Category: Spent days

  • Storia di un calzino spaiato.

    Roma è infida. Ora l’amo, ora l’odio. Roma si perde in confusionari giraddestra e poi subitassinistra. Roma si illumina ad arte per lasciarti imbambolato. Roma lascia che il Vaticano ti faccia un controllo di buon costume poco prima di entrare nel suo territorio. Roma ti spenna ma poi ti fa rivendere foulard a prezzo pieno. Roma è calda e ti coccola con un frappè al cioccolato, ma prima ti toglie ogni forza e ti incolla all’asfalto appiccicoso.

    Subdola è stata tanto brava, e ci ha sopportati tutte le volte che le abbiamo rotto i maroni al telefono per trovare posti subdolamente veraci o posteggi subdolamente economici. Peccato averla ricompensata facendola rincoglionire appresso a due appestati in piena insolazione. Ma vabbè. Ci rifaremo se ricambierai la visita (nel senso che noi continueremo ad essere insolati, ma ti indicheremo noi un posto dove rinfrescare le fauci).

  • Baciando la pioggia.

    C’era questa scatola. Questa scatola che molti avevano già aperto. E venivano a parlarmene, concitati. Dicevano: guarda questa foto, guarda! E io volevo aprirla, questa cazzo di scatola, volevo proprio aprirla.

    Sono passati anni, e questa scatola era rimasta lì, buona buona, ben chiusa e schiacciata nei suoi graziosi ritratti. E allora era logico pensare che, ammettendo l’esistenza di una qualche forma di destino, si dovesse semplicemente aver pazienza, e attendere l’elemento-chiave. Che è arrivato.

    Fuga. Divisione. Preziosa. Con.
    Condividere la fuga impreziosendo l’esperienza insieme ad un essere prezioso.

    E la scatola, inutile dirlo, si aprì. Finalmente. Un tripudio di candele, tappeti, lenzuola candide, veli. Calore. Vapori profumati, respirali piano. Riscaldati tra le mie braccia, scivola sott’acqua, riparati sott’acqua, respira sott’acqua. Sono una piccola nuvola che guarda tutto dall’alto, sono una piccola graziosa fottutissima nuvola fragile che ti porterà sempre in spalla e ti vorrà sempre così leggera. Altrimenti si farà pioggia e ti trascinerà ancora via con sé, nascosti e onnipresenti, lontani da qui, per tornare a rasserenarsi, quando tutto intorno torna a tacere, dall’alto di questo piccolo cielo.

    Ce l’ho.
    Ce l’ho e lo stringo forte,
    il mio piccolo cielo.

  • Pulizie di primavera.

    Tra esami, musical, reazioni isteriche di bimbini patetici e disgusto generale verso nuove maschere, mi sa mi sa che dovrò fare una bella lavanda gastrica. Giusto prezzo da pagare per una testa un po’ meno pesante.

  • Il ciclo delle quinte.

    Nella composizione musicale della mia vita mi è capitato spesso di incontrare un accordo di Bm7, attratto irresistibilmente da Em e Fm. Si tratta di un gioco molto particolare. Se si attacca a strimpellare a partire da uno qualsiasi di questi due, non passa molto tempo prima che la mano, spostatasi per un attimo su Bm7, sembra voglia tornar lì.

    Si accendono le luci nella piccola sala.
    Calde come il colore di un tramonto.
    Suona una canzone di briganti.

    Omo se nasce, brigante se more,
    ma fino all’ultimo avimma sparà.
    E se murimmo menate nu fiore
    e na bestemmia pe’ ‘sta libertà.

    (Canto popolare anonimo)

    Le luci si spengono nella sala, ora più grande.
    Fredde e materiali come il colore in flash.
    Dietro il velo azzurrino, invece, un magma ribolle.

    E la piccola composizione continua ad essere in tono minore, poi maggiore, poi ancora minore. E cerco di lasciare che la terza resti lì, buona buona, mentre gli altri gradi cambiano. Finché non capirai che un accordo triste sa smuovere il cuore e farsi apprezzare, e un accordo in maggiore coccola l’udito ma, presto o tardi, non basta più.

