Author: TheLegs

  • Ma alla fine non era questo.

    Io sono un treno.

    Un treno di centinaia di vagoni. Considerato che ogni vagone di un Eurostar è lungo 26.10m possiamo dire che siamo nell’ordine dei 26.10m x 100 = 2610m = ho fatto 2 chili e mezzo di treno, che faccio lascio?

    Sono un treno che procede lento ma vuole andare sempre avanti. E chi aspetta il mio passaggio davanti alla sbarra deve sorbirsi 100 vagoni che passano alla velocità di 20 Km/h. Considerato che 20 Km/h = 5.5 m/s (e si ringrazia Google), 2610m / 5.5 = 474.5s = 7.9 minuti. Vabbè, e ci dobbiamo perdere per 0.1 minuti? E no, allora facciamo 8 minuti. Ce n’è da aspettare, comunque.

    A volte si para qualcuno davanti perché vuole suicidarsi sotto di me (a 20 all’ora…), oppure vuol farmi fermare per protesta, oppure vuol rapirmi (rapire un treno? Oh Cowgirl, ti prego, salvami!), oppure vuol salir su per scroccare un passaggio, o semplicemente per assaporare la brezza dell’attrito sul viso (a 20 all’ora… boh).

    A volte mi fermo, a volte no. A volte mi fermo, aspetto, riparto. A volte non ci faccio caso e lo spingo via con uno sbuffo di vapore.

    Stanotte poi ho fatto un sogno strano (e qui qualcuno potrebbe obiettare che alla fine tutti i sogni son strani). Ero in viaggio. Alloggiavamo in un posto a metà tra un bagno turco, un ospedale e un ostello. Insieme ad amici. Un giorno, in due, decidiamo di far gita in un altro posto. E io mi trasformo in un videogioco. Un tizio che vola giù in picchiata da chissà quale altezza, e deve aggrapparsi a delle specie di aerei aviomorfi. Inutile dire che schiatta sempre al suolo, in un modo o nell’altro (And the dreams in which I’m dying…). Vabbè, alla fine riesce a sopravvivere, e per premio torno in me stesso, atterrato in una zona desolata di questa città sconosciuta. Corro, corro, corro (Cavalca, cavalca, cavalca…). Sono da solo. Non ho modo di chiamarla. Vado in un autosilo, mi vorrei fregare una macchina. Si entra solo con tessera magnetica. Porc… ok, cerco di prendere un pullman. Ce ne sono tantissimi, sotto un grande arco. Vanno tutti a Tokyo. Li perdo tutti. Cerco di tornare al punto dov’ero atterrato, ma ormai è buio e io non so dove sono. Corro, corro, corro, mi sveglio.

    Ok, adesso posso anche accarezzarmi i capelli.

    Forse sì, non è niente di particolare.
    O forse è un pezzo di me che va via e che non riesce a ritornare.
    E farsi nuovamente riempire.
    O è colpa mia, tout court.

    E non sono un bravo attore.
    Né mi avvalgo dell’RMA.
    Al contrario di quanto sembri.

    Ma questo è meglio che non si sappia in giro. No?

  • Siamo la società dei blog.

    Vero.

    Solo su Splinder ci sono pressapoco 217mila blog aperti. Ok, alcuni belli, alcuni brutti, alcuni abbandonati, alcuni provvidi di interventi interessanti… ma son comunque una marea.

    Pensate in proporzione. Beh, sì, su due piedi è difficile, perciò ve lo dico io in che ordine di grandezza dobbiamo immaginare la blogosfera. Anzi, ve lo dice Technorati: siamo quasi a quota 50 milioni.

    Pensate un po’: 50 milioni di soggetti che parlano di sé, o parlano di un tema specifico, o più semplicemente di quello che gli passa per la testa in quel momento. Ci sono blog di persone normali così come di VIPpps, di aspiranti poeti, scrittori o semplicemente blogstar, di tifosi di una squadra di calcio o dell’altra, di persone interessate alla politica, o ad uno sport, o all’associazionismo, o chissà che altro. Certo, perché prima era da fighi farsi un sito, adesso è molto più figo (e facile) farsi un blog.

