• Groucho “Στρεψιάδης” Marx dicavit.

    «Dormi, se puoi. O svegliati, se vuoi. Hai una tazza di caffè per scegliere di svegliarti, o un bicchiere di vino per lasciarti dormire».

    Aprì gli occhi respirando a pieno l’odore della pioggia d’estate. Fa sempre una strana impressione la pioggia, d’estate. Forse perché arriva, così calda e odorosa, così rinfrescante e piacevolmente imprevista, solo per mostrare quanto in verità sia da stolti cullarsi nel calore estivo, sperando che possa durare per sempre, quando invece è così effimero e di durata finita. Piccola legge incontrovertibile.

    «E non temerai di venir folgorato, perché sai bene di essere tu la folgore».

    E allora, in fondo, era anche normale che sentisse addosso un po’ di malinconia. Quella sensazione a metà. Quella dolce tristezza in cui è piacevole, a volte, cullarsi. Quasi-rassegnazione ad un desiderio inappagato perché inappagabile.

    Spesso, poi, alla malinconia si aggiunge la tendenza ad insinuare, giusto per un istante, il dubbio anche su ovvietà. Come: "è" si scrive con l’accento grave o acuto? Grave, diamine, che dubiti? No, niente, fai finta che abbia detto nulla e grazie per tutto il pesce.

    In queste situazioni, dunque, si dovrebbe ascoltare questa canzone.

    Dormi, dormi.

    Al buio, s’accendono pupille, attorno si dilatano, si posano, rimangono nell’ombra. E aspettano.

    Al buio, sepolte ancora vive branchie che si affannano, han denti di falena, ma nell’ombra… si spengono.

    Al buio, nel vuoto di vertigine anche l’ovvio è in bilico, la notte ha un occhio solo appeso in ombra, finché avrà un’ombra di sobrietà.

    No, buio! Per altri è già mattino, per me è cielo capovolto, il sogno dorme a riva, aspetta l’onda, aspetta l’ombra, e canta l’ombra, e poi nell’ombra… ritornerà.

    (Quintorigo, Illune)

  • Ils n’ont pas compris.

    Benché curioso e difficile da immaginare, sembrerebbe che una tigre e un leprotto siano capaci di equilibrare le loro diverse masse grazie ad un’affannosa ricerca di contropesi.

    Succede così in questo piccolo mondo perfetto, dove un po’ tutto vive in un costante equilibrio precario.

    Va bene così, insomma.

    È dunque comprensibile immaginare che ogni scombussolamento possa creare una serie di reazioni a catena, la cui conseguenza sarebbe, fra l’altre, un’ovvia frustrante e futile autocommiserazione. Che può risalire lungo uno di diversi percorsi possibili, come quello delle sensazioni perdute. A partire dallo sforzarsi inumanamente nel disperato tentativo di ricordare "cosa c’era lì anni fa" fino a giungere a flashback istantanei ricchi di odori e sapori che credevi perduti col passare del tempo. Col passare di estate in estate.

    Sono, questi, ricordi che a distanza di anni danno, senza in realtà un vero motivo, sonore botte di autostima e consolazione. E ci vuole un po’ di consolazione. Consolazione che sembra un bicchiere di te’ freddo da sorseggiare avidamente proprio in quei giorni in cui il caldo diventa intollerabile.

  • Terapia.

    Destination unknown-kn-known-kn-known-kn-known.

    A parte la lista di culi, Crystal Waters è sempre stata un’ottima fonte di canzoni starter. Quindi ben venga qualsiasi variante Gaudiniana.

    Ma non potranno mai soppiantare The Weekend. Ho passato troppe ore a guardare e riguardare quel movimento del ginocchio per potermelo dimenticare.