  • Istinto di auto-conversazione.

    Nel Giorno del Bene e del Male mi accorgo solo ora che è il Giorno del Bene e del Male. Nel Giorno del Bene e del Male prendo la moto e mi metto in moto, facendo attenzione a sorpassare da sinistra. Nel Giorno del Bene e del Male penso che, dopotutto, non c’è molto da fare che sorpassare da destra in certi punti, anche se questo non giustifica i miei inconsci tentativi di ribadire un Altro Giorno del Bene e del Male (più Bene che Male). Nel Giorno del Bene e del Male, senza accorgersene, si sviluppano piccoli e grandi spartitraffici verso innumerevoli direzioni. Si prende uno svincolo differente e si nota soltanto più tardi la differenza. Nel Giorno del Bene e del Male si fanno anche cose divertenti, perché nel Giorno del Bene e del Male, dopotutto, tutto scorre tutt’ora un po’ come sempre.

    Nel Giorno del Bene e del Male quasi non mi accorgevo del Giorno del Bene e del Male.

  • Το πρόβλημα είναι βίος.

    Cammino con la testa rincantucciata nel mio cappuccio, e sorrido alla vecchia che sbraita contro chissà chi laggiù. Calpesto la tetta di una signorina in bikini su un catalogo abbandonato sull’asfalto e chiedo scusa, passo avanti, arriva una medusa, guardo e passo oltre, scorgo in lontananza un fiore di loto che muore d’indifferenza, e una collina nera bagnata di pianto. La luce cambia i suoi colori, e il cuore batte tanto da far girar la testa. All’improvviso: immoto; subito: ripresa.

    Mentre studio possibili cause e possibili effetti spero che sia proprio quel soffio a renderci vivi.

  • Nutorama.

    Quando mi chiederai se qualcosa è cambiato, ti risponderò di sì.
    Guardandoti negli occhi per perdermi nei bagliori dei tuoi,
    e con quel sorriso di chi vuol sentirsi pronto ad affrontare sempre un po’ di tutto.

    Impagabile stadera.

  • The Dumper, last episode (at late night, double feature, picture show).

    Maledetti pecoroni.
    Avete quello che meritate.

    Per questo e mille altri motivi non ti lascerò.

  • The Dumper, special edition!

    › Con la collaborazione di #9.

    Oggi è un bel giorno di sole.

    Caldo, luminoso, con un venticello fresco che iovolevorestareacasaperlatonsillitemaproprionièente. Quale migliore occasione se non questa per una gitarella in extremis, in barba agli impegni? Fra le fresche frasche, le campagne, le camporell… ehm… vabbè insomma, era situazione bucolica, questo si è capito.

    E dunque: i fiori fiorivano, le immondizie immonnezzavano, gli uccellini uccellavano; e lui era come Rinaldo che si specchiava negli occhi di Armida, che a sua volta si specchiava negli occhi di Beatrice, che a sua volta si specchiava negli occhi di Iddìo in persona, che a sua volta si specchiava nello specchietto retrovis…

    – Ale, c’è una macchina.
    – No allora senti, se mi chiami "Ale" già cominciamo male eh?
    – No Ale davvero, c’è una macchina della Polizia, svelto!
    – Sì vabbè, ma che scherzi da prete, dico io.
    – …
    – [guarda allo specchietto] …
    – Muoviti!
    – Cazzocazzocazzocazzo…
    – Madò!
    – Ma tanto noi non stiamo facendo niente, oh.
    – Prima di tutto siamo in una proprietà privata, e comun…
    – Ma dài, non c’è scritto da nessuna parte, e poi non ci sono neanche cancelli, murett…
    – Ma dobbiamo stare a fare proprio adesso la disquisizione giuridica? MUOVITI!
    – Ehm… sì… cazzocazzocazzocazzo…

    La macchina della Polizia si avvicina sempre più e si ferma ad un metro.
    Gli arti cominciano ad avere rapidi movimenti di chiaro stampo parkinsoniano.
    Continuiamo a guardare allo specchietto (o meglio, uno continua, mentre l’altro più che altro si ostina a non volersi metter gli occhiali in preda ad una idiotissima crisi isterica).

