Author: TheLegs

  • Chi semina vento, raccoglie vento. Per la tempesta c’è ancora tempo.

    La neve vince sulle strade di periferia.
    Nessun pneumatico, nessun’orma.
    Il Sole è morto. Viva il Sole.

    Se festeggiassimo tutti il Sol Invictus saremmo semplicemente persone coi piedi per Terra. Faremmo canti e balli per festeggiare l’idea che è vero. Che quando arrivi in fondo al pozzo, poi risali. Che laruotaggira. Che peggio di così non può andare. Tutto vero, tutto verificato, tutto confermato. Davveroveramente eh.

    E allora ti darei un bacio lunghissimo e ti offrirei l’anno nuovo in un bicchiere di vino caldo fumante sul palmo della mano fumante. Ti prometterei la neve e il freddo, ma poi anche un futuro di schiavitù, una resistenza passiva fatta di procrastinazione e pigrizia, un’alternativa ancora troppo lontana, un affascinante progetto globale, discussioni strategicamente infinite e diabolicamente inutili.

    E poi un altro bicchiere di vino, per non pensarci.

  • One head down.

    I had to (temporarily?) shut down the proxy to The Pirate Bay I had set up some time ago. Reason is that I’ve received a Cease & Desist letter from BREIN, a dutch anti-piracy NGO, and I need to figure out what I should actually do with it.

    Briefly, BREIN has managed to get the dutch court impose the providers like XS4all and Ziggo to prevent access to TPB, and later managed to force the Dutch Pirate Party to shut down their proxy; so obviously they don’t really like that the sites listed on PirateReverse.info are working this around either. So they’ve sent letters all around asking to shutdown the pages. If not even the servers. I also suspect that my provider (3ix) has been approached, and hence attempted to shut down the page on their own initiative without even having the kindness of letting me know.

    I’ve asked around for some advice, like the US and International Pirate Parties and of course they guys at PirateReverse.info as well, and most of them are pretty confident that, especially since neither me or the servers are Dutch, I shouldn’t care. But to be honest I don’t have time to get sued, so better play on the safe side for the moment while I seek some proper legal advice on the case.

    Should I turn it back up, I’ll keep you updated. For the moment, please use any of the other proxies listed on PirateReverse.info.

  • Vcítění.

    Sei come il concerto di un gruppo emergente, in un posto meno squallido del solito pub di periferia, quando senti l’ansia crescere, e vuoi che tutto sia perfetto, ma tutto sembra andare malissimo, e cerchi di capire quousque tandem abutere patientia earum prima che ti mandino a fare in culo. E poi, finisce la canzone, e gli applausi scroscianti spazzano via qualsiasi dubbio. Secondo te fai ancora cagare, sia chiaro, però forse alla fine non più di tanto.

  • My little ivory tree.

    La soluzione era lì, ovvia. Se non puoi scalare la montagna, giraci attorno. Ok, il percorso è più lungo, ma la salita è fattibile. Non riuscivo a realizzare quanto facile fosse, finché qualcuno mi ha aperto gli occhi.

    Una frase soltanto.
    Una di quelle chiave.
    Take it easy.

    Guardai le ultime cose insepolte, dissi addio e mi incamminai.

    E poi alla fine ci arrivai.
    Dall’altro lato.
    E, indovina un po’?
    La scalata da qui è più facile.

    Ogni tanto ci provo ancora. Ad un certo punto provo a scalare dall’altra parte. Le mani fanno male, i muscoli cedono. Scivolo un po’ più giù. Non voglio. Faccio un ultimo sforzo, recupero, e torno dall’altra parte. Quella più easy. E continuo.

    Eppure le vedo ancora, le cose che ho lasciato.
    Vorrei che salissero con me.

    Poi però guardo quei tizi che scalano il lato più duro.
    Provano. Cedono. Cadono. Alcuni riprovano. Pochi riescono.
    Perché lo fanno?
    Che sia giusto perché non sanno cosa c’è dall’altra parte?
    O piuttosto perché si sentono in obbligo di continuare così?