    Se vi chiedete dove sia, cercatemi in una campagna lontana da tutto, dove avrò ritagliato sedici metri quadri di terra battuta fra gli ulivi. Ho tutto quello che mi serve. Decine di candele delimitano sacralmente la zona fra il mio spazio e il mondo esterno. Al centro un cesto pieno di vodka-lemon (facciamo Vodka-Cola?). Il pianeta Eldorado con i suoi tre satelliti: una ciotola di arachidi, una di sigarette e una di accendini.

    E poi, soprattutto, quattro casse da 45W. Sono lì, pronte per vibrare al suono della bassline. No, forse 45W non bastano neanche per cortinare questa minuscola Memphis Mafia (davvero minuscola, essendo sostanzialmente una reductio ad unum), ma sapremo accontentarci.

    Poi vado qualche decina di metri più in là, dove il generatore silenziosamente fa il suo lavoro.

    È tutto pronto.

    Inizia una grancassa.

    Chiudo gli occhi.
    Three-four, pum-pum-pum-pum.

    Per tutta la notte,
    piedi nudi su un tappeto di stuoie.

    E in quel momento non c’è più nulla. Non ci sono parole prive di significato che scivolano docili lungo l’esoscheletro, né quelle che irritano, né quelle che bruciano e straziano. Non ci sono piccole delusioni, né squilli, né 500 ignoti da presentare, né cose da fare, né persone da intrattenere, né ricordi, né decisioni, né ripensamenti, né ipotesi, né assurdità. Tutto si concentra nella musica che ho scelto io, nell’ordine che ho deciso io, che si trasforma nel modo che più mi piace in gesti nei miei arti e immagini nei miei occhi.

    Col giusto volume a stecca che può farmi sopravvivere.

    Off-Topic » http://evone.extra.hu/files/love.swf. Thanks to Miss Guendalina Beefheart.

  • Serendipity.

    Con serendipità ho scoperto cos’è la serendipità.

    È un angelo che stringe forte a sé il Dono. Si fa strada nella folla di chi vive di rimpianti, chi sopravvive fra le speranze, chi cresce rapportandosi morbosamente alle scoperte, chi si eccita con la monotonia e le rassicuranti abitudini, chi soffre dei ricordi, chi sbaglia a tornare indietro per prendere la rincorsa.

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    E sarà quando avrò perso quell’ultimo pezzo di narcisismo e di illusoria dignità che spetta a tutte quelle persone che stanno in piedi, più quelle che sono sedute, più quelle sedute accanto a quelle in piedi, più quelle in piedi accanto alle altre. Sarà quando tutto sarà definitivamente ridimensionato per amore della giustezza e dell’assoluta verità. Sarà allora che diventerà tutto normale. Forse sarà tutto finito, il tanto temuto boccone amaro da ingerire con stoica rassegnazione. O in fondo sarà stato meglio così.

    Non ho più voglia di post e commenti.
    Ripasserò, forse.

  • Nenia.

    Una volta cedette, e scoppiò in un pianto disperato, senza motivo. Davvero, il motivo più lo si cercava più aveva perso senso trovarlo. Riempì una tazza di liquore e la bevve rincantucciato sulla sedia come si beve una tazza di cioccolata calda. Le due mani stringevano saldamente la tazza, un appiglio dal quale nessuno poteva tirarla via.

    Lui non riusciva a capire cosa stesse succedendo, ma decise di correre da lei al più presto. Aveva paura che potesse accadere qualcosa di grave. La trovò su una strada deserta bagnata mentre sperimentava il brivido vibrante di un testacoda. Lasciarono la sua macchina e lui la portò lontano, lontano. Lontano da tutto quello che poteva toccarla, lontano da tutto quello che poteva ferirla o poteva accarezzare le sue sinapsi in fibrillazione.

    Lei continuava a piangere a dirotto, singhiozzando. Lui non chiedeva perché, era chiaro che sarebbe stato inutile. Lei non avrebbe fatto lo stesso, l’avrebbe visto come un problema da risolvere, questo pianto immotivato l’avrebbe mandata nel panico. Ma a lui questo non importava. L’avrebbe fatto lo stesso, perché è fatto così. Perché a volte, a volte, non è poi così strano che ci siano cose che accadono o esistono indipendentemente dal conoscerne il motivo.

