Category: Maieutics

  • Estemporanea II.

    Scene I.

    Dopotutto hai sempre goduto di ottima salute.
    Sarà per questo che, l’unica volta in cui ti sei fatto male sul serio, hai deciso di provvedere da te?

    Scene II.

    Scoppia.
    Piantistericarisata.
    Altro che Red Bull.

    Okay baby.
    Davvero.

    Anzi, per coronare l’occasione piazzo pure la faccina. Tò:
    (Oh, però son carucce ‘ste faccine ^^)

  • Going underground.

    Costruisci pure il tuo bel castello di sabbia.

    Non sarà la marea a portarlo via.
    Sarà la pallonata dello zaurdo di turno.

    ‹ Gli déi se ne vanno,
    gli arrabbiati restano! ›

  • Fore de capu!

    Terapia.
    Okay baby.

    Non darà alcun significato alla tua vita, ma ti dice cosa ti succederà. Allora: ci sono tre cose importanti nella vita. Sono i fattori che motivano qualsiasi cosa tu faccia, per qualsiasi cosa chiunque faccia. Il primo è la sopravvivenza, il secondo l’ordine sociale e il terzo il divertimento. Tutto, nella vita, procede in quest’ordine.

    (Linus Torvalds, Rivoluzionario per caso, Garzanti 2002)

    [ Ma nella mia testa era tutt’altro.
    Qualcosa che fa più o meno.
    In primo luogo la soddisfazione individuale.
    Successivamente il riconoscimento da un prossimo.
    Infine il riconoscimento da parte di un nucleo sociale.
    C’è chi parte dalla fine.
    Io partivo dal centro.
    E il problema forse era tutto lì. ]

    Continuavo a mordermi le labbra gonfie.

    Mentre.

    Mentre si parlava di Coffee&Cigarettes bevendo caffè rovente e succhiando avidamente le ultime Camel Natural Flavour. Mentre guardavo lo sguardo contrito da crisi del ’29 e ti interrogavo sadicamente sulla Valle d’Itria. Mentre sorridevo a quegli occhioni fumosi. Mentre rifuggivo la luce diretta come un vampiro (e sarà per quello che mi si voleva uccidere piantandomi canini d’avorio nel petto). Mentre mi chiedevo se era il caso di continuare ad abusare dell’ospitalità del Carrefour. Mentre il mod mi spingeva a rubare un’altra Lucky Strike ma restava solo un altro zibibbo da bere a goccia. Mentre urlavo con tutta la mia forza contro Don Callisto, con gli occhi lucidi di gioia dai riflessi rosa shocking. Mentre cercavo di togliere il sonno dagli occhi, ma come fai se prima ci son strati e strati di sabbia da scavar via?

    [ Abbraccia la mia acquiescenza. Sì.
    Stringi forte, forte. Forte ti prego.
    Dopo, questo velo,
    in giusta giustapposizione,
    potrà anche volar via. ]

    Mentre.

    Continuavo a mordermi le labbra gonfie.
    Cercando di succhiare ciò che restava.
    Di ricordi su ricordi su ricordi e ricordi ancora.
    Ricordi?

    E quanto potrà dar fastidio ad un rom sentirsi dire di nazionalità probabilmente rumena così apolidi e a volte lo sono anch’io quando mi fermo al confine ma dopotutto non mi sento paralizzato e faccio un piccolo passo in avanti torno indietro e poi ne rifaccio uno un po’ più lungo roba da sfigati ma è tutto così soave e dietro la o di soave c’è tutto un altro amorfo fiume di parole che forse non verrà mai fuori o forse è già scivolato via.

    What better place than here,
    what better time than now?

    (Rage Against The Machine, Guerrilla Radio)

    In sostanza non so se ero lì.
    Anzi: non so se stavo lì.
    Però la prossima volta ci penso io, porto il gatto a nove code!

  • Take 5, leave 4. Get 3dom in2 1 of ur litt’l worlds.

    5.

    Dev’esserci qualcosa di cabalistico nella mia preferenza verso il 2.
    Perché 2 dev’essere necessariamente il numero perfetto.
    Ovviamente facendo seguire a ruota il 4.
    Figlia bastarda, nata per partenogenesi,
    da un 2+2,
    poi da un 2*2,
    e poi anche da un 2^2.