    – Madò adesso scendono e ci fanno la multa! [si tuffa nei meandri più reconditi della macchina in cerca dei calzinicazzosempreilcalzino]
    – E che cazzo ci inventiamo?
    – [si ricorda che la maglietta è al contrario e, stoicamente, incurante dei 40° all’interno dell’abitacolo, indossa il maglione]
    – Madòmadòmadò…
    – Cazzocazzocazzo…
    – Madòmadòmadò…
    [ad libitum]

    – Ma non scendono?
    – No, uno sta agitando le mani, come a dire "ma avete finito?"
    – Non è che magari sta chiedendo se è tutto a posto?
    – …
    – …
    – Ehi, ma se ne stanno andando! [tutta tremante]
    – Davvero? [gli occhi si illuminano e ne approfitta per puntarli all’abitacolo in cui intanto risulta ancora disperso l’altro calzino]
    – Beh, allora andiamo… [tira un sospiro di sollievo, quindi scoppia in una risata isterica da 42’33"]

    – No, cazzo, sono fermi all’incrocio!
    – Adesso ci fermano…
    – Bisogna dimostrare che stiamo insieme!
    – Perché scusa?
    – Perché secondo me pensano a roba di prostituzione…
    – Beh, non mi pare proprio di avere le fattezze di una nigeriana!
    – E metti che ti prendono, chessò, per una rumena?
    – Ti sembra che abbia la faccia da prostituta?
    – Beh, potresti essere una che lavora in proprio…
    – Ma che cazzo dici?! Piuttosto vuoi levare ‘sto portaf… vabbè, faccio io! [toglie il portafoglio dal cruscotto]

    – Oh senti, adesso devono girare, e noi giriamo dalla parte opposta e basta…
    – Hanno svoltato a destra!
    – E io vado a sinistra!
    – No, aspetta, di là dove andiamo a finire poi?

    Dispersi tragicamente nel ritrovare la strada, persi fra le lande desolate di paesini a malapena conosciuti per via dei loro nomi arcani. Rischiando di morire di fame, lei decise di addentare lui in preda ad un raptus. Lui, in preda ad un accesso di rabbia funesta, decise di venderla ad un suo amico pappone sulla SS96, e sparì in Venezuela dedicandosi al commercio clandestino di organi.

    Smettiamola col terrorismo psicologico della Polizia.
    Free camporella.
    Ebbà.

  • Τα γλυκιά μου μικρή νύχτα.

    Nella mia piccola dolce notte piove a dirotto. Il pomeriggio caldo lascia ancora il posto alla notte gelida, che punge i piedi sotto le galosce umide, e i brividi corrono inaspettatamente lungo la schiena.

    C’è questa stanza, larga e altissima, sprecata rispetto alla poca gente seduta al tavolo. Fra quei tavoli color noce, sorseggiando una tazza d’infuso, ci siamo noi due. Abbiamo aggiunto un po’ di vodka per goderne l’odore mentre si mescola, ancor più pungente, tra i vapori.

    Il nostro sguardo vaga intorno, soffermandosi sui piccoli particolari. La forma dei bottoni della giacca del signore al tavolo di fianco. I riflessi dell’enorme lampadario sul soffitto che, impassibile, lo accoglie nonostante il suo peso. La sigaretta senza filtro della signora triste all’angolo opposto. Poi, in realtà, Ain’t misbehaving finisce per catturare in sé ogni tentativo di distrazione. Studiamo ogni movimento dei polsi, delle labbra, delle dita, dei pomi d’Adamo, ne seguiamo la scia, ne visualizziamo l’onda sonora. Ne percepiamo il calore. Piove su un’enorme cupola tiepida, e noi guardiamo, curiosi, le mille direzioni in cui si infrangono mille gocce sul vetro. Piove su un’enorme scatola soleggiata, e noi ne ascoltiamo l’allegro ticchettìo regolare.

    Ad un certo punto mi giro verso di te.
    Ti guardo negli occhi, scruto il tuo sorriso.
    Sei dolce come questa melodia.