Category: Maieutics

  • Respawn.

    Nell’angolo più insicuro e uggioso c’è lui. Rannicchiato su se stesso. Le gambe strette fra le braccia. Foto, istantanee di momenti mai vissuti, scivolano leggere come foglie secche.

    Mi guarda.
    Sorride.
    Un sorriso inerme,
    pietoso.

    Mi parla. Lasciando che le parole scorrano lentamente, da sole. Risuonano dolcemente. Accarezzano i capelli, e gli occhi. Chiusi. I suoi occhi invece sono aperti, sfidano la penombra, si cercano intorno sperando di riconoscere una figura familiare.

    Una piccola distrazione.
    Giro lo sguardo verso un altro ricordo.
    Lui non c’è più.

    Resta qualche foto,
    che svanisce tra le mani,
    ricomparendo in altri dove,
    che non mi appartengono più.

  • Think a little thing of me.

    Mi immergo in una vasca di led blu. Luci grandi e piccole, volteggiano come le lucciole. Il mio corpo è insensibile, ed è caldo come l’acqua, che è calda come l’aria.

    Fisso un punto luminoso di fronte a me. Lascio che gli occhi divergano. Le immagini iniziano a sdoppiarsi. In questo momento la realtà è un po’ a sinistra e un po’ a destra, e se potessi muovere le mani non saprei dove portarle.

    Ti prendo la mano, sott’acqua.
    Vorresti sapere cosa sta per succedere.
    Ma non sta per succedere nulla.
    Ciò che succede ora è già così dolce.

  • Fortasse fortior fortuna.

    Vertigine. Un vaso di Pandora che esplode come uno splendido fuoco d’artificio nel cielo. Nero uniforme, pronto ad accogliere questo disegno luminoso. Chiudo gli occhi. Non voglio guardare. Voglio sentire. Solo sentire le labbra schiudersi e le forze fingere di abbandonarmi. Stringimi forte e strappa il velo. Stringimi forte e lavami. Spazza via con soffio tutto il castello di carte che ho costruito con cura. Fammi cadere. Voglio cadere. Voglio guardare cosa c’è in fondo. Per poi risalire, stanco. Dammi in pasto il tuo cuore. E poi la tua anima. E poi la tua essenza. E poi dammi in pasto te, e non dimenticare nulla. Così sarò più forte, e quando sarò più forte potrai stringermi ancora più forte e farmi piangere e urlare ancora più forte, e più forte sarà il bisogno di sentire il tuo calore, e più forte vorrò mandarti via, così più forte vorrò incatenarti a me.

  • Don’t smile, do shrive.

    Dammi la tua mano ed io sarò salvato. Dammi i tuoi occhi, le tue labbra, i tuoi fianchi. Riscalda l’animo incosciente. Acquiescente. E poi rincorrimi in sogno, mentre mi nascondo dietro la porta e tu suoni e io apro e tu non ci sei e poi sei seduta a tavola e mi sorridi e c’è un bicchiere di vino dolce anche per me.

    Ci sarebbe qualcosa di veramente importante, se non si fosse come i moscerini, che ne parlano, ne riparlano, ne ridiscutono, ma poi non arrivano ad una conclusione. Perché ad una conclusione, dannazione, non si riesce mai ad arrivare. E, come i moscerini, continuano a girovagare finché non si scocciano e vanno via, o finché qualcuno non li scaccia con un gesto sprezzante.

    E allora si svia dall’obiettivo. Spezzare il giogo. Spezzare il giogo. Spezzare il giogo. Spezzare il giogo. Spezzare il giogo. Spezzare il giogo. Spezzare il giogo. Spezzare il giogo. Spezzare il giogo.

  • Variações sobre o perdão.

    Variation #1. L’enfant méconnu.

    Il perdono è una pistola in una mano tremante. Ma non è poi tanto un bene avere il grilletto facile, se un Peter Pan vanesio e dispettoso potrà venire a mettere un dito nella canna e – poff! – ti esploderà in mano in una nuvola di fumo nero. Intorno a me un girotondo di stelline. Ne prendo una. Gliela scaravento contro. Peter Pan corre via. "Ora prendimi! Gnè-gnè! Ora prendimi!". Mi siedo sul muretto. Piango. Peter Pan mi guarda. Stranito.

    – Cosa fai?
    – Piango.
    – Ti ha fàtto mà-le! Ti ha fàtto mà-le! Zà-Zà!
    – Non mi ha fatto male. Mi fai male tu.
    – E perché?
    – Perché morirai piccolo per sempre.
    – Ma è bello essere piccoli per sempre.
    – Fa più male morire piccoli.
    – E perché?
    – Perché capisci troppo tardi di non aver capito.

    Variation #2. Le vieux infesté de rats.

