Category: Spent days

  • Continuo a rimirare questo splendido quadretto.

    Per la tua tempera. Per il tuo trucco. Per il tuo nylon color sciarpa. Per la sorpresa. Per chi c’era, e per chi non c’era (e magari ha bevuto un bicchiere di vino in più alla mia salute). Per chi non ne sapeva nulla. Per chi non ha capito. Ma soprattutto per chi ha capito.

    Per il fante che subiva, la regina con diritto di veto e il re che dava ordini perentori al mescitore. Per il tuo bambino, mescitore. Per la torta che non dava di frittata, né di acido citrico (deo gratia) ma piuttosto di cioccolato e albicocca. Tre macchie di cioccolato bianco e un cero per esprimere nessun desiderio.

    Per il tuo benvenuto nel tuo antro. Per i vostri baci e le vostre risate. Per i vostri cicchetti di rum e pera (edulcorato) e pera e rum. «Comanda colore: marrone o beige?» «Beige? Ma il succo di pera non dovrebbe essere giallo?!». Per le tue lacrime e la tua presenza rinfrancante (dolcezza nella mestizia). Per la tua voglia di una gonna. Per il tuo apparecchio interno. Per i tuoi stivali… come dire… aggressivi (soprattutto nei confronti del mio piede!). Per i tuoi piedi nudi pieni di cenere e briciole di cipster, e le tue scarpe volate chissà dove. Per il montone che cavalca una cavalletta.

    Per questo e tanto altro ancora, e anche se magari non tutti potrete venirlo a sapere: grazie. A ciascuno. Non è stato commovente. È stato speciale.

  • Track 21. Balance 0. Fader 0.

    Bene. Ancora poche ore e un grande processore intangibile eseguirà una un qualcosa come INC AX. Un battito d’ali di farfalla. Un alluvione in Amazzonia. Divertente, vero?

    Poi tu e il tuo centro sprofonderete nel baratro delle domande. Ma, prima di arrivar lì, una domanda vorrei fartela io. Beh, sì, insomma, conservatela per domani, però fammela dire ora prima che mi dimentichi.

    Dimmi, su: come ti senti? Anzi, «senza un programma, dimmi, come ci si sente?».
    No, no, a questa domanda potrei anche rispondere io al posto tuo, tanto conoscendoti si sa quale sarebbe la risposta. Piuttosto, forse sarebbe interessante chiederti: come ti sembra guardarti indietro una volta giunto a questo punto? Già, perché lo so che questa domanda non te la sei mai posta finora. Allora pensaci: cos’hai fatto finora? Com’è stato? Com’è stato cercare di fermare la pioggia per accontentare chi voleva belle giornate, uccidere il sole per accontentare chi voleva un po’ di buio, versar sudore per aiutare campi aridi e bere acqua salmastra per salvarli dalle alluvioni? Com’è stato veder sguardi soddisfatti del tuo operato?

    E sento che non ti offenderai se ti dico che credi di aver fatto tutto questo. In realtà, a mio avviso, hai cercato [e mi consentano il paragone le lobby antifumo] di metterti 20 sigarette in bocca e, oltre ad esserti ustionato la gola, hai acceso male metà pacchetto e ora lo dovrai buttare.

    Ma basta, non ci pensare.
    Per consolarti ti dico il regalo che ti farò.
    Forse il regalo che desideri di più (beh, visto che ti conosco da un bel po’, vecchio mio, credo di potermi permettere questa puntina di presunzione, non credi?).

    Una giostra.
    Certo, una giostra enorme.
    Sì, ci son solo due posti, uno per te e uno per il tuo centro.
    Ed è una di quelle giostre che vi solleva rapidamente da terra e, inbragati a dovere, vi fan girare e girare e girare ancora fino a perdere i sensi. In senso orario. Poi in senso antiorario. Poi verso l’alto. Poi verso il basso. Per guardare dall’alto il passato, il presente, lei, lui, il momento e la cicatrice, i sorrisi, il ruotino anti-ribaltamento del cazzo e chi si è messo al suo posto, e ancora qualcos’altro che ora sarebbe inutile snocciolare.

    Insomma, una di quelle giostre che all’improvviso vi sbatterà violentemente in ogni dove. Ma userai una bolla di sapone per attutire l’urto contro un suolo di gomma. E un piumone per lenire il dolore.

    Vai, sbrigati. La solfa sta per iniziare.

  • E il verde acqua diventò neutro acciaio.

    Era come una linea sinuosa che si sviluppava in alto e in basso lungo il tempo di piccole liti, ritardi e spiacevoli sorprese, cani (sì, anche Nikita makes me smile), baci in gruppo, baci sul mento, 3 cuba libre, 3 piña colada, mojito e vodka pesca lemon.