    E quel quadretto formato da quei quattro era effettivamente perfetto. Era un’armonia costante e imperturbabile. Era una brodaglia di sensazioni esaltanti e di serenità che ho tentato di trascinare e trascinare, con tutte le mie forze, anche quando sapevo che sarebbe evaporata in non più di… non so… 4 mesi.

    Perché 2/2 non fa 4.
    E non fa neanche 2.
    Fa 1.

    E sarà forse questo il pensiero che ticchetta costante fra le sinapsi, quando riconosco l’asfalto e l’ultimo granello di sabbia, quando le luci scompaiono nello specchietto in frantumi, quando sento i pedali sotto il palmo dei piedi nudi, quando inganno l’attesa ascoltando De Andre’, quando tento di sprizzare elettricità in un barattolo di vetro, quando vorrei fermarmi e scavalcare di nuovo quel muretto.

    Quando ti sforzi di non credere più,
    ma dopo qualche minuto il vento,
    fortissimo,
    picchietta ancora una volta.

    4.

    Fresca pioggia…
    Pioggia? Acquazzone!
    Turbine, maremoto, tempesta!
    Di cui vorrei sentirmi pregno, una volta ancora.

    3.

    Passeranno anni, ed anni ancora, e ancora altri, ma ci sarà ancora un cricetino in testa che si ostinerà a far capolino dalla sua tana, lanciarsi di corsa sulla sua ruota preferita, e girare impazzito fino allo stremo delle sue forze.

    Passeranno anni, ed anni ancora, e ancora altri, ma continuerò a sorridere anche quando il sorriso tutt’intorno sarà spento e svogliato.

    Passeranno anni, ed anni ancora, e ancora altri, ma vorrò ancora tirare ad indovinare il risultato del tuo incessante far scorrere inchiostro in lettere chilometriche, in taccuini presto sgualciti, in bigliettini stropicciati.

    2.

    Non finirà.

    1.

    Loneliestnumber.

  • Deva, Stazione C.le (aka: ghiaccio contro lo scirocco).

    Forse non sei davvero una squallida e sterile parentesi. Una deviazione infruttuosa. Un errore blu. Una sbobba indigesta. Un ruscello di fogna da evitare con un buon balzo.

    Forse non dovrei pompare insieme denso risentimento e profonda indifferenza in un miscelatore affaticato. Forse dovrei ripensarci e non voler ergere più paletti così forti.

    Ma ho pensato bene a quella sera, e la prossima volta che quell’ipocrita alfiere verrà a chiedermi «come stai?», gli risponderò «bene, adesso!», guardandolo con gli occhi di chi vorrebbe aggiungere «perché la tua presenza funambolica e ormai irritante, come tutte le altre, ormai non mi darà più fastidio».

    Piccola zanzara, a volte penso che avrei dovuto scacciarti via subito dopo avermi succhiato il sangue, e lasciarti accoppiare con i tuoi simili per generare degna prole.

    E non so se tutto questo è giusto.
    Ma so di per certo che mi fa stare bene.
    Che è quello che mi ci vuole.
    Per ora.

  • One shot.

    Reazione psicosomatica ad una frustrazione rinfrescante al mentolo.

  • Orecchio assoluto.

    A volte mi chiedo come sarebbe se credessi in Dio e nell’aldilà, se potessi accontentarmi di spiegare tutto con l’esistenza di un sovrannaturale, anziché crucciarmi, a volte, di questo limite alla conoscenza.

    Forse i miei obiettivi, e il perché di questi obiettivi, sarebbe totalmente diversi.

    Perché sì, oggi le due domande che ho fatto a te in realtà le sto ancora adesso ripetendo a me stesso. Per conferma, chissà, o magari piuttosto per insinuare di nuovo il dubbio.

    Quali obiettivi?
    E perché quegli obiettivi?

  • Groucho “Στρεψιάδης” Marx dicavit.

    «Dormi, se puoi. O svegliati, se vuoi. Hai una tazza di caffè per scegliere di svegliarti, o un bicchiere di vino per lasciarti dormire».

