Category: Maieutics

  • Siamo la società dei blog.

    Vero.

    Solo su Splinder ci sono pressapoco 217mila blog aperti. Ok, alcuni belli, alcuni brutti, alcuni abbandonati, alcuni provvidi di interventi interessanti… ma son comunque una marea.

    Pensate in proporzione. Beh, sì, su due piedi è difficile, perciò ve lo dico io in che ordine di grandezza dobbiamo immaginare la blogosfera. Anzi, ve lo dice Technorati: siamo quasi a quota 50 milioni.

    Pensate un po’: 50 milioni di soggetti che parlano di sé, o parlano di un tema specifico, o più semplicemente di quello che gli passa per la testa in quel momento. Ci sono blog di persone normali così come di VIPpps, di aspiranti poeti, scrittori o semplicemente blogstar, di tifosi di una squadra di calcio o dell’altra, di persone interessate alla politica, o ad uno sport, o all’associazionismo, o chissà che altro. Certo, perché prima era da fighi farsi un sito, adesso è molto più figo (e facile) farsi un blog.

    C’è questa tendenza globale a voler comunicare in qualche modo, a voler parlar di sé ad un esterno composto da chissà quante e quali persone. Spesso usiamo il blog come canale per comunicare un messaggio ad una persona in particolare, a volte in modo esplicito, altre volte in modo velato, quasi codificato, in modo tale che sia solo la persona prescelta (e magari qualcun altro) a capirla. Una sorta di lettera elettronica aperta. Altro che SMS.

    Godiamo un po’ nel vedere contatori incrementarsi e spulciare distrattamente le statistiche per scoprire chi ci ha visto. Non per altro, ma perché si sa che spesso sarà anche piacevole rispondergli, e magari trovare un assiduo lettore di un assiduo blog-da-leggere.

    Beh, cari blogger, visto che sta società dei magnaccioni è così grande e così piena di belle speranze, dedico a tutti voi questa notte, sia a voi che sarete passati di qui sia a voi che non saprete mai dell’esistenza di questo post.

    Un abbraccio.

  • Nolo aliquam sentire.

    Un vento fortissimo cerca in tutti i modi, questa mattina, di portarsi via ogni cosa.

    Le amarezze. Le gioie passate che cercano di plagiare il mio volere. Le gioie tarpate. Le indecisioni. I cambi d’umore. Persone irritanti. Persone la cui compagnia ritenevo salutare. O quantomeno piacevole. Gli attriti. Le liti. Le logiche di gruppo. Le logiche dei singoli. La casualità, ossia la divinità che si rivolta contro l’adepto. Le voci, le opinioni, i giudizi. I sorrisi. I baci. Le speranze. Le attese. I chiarimenti. I chiarimenti. I chiarimenti. Le attese.

    Il vento però non riesce a portar via il mio mal di testa. Davvero, neanche 20 gocce di Novalgina ci sono riuscite ancora. Me le immagino ancora girovagare nel mio cervello cercando di trovare il cavillo legale opportuno per sfrattare il moroso dal cervello occupato abusivamente. Non so che dire, potrei avere un aneurisma*. Nel caso mi vedrete al Pronto Soccorso tra qualche ora (perché io in questi casi non faccio di testa mia, che si sappia). E loro mi diranno forse che questo mal di testa è dovuto ad un sovraccarico del cervello. Troppi pensieri in testa girano vorticosamente e si scontrano come palline di un flipper sulla via del tilt.

    La II rivoluzione mi salverà.

    Come on over, and do the twist.
    Overdo it and have a fit.
    Love you so much, it makes me sick.
    Come on over, and shoot the shit.

    (Nirvana, Aneurysm, Incesticide, 1992)

  • Una fiaba.

    C’era una volta un pastore felice. Era felice perché, sebbene si potessero contare le sue pecore con le dita di una mano, erano pecore speciali, estremamente fedeli.

    Un giorno il pastore incontrò un albatro. Questi guardò il suo gregge e disse: – A cosa ti serve guidarli? Ti donerò un paio d’ali, ti insegnerò a volare! Guiderai te stesso, e ti sembrerà di guidare il mondo intero.

    Il pastore restò perplesso: era difficile poter immaginare di far qualcosa di diverso e più gratificante di guidare le sue pecore. E le sue pecore che fine avrebbero fatto? Chi avrebbe potuto guidarle?

    In più il pastore finì tormentato da altri dubbi. Per esempio, non era convinto del fatto che sarebbe riuscito a percepire gli insegnamenti dell’albatro, né era sicuro se l’albatro l’avrebbe guidato fino alla fine dei suoi giorni, o se invece l’avrebbe abbandonato in volo, con le ali indissolubilmente attaccate dietro la schiena ma senza saperle usare. Come un angelo decaduto.

    Allora si rivolse all’albatro e gli chiese di tornare il giorno dopo, perché doveva pensarci su prima di accettare.

    L’albatro tornò puntuale appena dopo il tramonto e disse: – Non ti abbandonerei mai per nulla al mondo. Ti ho trovato qui, paralizzato sulla terra, e ti ho visto felice perché sai amare incondizionatamente. Io ti insegnerò a volare, tu mi insegnerai ad amare incondizionatamente, come si ama un figlio. E tu sarai come un figlio per me.

    Il pastore era ancora perplesso: era difficile poter pensare di trovare qualcuno che potesse amarlo incondizionatamente come lui faceva con le sue pecore. Di solito o era una pecora o era un leone.

    In più il pastore aveva ancora qualche dubbio. Per esempio, e se volare non gli piacesse? E, comunque, dove lo porterebbe l’albatro?

    Allora si rivolse all’albatro e gli chiese di tornare il mese dopo, perché doveva pensarci davvero a lungo prima di accettare.

    Però la storia finì qui e non si seppe più che decisione prese il pastore.
    O se l’albatro tornò davvero il mese successivo.

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