Category: Spent days

  • Carnival.

    Nella contemplazione di ciò che è sublime, l’uomo si trova contemporaneamente di fronte a due condizioni. La prima è una sensazione dotata di una forza irresistibilmente attraente, sensazione disagevole che porta l’uomo a rendersi conto della sua impotenza di fronte a qualcosa che va oltre i propri limiti. La seconda è il piacere intrinseco di riuscire, tuttavia, a riconoscere questi limiti, e poter concepire quindi l’esistenza di un qualcosa di sovrastante. Un esempio per tutti è l’infinito. Impensabile concretamente, ma concepibile per astrazione. L’infinito produce sensazioni di sublime.

    Volendo semplificare questa definizione ai minimi termini, sublime è ciò che produce sensazioni estreme opposte nello stesso istante, come impotenza-potenza, tristezza-felicità, rabbia-gioia, e così via.

    Ebbene. In quel lungo, lunghissimo carnevale, durato un centinaio di canzoni, bastarono davvero poche cose a rendere il tutto sublime. Due fiori. Un sorriso. Un ricordo. Ogni attimo si espandeva e si contraeva a piacimento, come un telo steso distrattamente sul tavolo, che puoi raggrinzire qui e stendere lì, scorrendo il dito lungo la diagonale, senza farlo mai tornare indietro.

    E infine tutto scivolò via, delicatamente, fra strade rannuvolate da gente d’ogni dove.
    O nel buio di una notte che cerca di annunciare un giorno senza più pioggia.

  • Del sapore secretato.

    Il mio piacere. La tua dannazione.
    Qui, ora.

    C’è un problema, perché dopo il risveglio dal lungo sonno qualcuno deve avermi toccato i capelli. E quindi ora c’è tutto un groviglio di sinapsi che sembra un hard disk con i settori danneggiati. Dico, una di quelle situazioni in cui le memorie ci sono, sì, ma sono così ingarbugliate ed inconcludenti che non riescono a riaffiorare in modo comprensibile, per quanto ci si sforzi. Che poi non si sa mai bene perché, c’è chi può pensare ad uno sbalzo di tensione, chi ad un urto troppo forte. Però è successo, ecco.

    E in questi casi l’unica cosa da fare è sovrascrivere. Già. Sovrastare i veli di un metatempo che sembra allontanarsi a dismisura ad ogni passo. Da qualche parte qualcuno si culla in letti sconosciuti, qualcun altro si affida a braccia donate dal caso. Io invece guardo le gocce traboccare, perdersi in mille fumi verso ogni direzione. Inspiro i dolci vapori di una piccola tisana della buonanotte, che riscalda occhi lucidi e viscere intorpidite, pizzica labbra arrossate dal freddo, culla i buoni ricordi. Lieve brivido contento.

    Domani, forse, sarà un risveglio ancora più dolce.

  • Capture The Flag.

    Spara. Cazzo, spara!
    Ha-ha. Fregato!

    Le piccole noie si sciolgono.
    In una mozzarella di bufala.
    In una bruschetta.
    In un deathmatch.
    In nickname dal sapore variabile.
    In una figuraccia evitata in tempo.

    Continua allegria.
    Inenarrabili risate.

  • If I could just compose myself.

    Ho fatto tardi. Mannò, sei in tempo; anzi, hai anche il tempo per una birra. Ah ma, hai visto?, c’è anche lui. E guarda, c’è anche… Oh, che bello, e lì? E… ah no, che strazio, quel parassita. Ehi, ma lì c’è…

    Birra. Ovunque. Parole, frasi intere da pescare nel nuvolone di pensieri che in troppi anni hai sopito. E com’era bello vedere tutta questa inspiegabile energia, sembrava in eccesso. Ah, ma te ne do un po’ se vuoi. Mah, non so, oggi sto già un po’ carico di mio, pensa che addirittura ho rischiato di fare un… No, dai, davvero, io trabocco; tò. Ma no dài. Prendi ho detto. Essì, ma adesso te la sorbisci tu tutta quest’iperattività. E vabbè poi si pensa. Ma basta che domani me lo ridica. E te lo ridico, va. Ecco bravo.

    Nel frattempo tre geni sprigionavano ancora altra energia.
    Basta, vi prego!
    Posate quella chitarra acustica,
    tagliate quel delay,
    acquietate quella voce!
    Basta, vi prego!
    Non potrei resistervi.

    E invece no. Non basta.
    Mentre ti bruci la tempia con una sigaretta maldestra, la distrazione ti sta sciogliendo.
    E invece no. Non va bene.
    Ti devo far ricordare ancora un paio di cosette.

    Dimmi, dimmi, dimmi:
    com’è stato masturbarti col mio pene?
    Come per me una sega tra le tue gambe?
    Si, conosco questa solitudine,
    e gli esercizi di eleganza delle nostre articolazioni.
    Serve, sì, serve l’afa di una notte nuda,
    per far evaporare la noia attraverso una sigaretta,
    che non si spegne mai, non si spegne mai…

    (Marta sui Tubi, Post)

    Ma dura quanto il ciclo di un ventilatore stanco, questa spinta al limitare. Perché hai ancora un piede appena poggiato, sì, ma ora l’altro è incatenato. Certo, non è il tuo equilibrio naturale. Ti ostacola. Ti irrita. Ma ci stai prendendo gusto, vero?

