vedono. Non si pingano, qualsiasi richiesta va in timeout, non si vedono con nessun protocollo. Un casino.

    Io so cos’è successo.
    Credetemi, Oxi lo sa che il mio computer ha un’anima.
    E anche parecchio incazzusa.
    È per questo che me lo sento.
    Groove e Vector1 hanno divorziato.
    Hanno divorziato, capite?

    Serio. Mi rivolgo agli smanettoni che passano di qui, tipo quelle faccione da smanettoni di ABS e Bruno (a proposito Bruno, ho riletto poco fa il post con cui ci siamo conosciuti ^^). Secondo voi cos’è successo? Ma soprattutto: chi è che sta facendo lo stronzo dei due? Perché lo stronzo c’è, sicuro.

    /* Considerate che a livello software non è cambiato nulla, e non ho firewall attivi, solo AVG. Nessun filtro IP o cose di questo genere. Ah, può essere utile sapere che sul serverino ho Big Brother, e ogni tanto ho scoperto che tenta una richiesta FTP su Groove… e Groove la vede! Però poi non riesce a rispondere. È come se Groove recepisse un messaggio dall’iperspazio però poi non sapesse a chi indirizzare la risposta. Boh. Dimenticavo: il DHCP però funziona (Vector1 è il server DHCP). */

  • Groucho “Στρεψιάδης” Marx dicavit.

    «Dormi, se puoi. O svegliati, se vuoi. Hai una tazza di caffè per scegliere di svegliarti, o un bicchiere di vino per lasciarti dormire».

    Aprì gli occhi respirando a pieno l’odore della pioggia d’estate. Fa sempre una strana impressione la pioggia, d’estate. Forse perché arriva, così calda e odorosa, così rinfrescante e piacevolmente imprevista, solo per mostrare quanto in verità sia da stolti cullarsi nel calore estivo, sperando che possa durare per sempre, quando invece è così effimero e di durata finita. Piccola legge incontrovertibile.

    «E non temerai di venir folgorato, perché sai bene di essere tu la folgore».

    E allora, in fondo, era anche normale che sentisse addosso un po’ di malinconia. Quella sensazione a metà. Quella dolce tristezza in cui è piacevole, a volte, cullarsi. Quasi-rassegnazione ad un desiderio inappagato perché inappagabile.

    Spesso, poi, alla malinconia si aggiunge la tendenza ad insinuare, giusto per un istante, il dubbio anche su ovvietà. Come: "è" si scrive con l’accento grave o acuto? Grave, diamine, che dubiti? No, niente, fai finta che abbia detto nulla e grazie per tutto il pesce.

    In queste situazioni, dunque, si dovrebbe ascoltare questa canzone.

    Dormi, dormi.

    Al buio, s’accendono pupille, attorno si dilatano, si posano, rimangono nell’ombra. E aspettano.

    Al buio, sepolte ancora vive branchie che si affannano, han denti di falena, ma nell’ombra… si spengono.

    Al buio, nel vuoto di vertigine anche l’ovvio è in bilico, la notte ha un occhio solo appeso in ombra, finché avrà un’ombra di sobrietà.

    No, buio! Per altri è già mattino, per me è cielo capovolto, il sogno dorme a riva, aspetta l’onda, aspetta l’ombra, e canta l’ombra, e poi nell’ombra… ritornerà.

    (Quintorigo, Illune)

  • Però China, sempre China.

    Questa è la cronistoria dei mirabolanti avvenimenti in cui furono coinvolti due infedeli, miscredenti e mispatriottici. Costoro ebbero avversi il fato, il tempo e persino il Sole, abbattendosi convergenti sulle loro teste per punirli del loro cattivo operato.