    Erano soli. Terra grigia, cielo grigio, mare grigio, lacrime grigie. Pianse ancora, ancora per molto, e molto ancora. Ogni tanto blaterava qualcosa senza senso, lui la consolava con rassicuranti risposte senza senso. Poi, pian piano, finì. Si sentiva meglio. Si sentiva al riparo. Erano loro due, e questo non era mai un problema. In quel momento era perfetto. Erano loro due, e avrebbe voluto che questo momento durasse sempre, per sempre. C’era sempre.

    Poi tornarono alla vita normale. Il mondo delle piccole abitudini e delle piccole cose da ammirare. Come se non fosse successo nulla. Nessuno ne parlò quasi più. Restò forse solo un piccolo ricordo fossile.

    Ricordo.

  • Mendicando vita.

    Perché sei la scintilla che fa esplodere in mille direzioni i pensieri sconnessi e l’ansia di conoscerti. E spingi il mio corpo etereo fra enormi cristalli di sale, per aiutarmi a conservarmi. In attesa di una mano che mi disincastri da sinapsi impazzite che trascinano i miei sogni in linea obliqua verso il pavimento.

    Era così strano.

    Scivolavo senza fine lungo le scalinate di marmo nero, e giunto all’ultimo scalino, certo ormai della mia morte, mi fermo seduto, come se nulla fosse.

    Certo, sarebbe stata una morte davvero stupida.

    Ma poi cosa significa una morte stupida?

    Il signor Rossi è in giro al mercato delle pulci con il suo cane. Improvvisamente il cane schizza via e lui cerca di raggiungerlo, attraversando senza rendersene conto un’enorme strada con il semaforo rosso. Morte ovvia: una macchina non ha il tempo di fermarsi e lo prende in pieno. Morte assurda: una macchina non ha il tempo di fermarsi e devia contro un’altra macchina, provocando una serie di incidenti a catena; il signor Rossi è quasi giunto all’altro lato della strada mentre una motoretta, per evitare il maxi-tamponamento, devia contro di lui. Morte stupida: il signor Rossi sopravvive al colpo, ma caso vuole che sull’enorme ferita all’addome cada in quel preciso punto e momento una cagata di piccione di proporzioni immani, causando morte per setticemia.

    Non mi stupirei se morissi così.
    Di certo almeno sarebbe un po’ divertente.

  • Weltanschauung.

    Allora.

    Prendiamo una ciotola. Mettiamo dentro un po’ di metadone, pepe e noia. Poi aggiungiamo un po’ di maionese, per cominciare ad amalgamare il tutto. Poi aggiungiamo un pizzico di limone, giusto per conferire quel sapore un po’ acre. E a questo punto anche un po’ d’acido citrico, così ravviviamo un po’ i bruciori.

    Poi versiamo il tutto, lentamente – intendo quasi uno stillicidio – in due bicchieri. In uno aggiungiamo cucchiaiate abbondanti di piombo, mentre nell’altro aggiungiamo grandi manciate di insofferenza. Infine mettiamo qualche altra sostanza soporifera nell’uno e qualcosa di nervoso e nauseabondo nell’altro.

    Opzionalmente possiamo anche prendere un metro già taccato in precedenza e inserirlo nel secondo bicchiere per comparare la misurazione con gli esperimenti precedenti e venturi. Probabilmente non servirà a nulla, ma male che vada potremo usarlo come punteruolo.

    Una volta fatto questo, possiamo riversare velocemente – intendo quasi uno schiaffo – nella ciotola.

    Attenzione, esplode.

  • o_O’ aka chaîne maudit.

    Come diceva Toti: «Squilla il telefono, subitaneo rispondo!» E chi in questo caso a fustigarmi con l’ennesimo giochino del blogger socializzante® è nientemeno che il Capitan Charisma.

