Virnevera.

Virne continua a masticare foglioline senza odore. Non può sentire odori, a parte il suo, che è quasi impercettibile eppure così stravolgente, come i feromoni. Può sentire i suoni: un accordo in minore per due occhi sfuggiti al riflesso della luce, un accordo in maggiore per un sorriso pulsante.

Virne non può morire, ma continua a combattere per la sua sopravvivenza. Ogni anno, per qualche mese, lotta affinché non giunga Vera. Poi Vera vince e lui le deve lasciare il posto. Si lecca le ferite e si prepara a ricominciare l’anno dopo.

Virne annuncia il suo arrivo con accette che separano il suo predecessore con tagli netti. Alcuni profondi, altri meno, altri ancora delicati, quel che basta per smussare gli angoli. Tutti lo temono, perciò cercano (o si rifugiano nuovamente al) riparo dal suo gelido incedere.

Forza | affinché non | [siano] cose reali/tangibili.

La verità di Virne.

Forze nascoste nascondono debolezze prominenti premiando prostituzioni precotte mentali, mentoniere per menti caduchi e catartici. Catartico: categoria costringente eppure così cataliberatoria. Una serie di kata purificano la memoria. Damnatio memoriae. Non è dimenticanza, ma ibernazione del pensiero. Ibernare l’inverno.

Virne è cosciente del suo potere.

Virne lotta affinché non giunga Vera.

Voce in controfase.

Fase. Dalla seconda alla terza fase.

Messaggio subliminale di quattro minuti, con un vago LFO che alterna ipnoticamente la risonanza. «Verità innocue congelano le labbra… la gente lucida non pensa più a niente».

E poi la neve si scioglie. La neve si scioglie. E, una volta asciutto, tornerò ad essere contento. No, non sarò contento. Sarò felice. Certe cose pesano, ma non fanno altro che scolpire un cuore di piombo. Cuore. Di piombo.

A volte lei cambia pelle, e lo confessa a me continuamente. Lei esplora l’ordine diffuso da me, ed ora è chiaro che la carie più viva sei solo tu. Demone, demone, come cadi bene, un bolide! Diamine, demone, l’ansia divora.

A volte compaiono streghe… La psicoanalisi non funziona più come io vorrei. La serpe non cambia pelle. E non è vero che la carie più viva resti solo tu.

(Verdena, Glamodrama, Il Suicidio dei Samurai)

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De reMix.

C’è un grande brodo universale dal quale ogni tanto estraiamo canzoni, album o intere discografie. Le ascoltiamo svogliatamente e non ci piacciono. Quindi decidiamo di ributtarle nel calderone.

Poi arriva una sorta di deus ex machina che ti impone in qualche modo di riascoltarle. E riascoltarle. E riascoltarle ancora. E riascoltarle la sera prima di andare a dormire. E riascoltarle ancora la mattina dopo in macchina. E riascoltarle nel tuo lettore MP3. Alla fine, in un modo un po’ strehleriano un po’ orwelliano, cominci ad apprezzarle.

Poi, ancora, arriva una sorta di calorosa mano amica che, in una nota del libricino che per pigrizia non avevi mai letto finora, ti mostra come tutto quello che all’inizio consideravi un’accozzaglia senza senso di rimaneggiamenti, tra le quali cercavi esclusivamente quelle tracce confortanti dove le melodie e i ritmi sono quasi uguali all’originale, in realtà ha un suo senso.

In the beginning, which for the sake of this sleeve note is the beginning of the 1980s, there was the 12" single. It was a new thing, and no one really knew what it was – it was like a maxi single, but the size of an album, and it included, as well as b-side track and original version of the song that was the single, a version of the single that was like the single, but that was something else.

It was longer, probably harder, possibly dancier, often stranger. It resembled the song, but was half instrumental, half vocal, or there was an instrumental intro, then the song, which might be split in two by another instrumental section, and then there was an instrumental outro.

The song had been extended, made over, made other.
It was the remix.

(Paul Morley, 24.08.04)

Uno stupro. Una vivisezione. E poi: prendere quello che è rimasto del massacro e ricomporlo assecondando il proprio piacere, la propria sensibilità, la propria intepretazione. La propria ispirazione.

[…] whether one that alters everything, adds graffiti to the songs, fucks it up, loves it, builds up the quasi-heroic ambition, hollows it out, escapes completely the reality of the original song, and dreams everything up, whether one that hovers just outside the original, whether one that fights with the original, creates competitive drama, or whether one that uses the original to discover new dreamspace, […]

(Ibidem)

Riscopro i miei capisaldi.

Here I stand the accused,
with your fist in my face,
feeling tired and bruised,
with the bitterest taste.

(Useless, The Kruder + Dorfmeister Session™, DISC002.007)

Nuove esperienze.

Sitting target,
sitting praying.
God is saying
nothing.

(Nothing, Headcleanr Rock Mix, DISC003.009)

Ripenso al tramonto dietro un soffione.

It’s a question of lust,
it’s a question of trust,
it’s a question of not letting
what we’ve built up
crumble to dust,
it is all of these things and more
that keep us together.

(A Question of Lust, Remix, DISC003.001)

Guardo quello che c’è fuori. E dentro.

And when our worlds they fall apart,
when the walls come tumbling in,
though we may deserve it,
it will be worth it.

(Halo, Golfrapp Remix, DISC003.012)

Basta così.
Buon ascolto.

La Mela di Odessa.

C’era una volta una mela a cavallo di una foglia. Cavalcava, cavalcava, cavalcava… insieme attraversarono il mare: impararono a nuotare!

Arrivati vicino al mare, dove il mondo diventa… mancino, la mela lasciò il suo vecchio vestito e prese l’abito da sposa più rosso. La foglia sorrise (era la prima volta di ogni cosa), riprese la mela in braccio e partirono.

Giunsero in un paese giallo di grano pieno di gente felice, si unirono a quella gente
e scesero cantando fino alla grande piazza; qui altra gente si unì al coro.

– Ma dove siamo? – chiese la mela.
– Se pensi che il mondo sia piatto, allora sei arrivata alla fine del mondo. Se credi che il mondo sia tondo
allora sali, incomincia un girotondo!

E la mela salì… la foglia invece salutò, rientrò nel mare e nessuno la vide più.

Forse per lei il mondo era ancora piatto.

(Area, Crac!, 1975)

Addendum: In Are(A)zione Demetrio Stratos premise agli astanti che, nel lontano 1920, un dadaista di nome Apple rubò una nave tedesca ad Odessa, per portarla in dono ai rivoluzionari russi. Questi ultimi organizzarono una gran festa in cui fecero esplodere la nave. Con i tedeschi dentro.