    Ma anche collant strappati, scarpine e gonne, girovagando in ogni direzione, con la testa stanca poggiata di lato e il viso che lo sciamano, con larghi gesti armoniosi, aveva ordinato di dividere a metà tra il sette e l’otto; e poi finalmente guardare e riguardare ogni centimetro di ogni foto per scrutare un particolare che rievocasse un qualsiasi momento. Istanti che contengono altri istanti e altri ancora, e scivolano verso un infinito quadridimensionale, come tra due specchi in parallelo. Istanti da catturare e rivivere. Rivivere.

    Ancora una volta ho desiderato che questa pelle stanca e morbida non dovesse mai tornare.

  • Wherever my soul mate would be.

    Sweetly slides away, in a rainy vanilla sky, with thoughts just tainted with shiny violet, purple and black.

    Sensations softly float far distant over our head, trying to reach the top with a slow flight. Then they suddenly fall down. With a crash.

    A new flavour for everything. Progressively. Softly. Sweetly.

  • Ehm… perdonami, ma se Cody dice di non essere australiano… cosa dovrei mai andare a pensare?

    Probabilmente che Cody non sia mai stato australiano.

    Così, quando Bernie ebbe quest’ennesima rivelazione, prese coraggio e decise cosa fare.

    «Questa sera sentirò rubini dissolti nell’ambrosia scendere lungo il mio corpo e risalire lungo la schiena, mentre Virgilio mi accompagnerà nel lungo tragitto che porta al sacro parapendìo.»

    «Giunto lì griderò con voce piena uno schwa, o una qualche altra vocale dal timbro indistinto, e sputerò fuori un po’ di tristezza (e la tristezza è rabbia repressa, diceva Freud… non male). Dopodiché mi metterò in bilico sul pozzo e non sentirò altro che odori di umido, eco di campanacci e latrati, e scrosciare di flussi d’acqua che si arrovellano l’uno sull’altro.»

    «Quando sarò soddisfatto trascinerò il mio Virgilio più in là e ci nasconderemo in una grotta. E poi un’altra. E un’altra ancora. E infine vorremo leggere le trame del cotone e farsene accarezzare dolcemente. E scoprire forme nuove e più primitive.»

    Brucia il tabacco nel cilindro di carta velina.
    Una sottile scia di fumo denso vola sinuosamente verso l’alto, separandosi in vortici che si sperdono, alla fine del loro tragitto, nell’aria comune. Cody forse avrebbe voluto poter fermare queste idee nella loro prima essenza, senza scottarsi.

    O raccoglierle sotto la campana di una lampada.
    O frenarle lungo la condensa sul vetro inclinato del parabrezza.

  • Dogs and taranta make me smile.

    Bienvenue dans le cirque du rien.

    No cash. No fuel. And no more bottles of water. And no sleep. No balls. No balls. No balls. No know-how, then no idea on how tomorrow will go on. And no reasonable reason of nodding for a learning-brand-new-desaparecido.

    Everything around me. Nothing for me.

    La soundtrack iniziò con Passive Aggressive. Poi arrivò un napoletano un po’ italiano-provincia-di-Foggia e un po’ tutto il resto, che mostrò agli astanti il potere della taranta (beh sì, sono 30 anni che produce musica nova), e in cambio invitò tutti a seguirlo in silenzio. Silenzio non fu, invece. E di conseguenza si finì con un turbine di pensieri che vorticavano e si scontravano alla stessa velocità del sangue di Crest.

    Auguratemi in bocca al lupo entro domani alle 9. E di toccarmi i capelli domani e per i prossimi mille anni.

  • Corto e malriuscito.

    Una sigaretta si infrange sull’asfalto in sprazzi di luce che si fanno lanciare in ogni dove per il breve tragitto che le fa ardere fino alla morte.

    Una bottiglietta d’acqua. Una reflex. Occhi rossi ai riflessi di uno degli infiniti diversi tramonti. Un sedile. Quella non è più la nostra auto (o comunque non è più la mia auto). Il morso è più maturo. «Non ti sei mosso per risolvere questa situazione, così l’ho fatto io!» «Sono cazzi miei!» «No.». Prendo un muro di legno e lo incastro in un altro muro di cemento, incastrato in un altro muro di indifferenza. Non me la sento, non mi va. Pace. Fretless. Buonasera. Silenzio. Buonanotte.

    Mi conservo in una campana d’avorio.

  • 92 minuti di blackout. 40 secondi di niente.

    Il papa parla di nuovo ordine mondiale, di una Chiesa per cui morire, nonché di un’unica e sola vera Ragione.