    Vi avviso: d’ora in poi con me moriranno tutte le catene.
    Altrimenti giuro che il 13 giugno faccio partire una catena di Sant’Antonio, su Sant’Antonio, visto che quel giorno si festeggia, per l’appunto, Sant’Antonio. Sant’Antonio in questo momento si starà rivoltando nel loculo.

    Io non sono un assiduo lettore, e bene o male quei pochi libri che ho letto mi son piaciuti tutti. Non me la sento di dare una scala di valori. Quindi li sceglierò a cazzo come al solito.

    Allora.

    Il dizionario di inglese monolingue Collins Cobuild. Giuro. È un librone dalla copertina rassicurante (però senza scritta “Don’t Panic” a grandi lettere sul retro), che ti mette gioia solo a guardarlo. Anche di sbieco.

    Tutto quello che sai è falso. Un pezzo di sana controinformazione.

    Lettera a un bambino mai nato. Oh, dite tutto quello che volete, magari si è rincoglionita dopo, ma se dovessi basarmi su questo libro direi proprio che la Fallaci è adorabile. Ringrazio ancora la mia prof del ginnasio.

    Novecento. Adoro il monologo finale. Vorrei andare ad un corso di teatro solo per poterlo recitare da mattina a sera. Anche perché poi ogni tanto capita che quando sto mezzo ubriaco piglio qualcuno e lo costringo a sedere per assistere a performance penose. Però gratis, sempre gratis.

    1984. Jere, te l’ho ridato più poi?

    Le ostinazioni di un matematico. Da regalare a Spartaco.

    Signs. Un libro di foto. Insegne. E come le insegne curiose che trovi sfogliando le sue pagine sono cariche si significati, anche il libro stesso lo è diventato.

    Architettura dei computer e Il linguaggio C. Oh, e non ci posso far nulla su questo. Sono pur sempre un mezzo smanettone. E comunque Tanenbaum ha uno stile fantastico.

    Ho perso il conto.

  • Transeunte.

    Principio di simmetria.
    O equivalenza, magari.

    Voglio lasciare questo fiume scorrere candido rosso, lungo gli argini costruiti sapientemente a pelo d’acqua dall’empirìa, mentre una luce natural-finto-artificiale si spezzetta in mille coriandoli liquidi.

    C’è da pensare a questo.
    E poi a quest’altro.
    E quest’altro ancora.

    Ma all’improvviso è spuntata lei, e mi ha appena fatto ricordare tante cose.
    Soprattutto che è passato del tempo.
    Tempo in cui era così, e oggi non più. Tempo che è passato da quando. E non è ancora cambiato nulla. Tempo che non si è più risolto ora questo e ora quello. Tempo che (da quanto tempo!) dovrebbero finire certe situazioni. Tempo delle profonde e continue, continue metamorfosi. Catarsi.

    E tutto questo tempo mi sembra allo stesso tempo uno scorrere inesorabile del tempo e una temporanea lunghissima transizione che dovrebbe servire a tradurre nella mia coscienza le nozioni di un’esistenza transeunte.

  • Però China, sempre China.

    Questa è la cronistoria dei mirabolanti avvenimenti in cui furono coinvolti due infedeli, miscredenti e mispatriottici. Costoro ebbero avversi il fato, il tempo e persino il Sole, abbattendosi convergenti sulle loro teste per punirli del loro cattivo operato.

    In quel giorno in cui ognuno è moralmente costretto a rendere omaggio alla memoria di coloro che diedero libertà al Popolo (e magari volendo sottostare anche alle tesi scalmanate di certi bambinoni che, non essendo ormai più possibile per loro giocare a Guardie e Ladri senza che la Pubblica Autorità li fermi ritenendo tale gioco una forma di giustizia privata, cercano soddisfazione in varianti da veri adulti quali Comunisti vs. Fascisti, possibilmente indossando di nuovo eskimo o pantaloni a zampa d’elefante, e magari portando con sé una fida molotov e professando lo scontro ideologico sul terreno della guerriglia urbana), o se volete quel giorno in cui si ricorda il più sfigato dei quattro evangelisti, i due decisero di liberarsi – per l’appunto – da queste tradizionali costrizioni e godere finalmente del Gran Sole della Ventura Estate.

