Author: TheLegs

  • Estemporanea I.

                                  Me too!
           òó/    èé          @@  *INPUT*
         T.||    .().G        _|_
    _______db_____db_________(OOO)_________

    L’ultimo ad di non so quale marca di omogeneizzati presenta un bambino che gattona smaliziato sui prati.

    All’improvviso si erge in piedi e, forte del vigoroso potenziale fornitogli dalla poltiglia di carne, prende in mano un martello e, insieme ad altri bambini-black-bloc altrettanto martellodotati, si lancia correndo alla carica, urlando felice e ancor più smaliziato, contro una vetrina immaginaria.

    In realtà questa massa di pseudohippie non sa che, dietro la telecamera e l’appena accennato sottofondo di Datemi un martello (sic), li aspetta la celere per provvedere quanto prima al [re]inserimento nella «grande catena di montaggio sociale nella quale lavoro da anni».

    Non più smaliziati, dunque, meriteranno un caloroso e compassionevole buon viaggio.

  • Take 5, leave 4. Get 3dom in2 1 of ur litt’l worlds.

    5.

    Dev’esserci qualcosa di cabalistico nella mia preferenza verso il 2.
    Perché 2 dev’essere necessariamente il numero perfetto.
    Ovviamente facendo seguire a ruota il 4.
    Figlia bastarda, nata per partenogenesi,
    da un 2+2,
    poi da un 2*2,
    e poi anche da un 2^2.

    E quel quadretto formato da quei quattro era effettivamente perfetto. Era un’armonia costante e imperturbabile. Era una brodaglia di sensazioni esaltanti e di serenità che ho tentato di trascinare e trascinare, con tutte le mie forze, anche quando sapevo che sarebbe evaporata in non più di… non so… 4 mesi.

    Perché 2/2 non fa 4.
    E non fa neanche 2.
    Fa 1.

    E sarà forse questo il pensiero che ticchetta costante fra le sinapsi, quando riconosco l’asfalto e l’ultimo granello di sabbia, quando le luci scompaiono nello specchietto in frantumi, quando sento i pedali sotto il palmo dei piedi nudi, quando inganno l’attesa ascoltando De Andre’, quando tento di sprizzare elettricità in un barattolo di vetro, quando vorrei fermarmi e scavalcare di nuovo quel muretto.

    Quando ti sforzi di non credere più,
    ma dopo qualche minuto il vento,
    fortissimo,
    picchietta ancora una volta.

    4.

    Fresca pioggia…
    Pioggia? Acquazzone!
    Turbine, maremoto, tempesta!
    Di cui vorrei sentirmi pregno, una volta ancora.

    3.

    Passeranno anni, ed anni ancora, e ancora altri, ma ci sarà ancora un cricetino in testa che si ostinerà a far capolino dalla sua tana, lanciarsi di corsa sulla sua ruota preferita, e girare impazzito fino allo stremo delle sue forze.

    Passeranno anni, ed anni ancora, e ancora altri, ma continuerò a sorridere anche quando il sorriso tutt’intorno sarà spento e svogliato.

    Passeranno anni, ed anni ancora, e ancora altri, ma vorrò ancora tirare ad indovinare il risultato del tuo incessante far scorrere inchiostro in lettere chilometriche, in taccuini presto sgualciti, in bigliettini stropicciati.

    2.

    Non finirà.

    1.

    Loneliestnumber.

  • Inaltreparole.

    Scivola lenta la notte d’estate,
    notte distratta, notte d’altrieri,
    in terra d’Alice il passato scrimpare,
    in cielo cobalto il presente mirare.

    Scivola piano la pioggia d’estate,
    pioggia d’oriente, pioggia di ieri,
    di fuochi e certezze, di fiere altere,
    di spirito e bene, di tatto e di vene.

    Scivola dolce la mente in estate,
    rotola, densa, impetuosa e distante,
    in piccole dosi cristalli di miele,
    si sciolgono presto in pioggia da bere.

  • Polidipsia.

    Hunter » Spacciare per intelligenza una squallida acutezza retorica.
    » Confondere sensibilità con indomita resistenza ai complessi.
    » Garantirsi superiorità semplicemente denigrando il mondo circostante.

    Dov’è la fonte d’acqua pura?

    (Photo: salajin on flickr)

  • I wish you candles, flowers, sun. Forever.