    E allora andiamo, ti spiego come scoprire ciò che ti è già noto, ignorare l’ignoto. Ti spiego il perché del sadomaso e dei mini-cocktail lunatici (come il suo autore). Ti spiego come non tornare indietro, per oltrepassare quella stupida soglia.

    No, spiegherai dopo.
    Ora devo specchiarmi.

  • Nightly balcony dreamaholics.

    Picture by fooorzaaa. Hand-made. Red ball-pen. Retouched. Deve smetterla di fare così caldo. Devo smetterla di guardare la vita scorrere in modo così incosciente (indecente) sotto il balcone sospeso sul vuoto. Sospeso lungo la linea retta, traiettoria di un uovo-proiettile sparato verso il luogo in cui non vuoi essere né oggi, né domani.

    E in quell’ammasso informe di mani così distrattamente indaffarate nel salutarti ritrovi le conseguenze di ciò che sei stato. Di ciò che sei. Inerme robboso in balia di onde sotterranee. E vorresti nasconderti dal reggaeton e dal punk ’70, vorresti tornare ad una chitarra che non suonerai, o un libro che non leggerai.

    O ad una penna stanca di scrivere.

    O ad un clacson irritato.

    Nottata calda e nostalgica. Come un tempo. Mai come un tempo. Sul balcone, caraffa di Heineken semi-surgelata. In attesa di un treno. O di un meteorite che si abbatta sulla carrozza motrice (ah, le cause di forza maggiore). Prendo una penna. Scriviamo! Non mi va di scrivere. Vabbè, io comincio, poi vedi te. Scrivo. Scrivo. Scrivo. Vediamo. È inutile che cerchi di leggere, ho scritto sul ginocchio, non ci capisce una mazza. Massì, tu intanto leggiti questo. Sento movimenti inconsulti della penna sul foglio. Ecco. Ma hai disegnato? Essì. Ah ok, allora poi gli do’ una ramazzata di scanner. Essì. Ah ok. Mi piace, sai? Riassume.

    (Picture: hand made by fooorzaaa)

  • The nobile art of the scratch.

    Pour faire le portrait d’un albatros.

    Nella terra di un Rudy sovrosannato si trincea il baluardo di un’estate che si ostina a non voler morire. Un’estate che cammina, lenta come la processione di un santo, incosciente come il normale, col suo seguito svolazzante di vanità. A volte cerco di trattenerne qualcosa per la coda, ma ben presto scivola via come se fosse d’aria.

    Ma certamente non ci si sta con le mani in mano. Anzi, ci si cerca di organizzare a piccole dosi, nell’attesa che, come tutte le cose, anche questa finisca. Per poter dire, finalmente, di essersela lasciata alle spalle.

    Medusa pietrifica.
    Il satiro sbriciola.
    Il vento spazza via.
    Il mare torbido lava.
    Il rum purifica.

    Piccola catena di smontaggio per un piccolo fuggitivo. Per fare a pezzi quei cristalli di zucchero (bada bene, non di miele), che inevitabilmente rotolano e, come una palla di neve in un cartone animato, diventano sempre più grandi, sempre più compatti.

    Arriverà presto l’inverno delle piccole vere gocce emozionali?

  • Definitely not in the right mood.

    Ma vaffanculo.

    A tutti i Luna Park, a Parigi, a Phantastica, alle luci soffuse, all’istinto di cercare e il terrore di trovare, alle attese spossanti e altre ben più attese spasmodiche da stand-by, a personaggi inutili che si piazzano in linea d’aria verso lo schermo nel momento più sbagliato, a CD di dubbio gusto messi in sottofondo nel momento ancor più sbagliato, alle curve da mal d’auto, alle batterie scariche e i vigili cercavetro.

    Se non fosse per.

    La Crest.
    Le attenzioni a gratis.
    FatBoy Slim.
    Sogni così dolci.
    Click.

    [la mia testa è un focolaio di sovversivi]

  • Fore de capu!

    Terapia.
    Okay baby.

    Non darà alcun significato alla tua vita, ma ti dice cosa ti succederà. Allora: ci sono tre cose importanti nella vita. Sono i fattori che motivano qualsiasi cosa tu faccia, per qualsiasi cosa chiunque faccia. Il primo è la sopravvivenza, il secondo l’ordine sociale e il terzo il divertimento. Tutto, nella vita, procede in quest’ordine.

    (Linus Torvalds, Rivoluzionario per caso, Garzanti 2002)

    [ Ma nella mia testa era tutt’altro.
    Qualcosa che fa più o meno.
    In primo luogo la soddisfazione individuale.
    Successivamente il riconoscimento da un prossimo.
    Infine il riconoscimento da parte di un nucleo sociale.
    C’è chi parte dalla fine.
    Io partivo dal centro.
    E il problema forse era tutto lì. ]

    Continuavo a mordermi le labbra gonfie.