    Obbligo?

  • Scotomizzazione.

    Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo. Spazio e tempo.
    x16.
    ^16.

    Quando ero sulle montagne russe era più bella la salita. L’attesa.
    Una volta in discesa, non c’è più gusto.
    Non voglio ricominciare.
    Non ancora.
    Non ora.

  • Swing is evergreen.

    Negli anni ’60, Philco e Ford decisero di commissionare un video pieno di speranza (e di elettrodomestici Philco, ovviamente) dal titolo 1999 AD.

    Molte delle novità immaginate dai vegliardi sono, per la verità, alquanto azzeccate. Monitor quasi piatti, circolazione di informazioni in rete, domotica, e-mail e videochiamate, pranzi veloci, data-mining in database centrali che riutilizzano le informazioni in modo semantico e le condividono con terze parti senza ovviamente alcuna considerazione sulla privacy. Non proprio tutto questo è già realtà, ma esiste: la domotica, per esempio, cerca di far capolino nelle abitazioni di tutto il primo mondo da più di 20 anni, con risultati continuamente disastrosi (per fortuna).

    La parte più irritante è, decisamente, lo stile di vita che viene prospettato. Il lavoro è quasi inesistente o meramente ricreativo, gli adolescenti giocano a scacchi anziché postare video mentre uccidono un passante con un martello e un cacciavite o si fanno di droghe fatte in casa perché non hanno niente di meglio da fare (sì, ci sono i sottotitoli in Italiano, basta fare clic sul pulsante CC), la biodiversità della natura è non solo preservata ma persino arricchita e valorizzata.

    E lo swing. Ah beh, lo swing è sempre lo swing.
    Mica la musica dimmerda d’oggidì.

    Allora, caro uomo degli anni ’60, ti chiedo: perché hai avuto l’ingenuità di pensare che entro il 1999 l’uomo del futuro avrebbe aggiustato i casini che hai combinato finora? Perché, invece, non ti sei preso la responsabilità di mettere in atto ora un sistema di salvaguardia a favore del pianeta e delle generazioni future? Perché non hai mai confessato la colpa di aver (in combutta con gli uomini degli anni ’70, ’80 e a seguire) continuato a schiavizzare e rovinare le classi più deboli e il pianeta stesso, pensando che in fondo, nonostante le nuove, più potenti, devastanti ed inquinanti tecnologie, ci si potesse ancora comportare come nel Medioevo?

    Questo è un processo ancora in corso, badate bene. Le precedenti generazioni affidano la responsabilità di un mondo migliore alle future generazioni, creando aspettative troppo grandi. Le future generazioni fanno del loro meglio per progredire, ma 1) le vecchie generazioni non hanno dato alcuno strumento in loro aiuto e 2) paradossalmente, una parte ostacola il processo, specialmente nel momento in cui viene a ledere i propri interessi personali e richiede sacrifici. Di conseguenza, le nuove generazioni non riescono mai a raggiungere i risultati attesi, diventando un ottimo capro espiatorio per le vecchie, le quali possono finalmente dire che è colpa dei ggiovani se il mondo è una mmerda, e sentirsi così liberati dal senso di colpa che, a loro volta, gli è stato appioppato dalla generazione precedente. E, ça va sans dire, una volta che la nuova generazione non sarà più nuova, scaricherà il barile sulla prossima. E ancora, e ancora.

    In una società ideale, i vecchi hanno esperienza e i giovani forza. I vecchi aiutano i giovani a veicolare la loro forza grazie alla loro saggezza, spingendo affinché i giovani accumulino abbastanza esperienza da avere gli strumenti giusti per innovare. I giovani, d’altro canto, ringraziano i vecchi assistendoli nell’ultimo periodo della loro vita. Cosa va storto nel meccanismo reale? Tante cose. Tra queste: la saggezza diventa arroganza, l’incentivo ad innovare diventa un pericolo per lo status quo, la lunga esperienza degli adulti, mal esercitata, li fa tendere ad una piacevole vita routinaria che nulla deve alterare.