    Un giorno Bernie, durante la sua solita passeggiata con Cerbero, notò lungo il sentiero una scia fatta di piume. Alcune erano insanguinate, altre di un candore brillante, tanto che fu tentato inevitabilmente di prenderne un paio. Cominciò a rimirarle, a notarne la struttura ancora perfetta, l’odore insolito e piacevole. Cominciò a chiedersi quale volatile potesse mai generare delle piume così belle, ma soprattutto perché ne perdesse così tante nonostante sembrassero forti e salde.

    Incuriosito, decise di inseguire la scia.

    Cerbero, come sempre, cercò di dissuaderlo con tutt’e tre le sue teste. Ma Bernie, ormai abituato, gli spiegò ancora una volta che preferiva accettare il rischio di un dispiacere, pur di affrontare la realtà.

    Dopo qualche decina di metri la scia si interruppe, concludendosi in un ammasso di piume e sangue. Bernie non riusciva a capire. Si avvicinò alla pozza, il sangue sembrava ancora fresco, di un colore più chiaro del solito. Ad un certo punto sentì una goccia cadere sulla testa, alzò lo sguardo e notò qualcosa fra i rami più alti dell’albero accanto.

    Un uomo con gli occhi gonfi di lacrime.

    Senza accorgersi della sua presenza, l’uomo proseguì nel suo piccolo rituale. Con un sorriso soddisfatto, prendeva una piuma, con uno scatto improvviso la staccava, tentando di smorzare la smorfia di dolore. Poi la guardava e perdeva una lacrima, che faceva cadere insieme alla piuma e ad una goccia di sangue. E tutt’e tre giungevano lentamente a terra nello stesso istante. Fissava nel vuoto per qualche minuto, poi ricominciava.

    Dopo poco Cerbero, spazientito, produsse un latrato assordante.
    L’uomo sull’albero trasalì. Guardò in basso, spaventato.

    – Perché siete qui?
    – Ho adorato la magnificenza delle tue piume, così le ho seguite. Ti ho visto ripetere questo rituale, e mi ha incuriosito. Ti ho visto sorridere mentre lacrimavi, ma ho provato una fitta al cuore per ogni piuma che staccavi, come se fossero mie.
    – È così infatti.
    – Che vuoi dire?
    – Tempo fa sono stato un pastore. Poi un demone. Poi un fiore appassito. Tempo dopo, infine, sono stato un angelo, con un paio d’ali che non sapevo più usare. Ma ora voglio essere un uomo. E quell’uomo sei tu.
    – Non riesco a capire.
    – Vedi, ogni volta che stacco una piuma va via una parte di me, che si divide nelle sue tre facce. La piuma porta in sé la magnificenza, il sangue conserva il dolore, la lacrima porta via la nostalgia. Quando avrò finito molto probabilmente morirò. Ma sapevo che tu, proprio tu, saresti giunto qui e mi avresti trovato. Io ti conosco, così come conosco anche il tuo fido compagno. E so che tu raccoglierai questa pozza, la nasconderai nel tuo scrigno più prezioso, e custodirai gelosamente il mio passato. Che diventerà il tuo.
    – Perché dovrei farlo?
    – Perché, Bernie, deve giungere il momento di andartene da qui, oltrepassare quella montagna. È lì dietro ciò che ti ostini a cercare di capire in tutt’altro modo. E non ci potrà mai essere nessun aiuto, se non il dono del tuo passato, perché devi impegnarti con tutto te stesso, e con le tue sole forze. Hai sempre sperato nell’aiuto di una fata, e solo ora hai provato la delusione di aver sprecato mesi senza riuscire. Anzi, hai provato spesso momenti di profonda contrizione, isolamento, repressione. Questo è il momento.
    – Non riesco.
    – Riuscirai, invece. Riuscirai da solo.

    Bernie si sedette, strinse a sé Cerbero, e passò tutta la notte sveglio seguendo quest’angelo nel suo lento percorso verso una dolce morte. E, man mano, si rendeva conto di vedere davvero in quelle piume le reminiscenze di un passato che aveva voluto allontanare a tutti i costi.

  • Epitelio retro.

    Perché a me è sempre piaciuto apprezzare le piccole cose.
    Che al momento giusto diventano preziose, grandissime.

    Ad esempio, si può passare un’oretta insieme ad una coppia di veri geni, incontrati per puro caso, e così riuscire a compensare l’angosciante presenza di odiosi pseudo-artisti con parentame depressivo al seguito. Con un po’ di sano sfotto’ a concorsi privi d’ogni decenza, fra meteore da ricordare e faccine da scoprire ad ogni angolo.