    Aprì gli occhi respirando a pieno l’odore della pioggia d’estate. Fa sempre una strana impressione la pioggia, d’estate. Forse perché arriva, così calda e odorosa, così rinfrescante e piacevolmente imprevista, solo per mostrare quanto in verità sia da stolti cullarsi nel calore estivo, sperando che possa durare per sempre, quando invece è così effimero e di durata finita. Piccola legge incontrovertibile.

    «E non temerai di venir folgorato, perché sai bene di essere tu la folgore».

    E allora, in fondo, era anche normale che sentisse addosso un po’ di malinconia. Quella sensazione a metà. Quella dolce tristezza in cui è piacevole, a volte, cullarsi. Quasi-rassegnazione ad un desiderio inappagato perché inappagabile.

    Spesso, poi, alla malinconia si aggiunge la tendenza ad insinuare, giusto per un istante, il dubbio anche su ovvietà. Come: "è" si scrive con l’accento grave o acuto? Grave, diamine, che dubiti? No, niente, fai finta che abbia detto nulla e grazie per tutto il pesce.

    In queste situazioni, dunque, si dovrebbe ascoltare questa canzone.

    Dormi, dormi.

    Al buio, s’accendono pupille, attorno si dilatano, si posano, rimangono nell’ombra. E aspettano.

    Al buio, sepolte ancora vive branchie che si affannano, han denti di falena, ma nell’ombra… si spengono.

    Al buio, nel vuoto di vertigine anche l’ovvio è in bilico, la notte ha un occhio solo appeso in ombra, finché avrà un’ombra di sobrietà.

    No, buio! Per altri è già mattino, per me è cielo capovolto, il sogno dorme a riva, aspetta l’onda, aspetta l’ombra, e canta l’ombra, e poi nell’ombra… ritornerà.

    (Quintorigo, Illune)

  • Ils n’ont pas compris.

    Benché curioso e difficile da immaginare, sembrerebbe che una tigre e un leprotto siano capaci di equilibrare le loro diverse masse grazie ad un’affannosa ricerca di contropesi.

    Succede così in questo piccolo mondo perfetto, dove un po’ tutto vive in un costante equilibrio precario.

    Va bene così, insomma.

    È dunque comprensibile immaginare che ogni scombussolamento possa creare una serie di reazioni a catena, la cui conseguenza sarebbe, fra l’altre, un’ovvia frustrante e futile autocommiserazione. Che può risalire lungo uno di diversi percorsi possibili, come quello delle sensazioni perdute. A partire dallo sforzarsi inumanamente nel disperato tentativo di ricordare "cosa c’era lì anni fa" fino a giungere a flashback istantanei ricchi di odori e sapori che credevi perduti col passare del tempo. Col passare di estate in estate.

    Sono, questi, ricordi che a distanza di anni danno, senza in realtà un vero motivo, sonore botte di autostima e consolazione. E ci vuole un po’ di consolazione. Consolazione che sembra un bicchiere di te’ freddo da sorseggiare avidamente proprio in quei giorni in cui il caldo diventa intollerabile.

  • Serendipity.

    Con serendipità ho scoperto cos’è la serendipità.

    È un angelo che stringe forte a sé il Dono. Si fa strada nella folla di chi vive di rimpianti, chi sopravvive fra le speranze, chi cresce rapportandosi morbosamente alle scoperte, chi si eccita con la monotonia e le rassicuranti abitudini, chi soffre dei ricordi, chi sbaglia a tornare indietro per prendere la rincorsa.

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    E sarà quando avrò perso quell’ultimo pezzo di narcisismo e di illusoria dignità che spetta a tutte quelle persone che stanno in piedi, più quelle che sono sedute, più quelle sedute accanto a quelle in piedi, più quelle in piedi accanto alle altre. Sarà quando tutto sarà definitivamente ridimensionato per amore della giustezza e dell’assoluta verità. Sarà allora che diventerà tutto normale. Forse sarà tutto finito, il tanto temuto boccone amaro da ingerire con stoica rassegnazione. O in fondo sarà stato meglio così.

    Non ho più voglia di post e commenti.
    Ripasserò, forse.