    Allora: meglio non avere esperienza? Sbagliato. L’esperienza è importante per creare strutture analogiche che permettano di proiettare decisioni via via sempre migliori. Ma l’errore di gran parte delle persone con esperienza è usare queste strutture in modo statico, pavloviano: anche se gli input sono diversi, cercano elementi in comune per poter applicare lo stesso meccanismo mentale e produrre gli stessi output. Questa pigrizia mentale (che si riassume facilmente nello schema Input-????-PROFIT) è un’arrogante reductio ad unum che dovrebbe invece essere sostituita da un continuo sforzo di creazione di nuove strutture, dinamiche e sempre pronte ad essere messe in discussione, come i ggiovani son tanto bravi a fare. Peccato, però, che i ggiovani non sappiano come creare strutture, non avendo esperienza. Ecco l’inghippo, il circolo vizioso.

    Come si risolve?

    In sintesi:
    Vecchi, questa storia de “il futuro è dei giovani” ha rotto i coglioni.
    Il futuro è vostro. Fatene buon uso.

  • Estemporanea XIX (come Il Secolo, però più cazzaro).

    Mentre l’Unabomber italiano era una sega – che pure, dato il nome, aveva guadagnato un’immeritata fama internazionale, tanto che i più maliziosi presero a chiamarlo affettuosamente Monabomber – Ted Kaczynski aveva invece le idee molto chiare sul suo gesto.

    Che poi, in fondo, un po’ mona lo è stato anche lui, visto che è stato proprio dopo la pubblicazione del suo manifesto (La Società Industriale e il Suo Futuro, di cui temo troverete solo qualche traduzione malridotta) che qualcuno notò una certa somiglianza con le manfrine che andava farneticando il fratello ed ebbe la simpatica decisione di farlo sgamare. Ma ci piace pensare che, in fondo, Unabomber l’avesse fatto apposta. Alla fine una buona reputazione da terrorista anarco-primitivista-insurrezionalista è decisamente più figa di quella da asistematico sfigatone pre-11-settembre.

    Ora: Kaczynski si può considerare parte di questo fantomatico movimento chiamato neo-luddismo, il che già di per sé dovrebbe essere motivo di dileggio, non fosse che le sue affermazioni sono in realtà corroborate da tempo da una serie di articoli, documentari, film (Terminator, The Matrix, e uno strafottio di altri) e altri materiali che trattano della cosiddetta singolarità tecnologica, con pareri tanto contrastanti quanto in fondo accomunati da un leitmotiv recita più o meno così: “non sappiamo cosa succederà quando le macchine saranno più intelligenti di noi, ma per ora meglio cagarsi un po’ sotto, con modestia e discrezione”.

    La verità è che noi siamo già in un mondo dipendente dalle macchine. Mi piace guardare film post-apocalittici e scoprire come la gente immagina il disastro. Nessuno lo immagina davvero, altrimenti penso che staremmo tutti ad imparare a guidare l’aratro piuttosto che l’automobile.

    E questo, manco a farlo apposta, lo diceva già il bombarolo:

    Un avanzamento tecnologico, per quanto a prima vista non sembri minacciare alcuna libertà, finisce per farlo in misura maggiore più in là nel tempo. Per esempio, considerate il trasporto motorizzato. Prima di esso, la persona che si muoveva a piedi poteva andare ovunque volesse, a passo lento o veloce, senza dover badare a regole stradali e divieti, e senza la necessità di sistemi di supporto tecnologici. L’introduzione dei veicoli a motore sembrava venire in aiuto alle libertà dell’uomo. Di fatto, nessuna libertà è mai stata tolta, né nessuno è obbligato a comprare un’auto se non vuole; semplicemente, chi compra una macchina può viaggiare più velocemente di chi va a piedi. Tuttavia, l’introduzione del trasporto motorizzato ha in realtà cambiato la società in un modo tale da limitare enormemente la libertà di locomozione degli uomini. Quando le automobili sono diventate numerose, è diventato necessario regolare il loro uso estensivamente. Andando in auto, specialmente in aree ad alta densità, non si può andare ovunque si voglia e al passo che si preferisce, perché entrambe le cose sono regolate dal flusso del traffico e dal codice stradale. Senza contare i limiti e gli obblighi come i requisiti per prendere la patente, gli esami di guida, il rinnovo, l’assicurazione, la manutenzione per la propria sicurezza, e i pagamenti mensili. Sin dall’introdzione del trasporto motorizzato, l’organizzazione stessa delle nostre città è cambiata in modo tale che molte persone non possono vivere più a poca distanza dal luogo di lavoro, centri commerciali e opportunità ricreative, e quindi devono dipendere dall’automobile – o in alternativa usare il trasporto pubblico, che però fornisce ancor meno controllo dei propri movimenti rispetto all’auto. In più, persino la libertà di chi va a piedi diminuisce: in città è costretto a fermarsi ad ogni rosso del semaforo, strumento progettato principalmente in funzione del traffico automobilistico; fuori dalle città, il traffico dei veicoli a motore rende pericoloso e spiacevole l’andare a piedi lungo le superstrade.

    Ovviamente Kaczynski non parla solo di automobili, altrimenti du’ palle. In linea generale, questo documento è uno di quelli che forse sarebbe interessante leggere fino in fondo, ma che in realtà dopo un minuto già lasci perdere, in preda a sbadigli e una noia così mortale che neanche il miglior film porno asiatico potrebbe compensare.

    Però c’è un motivo per cui leggeresti questo manifesto piuttosto che uno tra le migliaia di altri manifesti, articoli, libri e film che hanno già detto e ridetto la stessa cosa. Questo è il manifesto dell’Unabomber. Questo è il motivo per cui quest’uomo ha fatto scoppiare bombe qua e là per decenni senza farsi trovare. Odiava il mondo, ed è riuscito a diventare famoso abbastanza da spiegarne il perché. E, insomma, ha chiaramente funzionato, considerato che il manifesto fu pubblicato da più quotidiani (e per un pelo persino da Penthouse), nonostante fosse lungo da morire. Quand’è stata l’ultima volta che avete visto un documento da 30 pagine su un giornale?

    Una buona edizione del manifesto, in lingua originale e con simpatiche note a margine, è disponibile a questo indirizzo: http://xahlee.org/p/um/um.html. Dategli un’occhiata, tanto per gradire.

  • Random Cisco geekery, issue 4: Some break-sequence madness.

    What is this break sequence even for?

    The break sequence is a special key combination that is sent to the router its booting sequence. It has to be done at the very beginning, and lets you get access to a special mode called ROMMON. Think about it as a command-line version of the BIOS menu that you access by pressing F2 or DEL on your PC; if you use a Mac, think about OpenFirmware.

    Let’s face it: most of the time you won’t need to access ROMMON when working on your Cisco devices, except for a number of cases in which it turns to be really useful:

    1. The flash memory is corrupt, hence the IOS firmware cannot be loaded (in this case you won’t even need the break sequence) or it loads but crashes in the middle of the process;
    2. You were upgrading IOS, but your router got power-cycled by mistake – or, in other words, you “bricked” the router, so to say;
    3. You lost access to the device and you need to reset the password, or you want to be even more brutal and erase the whole configuration from the NVRAM.

    How do I send the break sequence?

    When you normally work on a computer, you trigger the break sequence by simply pressing Ctrl+Break on your keyboard. Since you don’t connect a keyboard directly to the Cisco device, but you rather use telnet or ssh, we need to do something slightly different.