    Il perdono è una lama sottile, che recide e separa torto e rancore. Lava l’offesa, conserva diffidenza. Differenza. Qualcosa è cambiato. Perché – vedi? – qualcosa cambia sempre. C’è un nuovo ambiente per te, e tu sei il nuovo parassita. Ti accompagni stancamente nella tua accidia grazie alla tua lavacessi di fiducia. Quando non c’è, appanicato, implori pateticamente aiuto a chiunque. Incolpi chiunque della tua inerzia, con la solita arroganza, ma stavolta non saremo più noi a darti corda. O forse non lo siamo mai stati.

    Ma io so che presto dovrai avere quello che meriti. Ci sarà un nuovo ambiente per te. E il parassita non sarai più tu. I parassiti saranno quelli che si incastreranno fra i capelli grigi. E, stancamente, dovrai lavarteli di dosso da solo. Mentre incolperai chiunque della tua inerzia, ma nessuno vorrà più darti corda.

  • At last. At first.

    Sempre con rispetto.
    Mai con rispetto.

    Immerso nel plasma amorfo delle possibilità.
    Disperso nell’inconcludenza.

    Senza remore.
    Pronto al ripensamento.

    Ricordo che, a volte, si scivolava via senza pensare, lasciando che tutto fluisse dolcemente lungo la catena infinita di eventi e possibilità. Ed eravamo, forse, proprio noi stessi infiniti, in qualche modo.

    Poi qualcosa, da qualche parte, è andato storto. Prendendosi ferocemente a botte con cos’era, invece, rimasto fermo.

    Es muss sein.

  • 平成20年.

    Se così fossero, farei scoppiare duemilacinquecentocinquantadue bolle di sapone, toccandole, una per una, con le dita ormai rugose. Se fossero invece granelli di polvere, ce ne sarebbero duemilasettecentosessantuno, e una scopata li spazzerebbe via. O forse sarebbero quattromilasettecentocinque pezzi da 23, e con gran calma dovrei spostarli via pezzo per pezzo.

    Ma se trovassi, invece, solo millequattrocentotrenta grammi di trielina sarebbe, dopotutto, la stessa cosa. Basta serbarne sette grammi (un piccolo souvenir!), da inalare al momento giusto, così da tener quei sette posti (più o meno 2) liberi, in attesa. Il resto invece lo si lasci pure evaporare, fino a saturare l’aria ed esplodere per colpa dei nostri piccoli fuochi.

  • Cut below this line.

    Trottola imbizzarrita, stanca, disgustata, annoiata, cerca chiavistello per tenere a bada questi fastidiosi pappatacî e lasciarli morir di fame e di inutilità. Offresi in cambio un’antica cittadella fra i monti e un’altra in collina, lontane da questo squallore, dove rifugiarsi. Eventualmente anche soli, ma preferibilmente con una morbida tigre tra le braccia.

    Una volta qualcuno mi disse che ero una tigre, e aveva paura che lo aggredissi. Io son sempre stato convinto che mostrarsi timorosi di fronte ad un animale selvatico segni inevitabilmente la tua fine. Guardarlo negli occhi e tentare di affrontarlo è già diverso; magari non ti salverà, magari invece si scoprirà un incontro davvero fortuito.

    Erano incerti e incespicanti.
    Li ho aggrediti.
    Che dovevo fare?

    Paura di aver paura.

  • Nestor.

    Quando arriverai, Virne, troverai tutto cambiato.

    Vera ha rispolverato la sua grossa falce, e da buona mietritrice ha fatto incetta di frutti.
    Alcuni sono cresciuti così in fretta, altri pianissimo.

    Noi eravamo lì, a guardare. Ogni tanto pisciavamo sull’albero sbagliato, altre volte davamo da bere a foglioline riarse dalla calura. Ma poi, Virne, tutto è andato via. Spazzato dallo scirocco. Come sempre. Ricordi?

    E anche se esiti ancora, tutto è pronto per il tuo ritorno.
    La terra bruciata si spacca,
    l’acqua è ancora vapore oltremare,
    per villaggi da sommergere,
    e il sole ci è nemico,
    il vento asfissiante,
    le nuvole agonizzanti.

    Quando tornerai, Virne, il tuo gelo scalderà il cuore, la tua neve sarà manto soffice su cui svenire, la pioggia solcherà sorrisi e accompagnerà lacrime calde.

    Quando arriverai, Virne, tutto sarà così strano.

    Così nuovo.

    Ancora una volta.

  • Vento dolce.

    So long I’ve betrayed memories and jokes, and time was so spleening. Three by three I saw strange creatures passing by with cruelly sad eyes, and space began to shrink along my sides and grow in front of me. And I still know that you can go ahead, as you don’t deserve the naught of who surrenders.

    I remember when you knocked. I was lonely, and floating, over moving satin. I touched you, and you caressed my little soul. I stared at you, and you moved around, making me spin, enjoying the centrifugal force, suffering for the centripetal constrain. I remember when you knocked. Again. And everything around me exploded, with bright lightnings and stars.

    And I keep walking along this sweet tale,
    while the narrator ties up the veil
    and drags me along.