    In quel giorno in cui ognuno è moralmente costretto a rendere omaggio alla memoria di coloro che diedero libertà al Popolo (e magari volendo sottostare anche alle tesi scalmanate di certi bambinoni che, non essendo ormai più possibile per loro giocare a Guardie e Ladri senza che la Pubblica Autorità li fermi ritenendo tale gioco una forma di giustizia privata, cercano soddisfazione in varianti da veri adulti quali Comunisti vs. Fascisti, possibilmente indossando di nuovo eskimo o pantaloni a zampa d’elefante, e magari portando con sé una fida molotov e professando lo scontro ideologico sul terreno della guerriglia urbana), o se volete quel giorno in cui si ricorda il più sfigato dei quattro evangelisti, i due decisero di liberarsi – per l’appunto – da queste tradizionali costrizioni e godere finalmente del Gran Sole della Ventura Estate.

    Non mi biasimerete, dunque, se vi confesso che è stato davvero opportuno l’intervento del fato per ostacolare quest’empio progetto. Fato che decise, infatti, di creare una coltre di Nubi tale da occupare tutta la porzione di cielo visibile, tanto che alla fine la decisione presa in quel primo momento dai due fu resa vana.

    Bianca e Bernie, che chiameremo appunto così per vari motivi, soprattutto per il fatto che anche questi due viaggiano su una cosa che è sostanzialmente una scatola di latta, decisero quindi di catturare dei pennacchi da alcuni Carabinieri che stazionavano da quelle parti, fissarli nel CCD (dandogli ogni tanto un’occhiata nell’LCD), e sgusciar via verso il Gran Castello d’Oriente, dove Yao aveva conservato il mantello della loro principessa in attesa che i messi lo reclamassero.

    Qui i due scoprirono che i giganteschi Draghi Cinesi, messi lì a guardia dell’ingresso, dormivano ancora. Per ingannare l’attesa, quindi, decisero di immergersi nella cittadella blu, dove speravano di poter acquistare delle nuove armature al Bazar Delle Cose Che Devono (re)Stare.

    Ma anche in questo caso il fato ha fatto sì che i due, dopo aver affrontato strade impervie, zigzagato fra dragoni rumorosi, tentato numerose strade (persino invocando lo Stregone d’Occidente), arrivassero a destinazione scoprendo che qualcuno aveva ostruito l’ingresso con pesanti sbarre di metallo.

    Delusi, ma non rassegnati, i due tornarono a chiedere spiegazioni di tale comportamento al pravo Yao, il quale rispose «Tua lagazza lasciale vestito ieli!».

    Quale verità avrà voluto nascondere questo semidio, noto per i suoi arguti indovinelli degni della migliore Sfinge? Come interpretare il suo gesto? Improvvisamente, però, un piccolo demone si introdusse nella conversazione e porse un oggetto a Bianca.
    Era il mantello.

    Subito controllarono che il Sacro Graal Digitale fosse ancora al sicuro del suo (neanche tanto) morbido tessuto. Ma non c’era! Era sparito nel nulla! Yao, in preda al panico, cominciò a balbettare qualcosa, finché non disse «Folse caduta su tavolo e poltato via tutto quanto lavandelìa!». Questo turbò non poco Bernie, che aveva colto nelle sue parole quanto terribili fossero le conseguenze di questa sparizione. Apocalisse. Yao parlava dell’Apocalisse, e non vi era nulla che si potesse fare per evitarla.

    Amareggiati, i due decisero quindi di tornare alla Reggia per riferire i dettagli del viaggio. Il fato aveva intuito che ormai era riuscito nel suo intento, e quindi decise di consolare (piuttosto sadicamente, bisogna ammetterlo) i due ritirando il suo esercito di Nubi e lasciando che il Sole bruciasse ancor di più la ferita del fallimento.

    Tutto questo non prima che un soldato della retroguardia delle Nubi avesse chiamato a raccolta i loro Corrieri Aviari per attaccare di nascosto i due sconfitti, inferendogli il colpo di grazia.