    Although you could send a BREAK signal via telnet or ssh (eg. using PuTTY’s system menu), this kind of connection is available only after the router has passed the boot process, so we can’t grasp those precious early seconds of life of the router.

    Fortunately, the Console port helps you, keeping the connection open since the very beginning. I assume that you already know how to get to the Console port of a Cisco device, but to put it short: get a serial port on your computer, connect it to the router using the blue cable, open HyperTerminal and ensure you use a connection with 9600 baud, no parity, 8 data bits, 1 stop bit, and no flow control (9600 8N1).

    Once you’re ready, open the connection. If the device is still turned on, try pressing Enter, and you should get something (User Access Verification? A prompt? A reassuring MOTD like “If you got here it means that you did something wrong”?). There’s a number of reason why it could not work – ok, I’m lying, most of the time it’s just that you need to throw that fake USB-to-Serial you’ve just bought and go find another one.

    Turn on the router and start pressing Ctrl+Break like you’re possessed by the devil.
    You should get a prompt like:

    rommon 1>

    Or just:

    >

    The difference matters, because then you’ll need to use different commands, eg. confreg 0x2142 vs. o/r 0x2142. Most of the time you’ll find complete guides on the commands you need to use based on your model, but let me anticipate to you that nowadays you’ll just find the first prompt (2600-ish) most of the time, rather than the second (more for older 2500s).

    I dnt use HyperTerminal bcuz M$ suxx

    If you’re using Linux, then just use minicom. You might need to install it (eg. sudo apt-get install minicom). You can’t use Ctrl+Break with minicom, instead you’ll need to press Ctrl+A then F and you’ll see “Sending BREAK” printed in the middle of the screen for a moment. It’s not as funny as flooding the line with Ctrl+Break by just keeping them pressed for 10 minutes, but it still does it job pretty well.

    No it doesnt wrk!!!!111!!

    It can happen. In this case there’s an alternative that I’ve just tried successfully and is documented on the Cisco website:

    • Turn off the router
    • Set your connection to 1200 baud instead of 9600
    • Open the connection
    • Turn on the router
    • Start pressing Spacebar and keep it pressed for 15 seconds
    • Disconnect
    • Set the connection back to 9600 baud
    • Connect again and press Enter

    This is for HyperTerminal – with minicom it’s even easier, as you don’t have to do any “connect-disconnect” thing, just set the speeds by pressing Ctrl+A, then P, then B, B and B again, then Enter, do the Spacebar stuff while turning on the router, then again Ctrl+A, P, C, Enter.

    Further documentation on what to do after entering ROMMON:

  • Intro – Opening Credits.

    A volte mi mancano cose.

    Mi manca l’attesa.
    Mi manca la scoperta.
    Mi manca dover pensare a tutto per non pensare a nulla.
    Mi mancano i confronti inaspettati. Con persone inaspettabili.
    Mi mancano i Quintorigo. Quando c’era John De Leo.
    Mi manca il mare all’alba.
    Mi manca bere un bicchiere di vino rosso sul muretto in autunno.
    Mi manca fare una foto meravigliosamente inutile.
    Mi manca sedermi ad una panchina e non fare altro che guardare il mondo scorrere.
    Mi mancano quei concerti da due soldi a cui non volevi andare ma, ehi, valeva la pena.

    Un po’ meno, mi manca quel senso di spossante inquietudine a cui non sapevo dare né spiegazione né soluzione. La soluzione, forse, è arrivata. Transeunte. Forse. In fondo è come scivolare lungo un’infinita transizione.

    Il titolo.

  • Luca K.

    L’ultima rockstar che conosco si chiamava Ciro Eugenio Milani.

    Un uomo inutile, con un lavoro inutile, una vita inutile, relazioni inutili, e un futuro che si prospettava inutile. Però il fatto è che si era stancato. Non voleva diventare anche un vecchio inutile.