    C’è questa tendenza globale a voler comunicare in qualche modo, a voler parlar di sé ad un esterno composto da chissà quante e quali persone. Spesso usiamo il blog come canale per comunicare un messaggio ad una persona in particolare, a volte in modo esplicito, altre volte in modo velato, quasi codificato, in modo tale che sia solo la persona prescelta (e magari qualcun altro) a capirla. Una sorta di lettera elettronica aperta. Altro che SMS.

    Godiamo un po’ nel vedere contatori incrementarsi e spulciare distrattamente le statistiche per scoprire chi ci ha visto. Non per altro, ma perché si sa che spesso sarà anche piacevole rispondergli, e magari trovare un assiduo lettore di un assiduo blog-da-leggere.

    Beh, cari blogger, visto che sta società dei magnaccioni è così grande e così piena di belle speranze, dedico a tutti voi questa notte, sia a voi che sarete passati di qui sia a voi che non saprete mai dell’esistenza di questo post.

    Un abbraccio.

  • Farmacista tu, farmacia di turno!

    Allora, sia chiaro che io e la rinite abbiamo sempre avuto un rapporto molto controverso. Ormai ci conosciamo da anni, abbiamo attraversato diversi momenti insieme, alcuni felici, alcuni tristi.

    E fin qui sembrerebbe tutto pacifico… voglio dire, ormai ho accettato il fatto che si autoinviti nel mio naso ogni tanto, che il primo giorno mi faccia starnutire, il secondo giorno mi faccia starnutire ancora di più (non sono ancora arrivato ai famigerati 10 starnuti di fila ma le prospettive sono allettanti), e il terzo giorno passi al gocciolamento tipo tortura cinese, con gli starnuti che a questo punto diventano delle specie di attentati agli addominali.

    Lui d’altra parte in cambio sopporta anche il mio essere, come dire, un po’ ostile nei suoi confronti, quando mi imbottisco prima di Aulin misto Aspirina Rapida, poi di Augmentin, poi di Bactrim, poi di Aerius (al posto del Tinset ^^), e soprattutto quando li ingurgito tutti insieme come ho fatto oggi con altresì molta soddisfazione (beh sì… a proposito, non badate troppo a quello che sto scrivendo, credo di essere già arrivato alla trance pre-intossicazione-da-lavanda-gastrica).

    Però quello che non sopporto proprio è quando mi si tappa il naso.

    Non ci riesco proprio!

    Comincia tipo al secondo giorno… prima una narice, il giorno dopo l’altra, e il giorno dopo entrambe.

    Vi giuro che mi vorrei strappare il naso a morsi.
    Soprattutto quando pizzica.

    Divento più o meno così:

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    Source: adnkronos

  • Bibidi-bobidi-bu.

    Bibidi-bobidi-bu.
    Bibidi-bobidi-boom.

    Fine dell’overture.
    Primo movimento. Andamento fortissimo.

    Odiami. Come si può odiare un pupazzo inerte. Di quelli che si possono sbattere con violenza contro gli spigoli sapendo di provocargli un dolore lancinante. Per sentirsi meglio.

    Il pastore ha deciso che non gli riesce più di badare al suo gregge. Il pastore ha indossato un paio d’ali nuove di zecca e, nonostante i primi tentativi di volo risultino un po’ goffi, ha intenzione di imparare in fretta.

    E presto il pastore, nella sua nuova veste, sorvolerà il suo piccolo vecchio mondo terreno, guarderà dall’alto del suo nuovo mondo aereo quello che si lascia alle spalle, insieme ai salvi che porterà sulle sue gracili spalle. Un sorriso compassionevole per tutti. One for the wicked men, one for who’s comin’ back (being the same as/worse than before), one for the only one (till now), one for the watching out ones (beware of the ninja!), one for the peaceful protest, e così via.

    Tutti gli altri spariscano via al mio terzo colpo di bacchetta.

    Buona notte.

  • Tornerò da te.

    Milano.