    Mentre.

    Mentre si parlava di Coffee&Cigarettes bevendo caffè rovente e succhiando avidamente le ultime Camel Natural Flavour. Mentre guardavo lo sguardo contrito da crisi del ’29 e ti interrogavo sadicamente sulla Valle d’Itria. Mentre sorridevo a quegli occhioni fumosi. Mentre rifuggivo la luce diretta come un vampiro (e sarà per quello che mi si voleva uccidere piantandomi canini d’avorio nel petto). Mentre mi chiedevo se era il caso di continuare ad abusare dell’ospitalità del Carrefour. Mentre il mod mi spingeva a rubare un’altra Lucky Strike ma restava solo un altro zibibbo da bere a goccia. Mentre urlavo con tutta la mia forza contro Don Callisto, con gli occhi lucidi di gioia dai riflessi rosa shocking. Mentre cercavo di togliere il sonno dagli occhi, ma come fai se prima ci son strati e strati di sabbia da scavar via?

    [ Abbraccia la mia acquiescenza. Sì.
    Stringi forte, forte. Forte ti prego.
    Dopo, questo velo,
    in giusta giustapposizione,
    potrà anche volar via. ]

    Mentre.

    Continuavo a mordermi le labbra gonfie.
    Cercando di succhiare ciò che restava.
    Di ricordi su ricordi su ricordi e ricordi ancora.
    Ricordi?

    E quanto potrà dar fastidio ad un rom sentirsi dire di nazionalità probabilmente rumena così apolidi e a volte lo sono anch’io quando mi fermo al confine ma dopotutto non mi sento paralizzato e faccio un piccolo passo in avanti torno indietro e poi ne rifaccio uno un po’ più lungo roba da sfigati ma è tutto così soave e dietro la o di soave c’è tutto un altro amorfo fiume di parole che forse non verrà mai fuori o forse è già scivolato via.

    What better place than here,
    what better time than now?

    (Rage Against The Machine, Guerrilla Radio)

    In sostanza non so se ero lì.
    Anzi: non so se stavo lì.
    Però la prossima volta ci penso io, porto il gatto a nove code!

  • Take 5, leave 4. Get 3dom in2 1 of ur litt’l worlds.

    5.

    Dev’esserci qualcosa di cabalistico nella mia preferenza verso il 2.
    Perché 2 dev’essere necessariamente il numero perfetto.
    Ovviamente facendo seguire a ruota il 4.
    Figlia bastarda, nata per partenogenesi,
    da un 2+2,
    poi da un 2*2,
    e poi anche da un 2^2.

    E quel quadretto formato da quei quattro era effettivamente perfetto. Era un’armonia costante e imperturbabile. Era una brodaglia di sensazioni esaltanti e di serenità che ho tentato di trascinare e trascinare, con tutte le mie forze, anche quando sapevo che sarebbe evaporata in non più di… non so… 4 mesi.

    Perché 2/2 non fa 4.
    E non fa neanche 2.
    Fa 1.

    E sarà forse questo il pensiero che ticchetta costante fra le sinapsi, quando riconosco l’asfalto e l’ultimo granello di sabbia, quando le luci scompaiono nello specchietto in frantumi, quando sento i pedali sotto il palmo dei piedi nudi, quando inganno l’attesa ascoltando De Andre’, quando tento di sprizzare elettricità in un barattolo di vetro, quando vorrei fermarmi e scavalcare di nuovo quel muretto.

    Quando ti sforzi di non credere più,
    ma dopo qualche minuto il vento,
    fortissimo,
    picchietta ancora una volta.

    4.

    Fresca pioggia…
    Pioggia? Acquazzone!
    Turbine, maremoto, tempesta!
    Di cui vorrei sentirmi pregno, una volta ancora.

    3.

    Passeranno anni, ed anni ancora, e ancora altri, ma ci sarà ancora un cricetino in testa che si ostinerà a far capolino dalla sua tana, lanciarsi di corsa sulla sua ruota preferita, e girare impazzito fino allo stremo delle sue forze.

    Passeranno anni, ed anni ancora, e ancora altri, ma continuerò a sorridere anche quando il sorriso tutt’intorno sarà spento e svogliato.

    Passeranno anni, ed anni ancora, e ancora altri, ma vorrò ancora tirare ad indovinare il risultato del tuo incessante far scorrere inchiostro in lettere chilometriche, in taccuini presto sgualciti, in bigliettini stropicciati.

    2.

    Non finirà.

    1.

    Loneliestnumber.

  • Inaltreparole.

    Scivola lenta la notte d’estate,
    notte distratta, notte d’altrieri,
    in terra d’Alice il passato scrimpare,
    in cielo cobalto il presente mirare.

    Scivola piano la pioggia d’estate,
    pioggia d’oriente, pioggia di ieri,
    di fuochi e certezze, di fiere altere,
    di spirito e bene, di tatto e di vene.

    Scivola dolce la mente in estate,
    rotola, densa, impetuosa e distante,
    in piccole dosi cristalli di miele,
    si sciolgono presto in pioggia da bere.