Category: Maieutics

  • Estemporanea X (suono di campane a morto).

                _______
               /       \
              ( 4 sale. )
               \_  ____/
               _ |/
            __| |__
           |__   __|
              | |
              | |   ^^  Wow!
              | |  .().
       _______|_|___dd__________________

    Perché ciascuna di queste fottutissime esistenze è transeunte.
    Ed è questo a farmi ridere di gusto.

    Rido dell’importanza che date a tutti questi accorgimenti,
    per garantirvi la serenità della vostra ipocrisia,
    per assicurarvi una famiglia, un microcosmo solidissimo,
    che si sconvolge sfaldandosi, si rivolta contro piroettando,
    si rimodella, si vendica, si distorce.
    Si contorce.

    Si contorcono budella d’oro bianco,
    e a questo punto resta solo rifugiarvi
    nella terra brulla della vostra contraddizione.

    E nel vostro triplo gioco farete, infine,
    un ultimo inutile triplo salto mortale;
    un estremo tentativo,
    che rovinerà in un capitombolo,
    finendo per capitolare.

    Io, invece, sarò lì,
    a ridere di voi laggiù.

    Mi spiace.

  • Agosto è il mese più crudele.

    Inevitabile. Un ricordo. Ricordi?
    Un sacco ricolmo di ricordi.
    All’interno altre scatole.
    All’interno di ogni scatola, una sfera fragile.
    Inevitabile: una sfera per volta. Aprire una sfera per volta,
    annodare i fili rimasti sciolti, tessere un nuovo testo.
    Processo di revisionismo incredibilmente efficace.
    Ora tutto ha un senso.
    Un altro senso.
    Ha senso?

    Agosto è il mese più crudele. Genera solo terra riarsa, e i fiori sono sempre stati, in verità, incerti ed effimeri come vapori di mentolo. Costringe alla nullafacenza forzata. Smuove masse spopolando città. Ti abbandona, ti annoia, ti mette a disagio, ti caccia via. Dona pioggia a suo piacimento, solo quando sta per morire.

    Agosto finirà, ma io avrò ancora respiro.

  • Proposal for a dynamic benchmark in experimental dynamic client-server architectures.

    Seduto sulla sabbia. Buio.
    Venere di fronte, Venere di fianco.
    Arti si incastrano ad Arte.

    Il caldo scioglie, il mare lava via.
    Come allora, ancora.

    Giara mezza vuota, ben ripulita,
    splendido mare, pronto ad entrare.

    Sogno.

    Scesa nell’ipogeo, in profondità,
    la chiave sai bene dov’è nascosta,
    apre la porta, corre lungo le scale.

    Arroccato in cima. Arriva, finalmente,
    sfiora tutto, per tenerne a mente la consistenza,
    poi vola via, schizzando su in un attimo come
    risvegliata da un sonno profondo.

    Prossima scena.

  • Meu fado meu.

    Il cricetino corre all’impazzata lungo il percorso infinito della sua ruota, e vorrebbe prendere un giorno qualsiasi e allungarlo in misura altrettanto infinita, per continuare a correre e scoprire cosa lo aspetta alla fine.

    Nei momenti di pausa scenderebbe, indugiando sul percorso della spirale da far scorrere sotto le dita, e guardando il giorno intorno con ostinata indifferenza, lasciando che – una volta tanto – il desiderio di fuga si nutra dell’attesa.

  • Dressed up.

    Cammino e mi guardo intorno senza pretese. Una sciarpa mi protegge dall’estate, una bustina di Oki dagli strascichi dell’inverno. Cammino ed è buio. Cammino a passi lenti e indovinando una direzione. Cammino senza una molotov in tasca. Un anello mi mette in guardia sul passato, un po’ di Gentalyn sul futuro. Cammino e forse mi fermerò a guardare cosa c’è dietro. Cammino e tasto il terreno battendo forte i piedi.

    Coerenza tienimi a bada,
    Coerenza punzecchiami ancora.

  • Drop this, blow on tears.

    Vorrei che adesso ti fermassi, e guardassi bene i miei occhi. Cosa vedi?

    Sono capillari, iridi di cioccolato, pupille timide ai raggi del sole, disgusto, il velo di Morfeo, cornetti croccanti, amarezza, il filo d’acciaio freddo e tagliente su cui scivolare lentamente in equilibrio, un profondo senso d’ingiustizia, alienazione, carpire i piccoli moti dell’animo e le piccole doglie in petto, un sorriso che spezza le redini del cuore.

    Forse eri dove il sogno non era.

  • Difforme, informe.

    Archita era solito prenderci in giro, metterci in discussione, a volte persino manipolarci, e in qualche modo sfruttarci, affinché giungessimo insieme alla Verità.

    Ma la Verità, in verità, è menzogna. Come l’eterno, l’infinito, la follia, il destino e il caso. È il coccige da cui si dipanano peristalsi ed epistalsi, quando a volte la testa si poggia stancamente sulla spalla, scivolando lentamente, incastrandosi perfettamente, tra capo e collo, e per un istante pare brillare un vago riflesso di perfezione.

    In qualche piccola notte sembra di veder davvero branchie affannarsi.

  • Istinto di auto-conversazione.

    Nel Giorno del Bene e del Male mi accorgo solo ora che è il Giorno del Bene e del Male. Nel Giorno del Bene e del Male prendo la moto e mi metto in moto, facendo attenzione a sorpassare da sinistra. Nel Giorno del Bene e del Male penso che, dopotutto, non c’è molto da fare che sorpassare da destra in certi punti, anche se questo non giustifica i miei inconsci tentativi di ribadire un Altro Giorno del Bene e del Male (più Bene che Male). Nel Giorno del Bene e del Male, senza accorgersene, si sviluppano piccoli e grandi spartitraffici verso innumerevoli direzioni. Si prende uno svincolo differente e si nota soltanto più tardi la differenza. Nel Giorno del Bene e del Male si fanno anche cose divertenti, perché nel Giorno del Bene e del Male, dopotutto, tutto scorre tutt’ora un po’ come sempre.

    Nel Giorno del Bene e del Male quasi non mi accorgevo del Giorno del Bene e del Male.

  • GM LID CQ DE DX FER NIL.

    Mi volto a ore 4.5 e faccio un passo.
    Poi ancora, ancora e ancora una volta.

    Sono lontano migliaia e migliaia di yoctometri da qui.

    Stacco il contatore e accendo il frigo vuoto,
    prendo una coperta e mi ci addormento sopra.

    Chiudo a doppia mandata la porta rotta,
    fumo decine di sigarette bucate,
    premo il pulsante per aprire il cancello ostruito,
    accendo la macchina a corto di benzina,
    mi disseto alla sorgente secca,
    mangio sabbia che vola via.

    Mi schianto contro il guard-rail in progetto.

  • Το πρόβλημα είναι βίος.

    Cammino con la testa rincantucciata nel mio cappuccio, e sorrido alla vecchia che sbraita contro chissà chi laggiù. Calpesto la tetta di una signorina in bikini su un catalogo abbandonato sull’asfalto e chiedo scusa, passo avanti, arriva una medusa, guardo e passo oltre, scorgo in lontananza un fiore di loto che muore d’indifferenza, e una collina nera bagnata di pianto. La luce cambia i suoi colori, e il cuore batte tanto da far girar la testa. All’improvviso: immoto; subito: ripresa.

    Mentre studio possibili cause e possibili effetti spero che sia proprio quel soffio a renderci vivi.