    Caotica mamma che accudisce i suoi pargoli fra rassicuranti grattacieli e immensi quartieri tagliati dalla metropolitana e dall’acqua di più fiumi che la attraversarono prima di essere sommersi dal cemento. Tassisti che ogni volta si scoprono Milanesi trapiantati ora da Bisceglie (no, non la zona, la città!), ora dalla Sicilia, ora da Genova… e, qualunque sia il tragitto da fare, fan sempre pagare più o meno 10 euro. Evidentemente mi sfugge qualcosa di questo meccanismo.

    Give me a reason to love you,
    give a reason to be a woman.

    (Portishead, Sheared box)

    Intermezzo.

    Sul treno un francese ha preso l’Eurostar per una sorta di micro-Hyde Park. Immerso nella lettura e in dissertazioni filosofiche con l’amico Morfeo, decide ad un certo punto di togliersi le scarpe e sventolare i graziosi e olezzosi piedini al fresco del bocchettone dell’aria condizionata.

    Non per voler andare a stereotipi, però… beh, si è capito.

    Il tuo sorriso mi disgusta.

    (Quintorigo, Rospo)

    Bologna.

    Calma. Chilometri di portici da attraversare rigorosamente sotto la pioggia, tranne quando c’è da improvvisare una cena, rigorosamente alla Coop.

    Bologna nera? No way. Bologna rossa. Tutta rossa. In ogni senso.

    Apri le mie labbra, aprile, dolcemente.
    Aiuta il mio cuore.
    Cometa cuci la bocca ai profeti.
    Cometa chiudi la bocca e vattene via.
    Lascia che sia io a trovare la libertà.

    (Area, Cometa rossa, trad. [purtroppo] dal greco)

    Calma. Calma. Strade deserte già dalle 22. Giusto il tempo per un gelato o tre bottigliette d’acqua, a volte con sportivi della prima ora indaffarati in discussioni spazianti (e spiazzanti, se mi consentite). Oppure c’è via Zamboni, che a quest’ora è un crocevia in cui s’incontrano le caste. Fighetti, alternativi, punkabbestia, intoccabili, … si incontrano, chiacchierano, si danno appuntamento per vedersi in qualche altro posto. Finalmente gente che ammette l’inutilità di ripararsi dietro un modo di vestire o di atteggiarsi. Senza troppe categorizzazioni, e senza troppo senso di appartenenza (a cosa poi?).

    Piccoli acquisti un po’ per tutti al mercato di piazza VIII Aprile (anzi, anzi… la piassòla), e al Parco della Montagnola (anzi, anzi… dela Montagnòla). Tre paia di calze a righe. Model pour femme. E chi se ne frega.

    La signora del B&B ci ha consigliato di stare attenti a quelli che noi molto sbrigativamente definiremmo topini (beh, sì, anche se non son dotati della graziosità che il termine ispirerebbe) lungo il tragitto verso via Indipendenza. Alcuni ragazzi di Napoli, altrettanto sbrigativamente, hanno fatto finta di esser grandi esperti di situazioni simili. E per due volte hanno ricevuto le "attenzioni" dei cleptomani. Noi siam rimasti incolumi. Col metodo alla barese. Ebbene sì, Bari-Napoli 1-0 (poco galante, lo ammetto, ma me la dovevo togliere ‘sta soddisfazione).

    Tutto il resto son foto, immagini confuse nella mia memoria che un viaggio di ritorno di una decina d’ore non mi aiuta a riorganizzare (e si ringrazia Trenitalia e i freni bruciacchiosi dell’InterCity Plus per la collaborazione), e pensieri che voglio tenere stretto.

    Torno agli schiamazzi diurni e notturni e al caos di una città che alla fine mi è mancata, e mi appartiene. Torno alla realtà che voglio veder stravolta al più presto e nel modo più violento possibile.

    Non so se ci riuscirò.
    In ogni caso buon viaggio anche a voi.

  • Ceci n’est pas un titre.

    Due punkabbestia e il loro nuovo cane, reincarnazione perfetta di un D’Annunzio finalmente realizzato. In altre parole: tre allievi di Saint-Exupéry indaffarati a seguire la linea contorta degli alternanti lettori.

    Il resto non riesco a scriverlo.