    Non mi biasimerete, dunque, se vi confesso che è stato davvero opportuno l’intervento del fato per ostacolare quest’empio progetto. Fato che decise, infatti, di creare una coltre di Nubi tale da occupare tutta la porzione di cielo visibile, tanto che alla fine la decisione presa in quel primo momento dai due fu resa vana.

    Bianca e Bernie, che chiameremo appunto così per vari motivi, soprattutto per il fatto che anche questi due viaggiano su una cosa che è sostanzialmente una scatola di latta, decisero quindi di catturare dei pennacchi da alcuni Carabinieri che stazionavano da quelle parti, fissarli nel CCD (dandogli ogni tanto un’occhiata nell’LCD), e sgusciar via verso il Gran Castello d’Oriente, dove Yao aveva conservato il mantello della loro principessa in attesa che i messi lo reclamassero.

    Qui i due scoprirono che i giganteschi Draghi Cinesi, messi lì a guardia dell’ingresso, dormivano ancora. Per ingannare l’attesa, quindi, decisero di immergersi nella cittadella blu, dove speravano di poter acquistare delle nuove armature al Bazar Delle Cose Che Devono (re)Stare.

    Ma anche in questo caso il fato ha fatto sì che i due, dopo aver affrontato strade impervie, zigzagato fra dragoni rumorosi, tentato numerose strade (persino invocando lo Stregone d’Occidente), arrivassero a destinazione scoprendo che qualcuno aveva ostruito l’ingresso con pesanti sbarre di metallo.

    Delusi, ma non rassegnati, i due tornarono a chiedere spiegazioni di tale comportamento al pravo Yao, il quale rispose «Tua lagazza lasciale vestito ieli!».

    Quale verità avrà voluto nascondere questo semidio, noto per i suoi arguti indovinelli degni della migliore Sfinge? Come interpretare il suo gesto? Improvvisamente, però, un piccolo demone si introdusse nella conversazione e porse un oggetto a Bianca.
    Era il mantello.

    Subito controllarono che il Sacro Graal Digitale fosse ancora al sicuro del suo (neanche tanto) morbido tessuto. Ma non c’era! Era sparito nel nulla! Yao, in preda al panico, cominciò a balbettare qualcosa, finché non disse «Folse caduta su tavolo e poltato via tutto quanto lavandelìa!». Questo turbò non poco Bernie, che aveva colto nelle sue parole quanto terribili fossero le conseguenze di questa sparizione. Apocalisse. Yao parlava dell’Apocalisse, e non vi era nulla che si potesse fare per evitarla.

    Amareggiati, i due decisero quindi di tornare alla Reggia per riferire i dettagli del viaggio. Il fato aveva intuito che ormai era riuscito nel suo intento, e quindi decise di consolare (piuttosto sadicamente, bisogna ammetterlo) i due ritirando il suo esercito di Nubi e lasciando che il Sole bruciasse ancor di più la ferita del fallimento.

    Tutto questo non prima che un soldato della retroguardia delle Nubi avesse chiamato a raccolta i loro Corrieri Aviari per attaccare di nascosto i due sconfitti, inferendogli il colpo di grazia.

    I Corrieri si disposero in formazione e sparararono, con precisione indicibile, tutti nello stesso punto. Un lembo del mantello della principessa. Corroso e devastato per sempre, a monito di come la nemesis theon sia incontrovertibilmente unica fonte di vera giustizia.

    E fu a seguito di quest’ultimo evento, quindi, che i due tornarono, affranti, consolandosi l’un l’altro fra i Veli della Disperazione, nella Reggia del proprio sintetico essere.

    A futura memoria.