    I Corrieri si disposero in formazione e sparararono, con precisione indicibile, tutti nello stesso punto. Un lembo del mantello della principessa. Corroso e devastato per sempre, a monito di come la nemesis theon sia incontrovertibilmente unica fonte di vera giustizia.

    E fu a seguito di quest’ultimo evento, quindi, che i due tornarono, affranti, consolandosi l’un l’altro fra i Veli della Disperazione, nella Reggia del proprio sintetico essere.

    A futura memoria.

  • Testa o croce v.2.0

    Avete tante idee per stasera e sono tutte sostanzialmente indifferenti? O magari sapete benissimo cosa fare ma state facendo finta di essere indecisi per convincere gli altri a decidere a caso e tentare la fortuna nella speranza che esca quello che vorreste voi? O dovete scegliere cosa fare della vostra vita ma ritenete più opportuno che sia il caso a deciderlo? O, più semplicemente, siete indecisi fra più di due possibilità?

    Lasciate stare i campionati di testa o croce. Noi abbiamo una soluzione più semplice.

    Il Decisore è un piccolo script PHP che si preoccuperà di prendere le varie opzioni che avete inserito, ordinarle casualmente, e poi di nuovo, e poi di nuovo per un altro numero imprecisato di volte. Dopodiché il computer fa il tocco e chi esce si becca un punto. Poi di nuovo. E di nuovo ancora per tante volte quante ne avrete specificate nel campo "Tentativi".

    Dopodiché usciranno i risultati della giocata con relativo vincitore.
    E voi saprete che fare stasera.

    No, non ringraziatemi. Anzi sì, così il mio ego ne sarà grato. =P

  • De contemptu mundi.

    Perché odio.

    Odio sentirmi indebolito, la testa che scoppia, e il movimento autonomo del mio corpo che fluisce via senza che la mente possa seguirla.

    Odio l’odore di piscio, alcool, fumo, vomito, sudore. Fra gente accalcata che si appoggia vicendevolmente senza meta, mentre cerchi di dribblare una lattina vuota e una bottiglia di birra, un piede e un copertone. E odio dover cercare il profumo del solito vino di merda per affievolire quel disagio.

    Odio gli LTA. La razza più infame. I figli dell’«o tempora o mores», della «bell’età dell’Oro», della «laudatio temporis acti», del «si stava meglio quando si stava peggio», del «qui una volta era tutta campagna, tutta campagna…», del «non ci sono più i %foobar% di una volta». Ma soprattutto, quelli del «vorrei poter tornare indietro». Simpatici posacenere da collezionare sulla mensola delle dolci e seducenti naività, da poggiare rigorosamente accanto a quelli del «sono tornato quello di prima».

    Ci sono questi piccoli istanti in cui sento un profondo disprezzo per il mondo circostante.
    Si tratta di un battito di ciglia, un’esplosione di coriandoli che scivolano giù come neve sul pavimento.

    E mi sentite parlare, parlare e parlare.
    Poi improvvisamente mi fermo.
    Fisso il vuoto.
    Riprendo a parlare.
    Di tutt’altro.

    Se lo faccio, non è perché pensi davvero che non sia il caso di non parlare di cose poco interessanti.

    Perché io continuerei a parlare all’infinito, e sempre con lo stesso entusiasmo, del tempo che passo a costruire questa piccola LAN casalinga, degli Access Point che collego ad uno switch per dare a tre piccoli server la possibilità di collegarsi via Ethernet, o dell’impossibilità a fare un backup in extremis sull’iBook perché mount_ftp va in sola lettura e mount_msdos non funziona perché sul CD manca giustappunto msdos.kext, cazzo.

    E poi, all’improvviso, scende una goccia sulla testa.
    Sfrigola su qualche sinapse surriscaldata.
    Mi fermo.
    Resetto.
    E posso provarci altre due o tre volte.
    Ma poi non riesco a riprendere il discorso di prima.
    Perché, nel suo piccolo, sarebbe come voler tornare quello di prima.