    E comunque la weltanschauung non indica il background culturale, quanto piuttosto l’ideologia di fondo che ispira il singolo. Questo a mero titolo di cronaca per la serie: come fare i fighi davanti a se stessi e cercare differenze sottili anche fra definizioni sostanzialmente simili.

  • Mater Matera, Mater Gravina.

    E poi ti prendo e ti porto via. Sembra così banale ogni volta che te lo dico, ma tu sai che ogni volta lo dico con lo stesso sapore di un nuovo bacio, di un nuovo abbraccio, di una nuova carezza. Voglio portarti con me, abbracciarci sul parapetto, mentre grido forte il tuo nome per far sì che l’eco arrivi fin dietro la collina dall’altra parte della gravina.

    Voglio farti sentire lo scroscio dell’acqua, sembra che non esista in fondo a questo baratro, eppure lo si sente chiaramente. Sembra si porti via gli ami che tirano giù le stelle e le fanno bruciare, morendo rapidamente, contro l’atmosfera. Voglio desiderare di restare per sempre con te, di far l’amore ancora una volta. Un altro respiro, se vuoi. One more breath for the dying man.

    Il vino è il mio complice astuto, il mio aiuto per alzare un velo intorno a noi. Non più luci, non più suoni. Solo il cielo e me, per te. Ti addormenti tenendomi forte la mano, di lato sul parapetto, mentre appoggi dolcemente la tua testa sulla mia coscia e mi implori, lo sento, di accarezzarti i capelli e coccolare il tuo sonno.

    Ti giri.
    Vuoto.
    Afferra la mia mano!

    Nella buona e nella cattiva sorte.
    Insieme fino all’ultimo istante.

    Ti stringo la mano per l’ultima volta.

    Ed ora so. Ti amo.

    Source.

  • Contrasto.

    K’eo ne pur ripentésseme? davanti foss’io aucisa
    ca nulla bona femina per me fosse ripresa!
    Aersera passàstici, correnno a la distesa.
    Aquìstati riposa, canzoneri:
    le tue parole a me non piaccion gueri.

    (Cielo d’Alcamo, Contrasto)

    To repent? Shall I be slayered here and now, if any honest girl may be rebuked for a fault of mine! Yesterday you were running by here with your horse… Hence be quiet, darling singer, as your words are making me angry.

    Once again, useful as well.

  • Nolo aliquam sentire.

    Un vento fortissimo cerca in tutti i modi, questa mattina, di portarsi via ogni cosa.

    Le amarezze. Le gioie passate che cercano di plagiare il mio volere. Le gioie tarpate. Le indecisioni. I cambi d’umore. Persone irritanti. Persone la cui compagnia ritenevo salutare. O quantomeno piacevole. Gli attriti. Le liti. Le logiche di gruppo. Le logiche dei singoli. La casualità, ossia la divinità che si rivolta contro l’adepto. Le voci, le opinioni, i giudizi. I sorrisi. I baci. Le speranze. Le attese. I chiarimenti. I chiarimenti. I chiarimenti. Le attese.

    Il vento però non riesce a portar via il mio mal di testa. Davvero, neanche 20 gocce di Novalgina ci sono riuscite ancora. Me le immagino ancora girovagare nel mio cervello cercando di trovare il cavillo legale opportuno per sfrattare il moroso dal cervello occupato abusivamente. Non so che dire, potrei avere un aneurisma*. Nel caso mi vedrete al Pronto Soccorso tra qualche ora (perché io in questi casi non faccio di testa mia, che si sappia). E loro mi diranno forse che questo mal di testa è dovuto ad un sovraccarico del cervello. Troppi pensieri in testa girano vorticosamente e si scontrano come palline di un flipper sulla via del tilt.

    La II rivoluzione mi salverà.

    Come on over, and do the twist.
    Overdo it and have a fit.
    Love you so much, it makes me sick.
    Come on over, and shoot the shit.

    (Nirvana, Aneurysm, Incesticide, 1992)

  • Le jeu est fait. Reprise.

    Il gioco è semplice: abbassarsi allo stesso livello di u[…]