    Opzionalmente si può inoltre annullare la solitudine salutando esistenze di passaggio, scambiando due parole, e poi tornare a fissare le armonie impresse sulle corde, con un pieno d’empatia per commuoversi o ridere con gusto.

    Oltre quel piccolo mondo tutto il resto affonda per due ore.

  • Deva, Stazione C.le (aka: ghiaccio contro lo scirocco).

    Forse non sei davvero una squallida e sterile parentesi. Una deviazione infruttuosa. Un errore blu. Una sbobba indigesta. Un ruscello di fogna da evitare con un buon balzo.

    Forse non dovrei pompare insieme denso risentimento e profonda indifferenza in un miscelatore affaticato. Forse dovrei ripensarci e non voler ergere più paletti così forti.

    Ma ho pensato bene a quella sera, e la prossima volta che quell’ipocrita alfiere verrà a chiedermi «come stai?», gli risponderò «bene, adesso!», guardandolo con gli occhi di chi vorrebbe aggiungere «perché la tua presenza funambolica e ormai irritante, come tutte le altre, ormai non mi darà più fastidio».

    Piccola zanzara, a volte penso che avrei dovuto scacciarti via subito dopo avermi succhiato il sangue, e lasciarti accoppiare con i tuoi simili per generare degna prole.

    E non so se tutto questo è giusto.
    Ma so di per certo che mi fa stare bene.
    Che è quello che mi ci vuole.
    Per ora.

  • Be fed off.

    Dolce notte insonne.

    Balla, balla ancora, piccola checca.
    Senza tema, né temi, né pensieri, né sguardi.

    Come spiegare all’accanita fumatrice, mentre mi porgeva l’accendino e aspettava le sue venti dosi, che a quell’ora si era svegli o perché si era già svegli o perché si era ancora svegli?

    Perché se ci avesse visti aspettare l’alba, rannicchiati come cuccioli per scaldarci l’un l’altro, sarebbe rimasta anche lei a guardare senza chiedersi più nulla, pensando che forse sono davvero giorni preziosi, vivi, inaspettati. Giorni che scivolano leggeri su nastri di seta, scossi d’impulso e senza pretese.

    Giorni che vorrei far galleggiare in una piscina di soffice schiuma.
    Fra mura biancoparadiso.

  • Fitting quotes, lesson II.

    – Perché sono attirato da una persona anche se so che non è giusta?

    – Guarda caso io so la risposta: perché speri di sbagliarti. E quando lei ti fa una cosa brutta e dentro di te ti dici che non è la donna giusta lo ignori, e quando lei ti fa una cosa bella, ti sorprende, ti conquista, tu perdi la scommessa con te stesso… e lei non fa più per te.

    (Da L’amore non va in vacanza, USA 2006)

    Tra l’altro, a parte che in questo film erano concentrati tre attori che adoro (indovinate chi è l’escluso?), il cameo di Dustin Hoffman che spulcia i DVD di Blockbuster non appena Jack Black prende in mano la copia de "Il Laureato" è una chicca squisita.

  • Fall-out.

    Oggi Alvin si è svegliato presto.

    È incredibilmente di buon umore: sta per riuscire ad intercettare finalmente una stazione radio che gli dirà tra quanti giorni il livello si sarà abbassato abbastanza da permettergli di lasciare finalmente lo scantinato.

    Se prova ad immaginarsi cosa lo aspetterà, sente un breve fremito di paura salirgli lungo la gamba. Probabilmente sarà tutto in cenere. Oppure, chissà, troverà alberi ancora in piedi e bestiame agonizzante. Oppure potrebbe non poter più aprire la porta perché le macerie della sua casa, o magari peggio ancora cadaveri putrescenti, hanno ostruito la porta. E cosa fare in quel caso? Si vedrà.

    No, non c’è nulla che possa turbare la serenità di Alvin.
    Ha la consapevolezza che la guerra è finita.
    Che non ci sarà più tensione, non ci saranno minacce, non ci sarà attrito fra le parti, non ci saranno manifestazioni di protesta ad oltranza, non ci saranno scandali diplomatici su tutti i giornali.

    Non ci
    sarà
    più
    niente.
    Tutto qui.
    Tabula rasa.
    E quando è così,
    e tutto intorno svanisce,
    ma hai voglia di ricominciare,
    vedi in quella tabula rasa la base,
    per un nuovo mondo da ricostruire.

    O altrimenti, se volete,
    il proemio di una nuova vita.