    Essenzialmente gli bastava andare via. E credo che in fondo ad andare un po’ in giro per il mondo ci abbia provato. Però non riusciva a sentirsi a casa. O forse era troppo pigro per sentirsi a casa. O forse era troppo pigro per muoversi e basta. Colpa sua, forse no. Fatto sta che, alla fine, se non c’è nessun altro posto dove vivere, il problema diventa il vivere stesso.

    Questo mondo non è fatto per me, oppure sono io a non essere fatto per questo mondo. Non c’è poi molta differenza. Voglio uscire da questo mondo, come posso farlo? Ecco perché il suicidio è l’unica vera soluzione.

    Optò per il viaggio più lungo. Quello verso un non-luogo totalmente ignoto da cui non si torna più indietro. Potrà essere meglio o peggio, è un rischio da correre, una responsabilità da prendersi. Se si sbaglia non c’è alternativa. Era un’opzione da ponderare bene. E lui così fece. Dopo aver riflettuto a lungo sulla sua decisione, era arrivato ad una tale lucidità, una tale consapevolezza di quello che stava per fare da resistere a qualsiasi ripensamento. Certo, con una paura di fondo. Ma quale viaggiatore non ha mai avuto paura, primadipartire?

    Tre mesi prima creò un blog per raccontare questo momento. Il momento della preparazione, il momento dell’attesa. Stabilì una deadline fittizia (20 luglio 2005), un nome fittizio (Luca K.), una professione fittizia (impiegato) e una residenza fittizia (un qualche posto nell’hinterland milanese). Tutto il resto, però, era vero. Riflessioni, paure, momenti. L’attitudine era quella tranquilla di chi prepara una fuga dal quotidiano, in una qualche isoletta sperduta nell’oceano.

    Ma non era una richiesta d’aiuto. Lui non aveva bisogno d’aiuto. Questa è una cosa che nessuno riusciva a capire, neanche gli altri “aspiranti suicidi”. Non si sentiva triste, incompiuto o fallito. Anzi. Aveva vissuto la sua vita, e voleva cristallizzarla in un momento bello, da condividere con gli altri. Che ovviamente non capirono, e si dilettavano in patetismi da Telefono Azzurro o trollate di cui, a gesto compiuto, gli autori si pentirono amaramente.

    Quest’uomo è andato dritto come un treno, forte della sua consapevolezza, fottendosene di qualsiasi opinione. Sapeva come non farsi trovare. Aveva messo il suo blog su un sito di free-blogging americano (primadipartire.weblogs.us, ora svanito nel nulla), basato su WordPress. Come già dissi, WordPress è fico, e fra le tante figate c’è la possibilità di pubblicare un post in data futura. E lui così fece.

    L’11 luglio, mentre Luca K. svelava la propria identità ai suoi lettori nel blog, Ciro Eugenio Milani era già morto. In realtà voleva farlo la notte prima, ad un anno esatto dalla morte di un suo amico. Stesso ponte. Non che gliene fregasse molto di far poesia su questo momento, ma gli sembrava una cosa da fare.

    Ci furono altri post con data futura.
    Saluti, precisazioni, cazzate.
    Luca K. voleva un altro spiraglio di vita virtuale.

    Di Ciro Milani non so nulla. Di Luca K. so quello che ricordo da una lettura febbrile del blog a cose appena fatte. Non ricordo come capitai su quel blog, so solo che ormai non c’è più. Così come l’altro, blog.weow.org. Sono riuscito a ricostruire la storia essenzialmente a memoria, con l’aiuto di Wayback Machine e alcuni frammenti sparsi qua e là su siti e articoli di giornale.

    Cazzo, Luca, sei peggio di Archiloco.
    E allora, sai che ti dico?
    Questo post lo pubblico in una data futura pure io.
    Dal 30 novembre 2011 all’11 luglio 2012.
    Tanto per te aspettare non è un problema, adesso.