    Previsione apocalittiche affiancano alla prossima morte del Sole il collasso del Sistema Economico Mondiale entro il 2012. Senza contare poi il fatto che rimarremo senza terra a causa del riscaldamento globale, e senza considerare deduzioni che portano a prevedere una futura Terza Guerra Mondiale fra Stati Uniti e Cina, così come altri catastrofici anatemi.

    Probabilmente aveva ragione Malthus, siamo troppi rispetto alle risorse, e quindi ben vengano catastrofi naturali e ben-poco-naturali per sfollare un po’ (a meno di accettare come soluzione la castità… stiamo parlando pur sempre di un prelato…).

    Io intanto continuo ad aspettare al varco.

  • Tornerò da te.

    Milano.

    Caotica mamma che accudisce i suoi pargoli fra rassicuranti grattacieli e immensi quartieri tagliati dalla metropolitana e dall’acqua di più fiumi che la attraversarono prima di essere sommersi dal cemento. Tassisti che ogni volta si scoprono Milanesi trapiantati ora da Bisceglie (no, non la zona, la città!), ora dalla Sicilia, ora da Genova… e, qualunque sia il tragitto da fare, fan sempre pagare più o meno 10 euro. Evidentemente mi sfugge qualcosa di questo meccanismo.

    Give me a reason to love you,
    give a reason to be a woman.

    (Portishead, Sheared box)

    Intermezzo.

    Sul treno un francese ha preso l’Eurostar per una sorta di micro-Hyde Park. Immerso nella lettura e in dissertazioni filosofiche con l’amico Morfeo, decide ad un certo punto di togliersi le scarpe e sventolare i graziosi e olezzosi piedini al fresco del bocchettone dell’aria condizionata.

    Non per voler andare a stereotipi, però… beh, si è capito.

    Il tuo sorriso mi disgusta.

    (Quintorigo, Rospo)

    Bologna.

    Calma. Chilometri di portici da attraversare rigorosamente sotto la pioggia, tranne quando c’è da improvvisare una cena, rigorosamente alla Coop.

    Bologna nera? No way. Bologna rossa. Tutta rossa. In ogni senso.

    Apri le mie labbra, aprile, dolcemente.
    Aiuta il mio cuore.
    Cometa cuci la bocca ai profeti.
    Cometa chiudi la bocca e vattene via.
    Lascia che sia io a trovare la libertà.

    (Area, Cometa rossa, trad. [purtroppo] dal greco)

    Calma. Calma. Strade deserte già dalle 22. Giusto il tempo per un gelato o tre bottigliette d’acqua, a volte con sportivi della prima ora indaffarati in discussioni spazianti (e spiazzanti, se mi consentite). Oppure c’è via Zamboni, che a quest’ora è un crocevia in cui s’incontrano le caste. Fighetti, alternativi, punkabbestia, intoccabili, … si incontrano, chiacchierano, si danno appuntamento per vedersi in qualche altro posto. Finalmente gente che ammette l’inutilità di ripararsi dietro un modo di vestire o di atteggiarsi. Senza troppe categorizzazioni, e senza troppo senso di appartenenza (a cosa poi?).

    Piccoli acquisti un po’ per tutti al mercato di piazza VIII Aprile (anzi, anzi… la piassòla), e al Parco della Montagnola (anzi, anzi… dela Montagnòla). Tre paia di calze a righe. Model pour femme. E chi se ne frega.

    La signora del B&B ci ha consigliato di stare attenti a quelli che noi molto sbrigativamente definiremmo topini (beh, sì, anche se non son dotati della graziosità che il termine ispirerebbe) lungo il tragitto verso via Indipendenza. Alcuni ragazzi di Napoli, altrettanto sbrigativamente, hanno fatto finta di esser grandi esperti di situazioni simili. E per due volte hanno ricevuto le "attenzioni" dei cleptomani. Noi siam rimasti incolumi. Col metodo alla barese. Ebbene sì, Bari-Napoli 1-0 (poco galante, lo ammetto, ma me la dovevo togliere ‘sta soddisfazione).

    Tutto il resto son foto, immagini confuse nella mia memoria che un viaggio di ritorno di una decina d’ore non mi aiuta a riorganizzare (e si ringrazia Trenitalia e i freni bruciacchiosi dell’InterCity Plus per la collaborazione), e pensieri che voglio tenere stretto.

    Torno agli schiamazzi diurni e notturni e al caos di una città che alla fine mi è mancata, e mi appartiene. Torno alla realtà che voglio veder stravolta al più presto e nel modo più violento possibile.

    Non so se ci riuscirò.
    In ogni caso buon viaggio anche a voi.