• Andie, ovvero: del paninarismo militante.

    Allora.
    Sono un po’ stanchino.
    Andiamo con ordine.

    Sia chiaro che non parlerò chissà quanto del viaggio, visto che l’obiettivo principale era di fare una mini-vacanza noiosissima e piena di relax da anziano consumato. Obiettivo fallito miseramente, figuriamoci.

    Prima di tutto la cara Debugghina mi ha chiesto di tessere pubblicamente le sue lodi al più presto. In realtà pur di accontentarla avevo anche provato a collegarmi telepaticamente su Splinder la sera stessa, ma l’editor non funzionava (e te pareva). Voglio dire, uno te lo chiede con una moderata dose d’insistenza, ma poi ci aggiunge un vinsanto fattincasa, un birrone da combattimento, due bottiglie di Barbera e un calice di passito, più un efficiente servizio di tassì espresso in andirivieni continui e visite nei posti più cool di Firenze… non è che puoi tanto tirarti indietro no?

    Potrei parlare anche del fatto che passare una giornata con Debug significa necessariamente piegarsi in due dalle risate. Ma tutto ciò è niente rispetto all’accoppiata con la famigerata Polly. I risultati sono stati devastanti: asfissìa da risa, apparecchi ortodontici saltati (e anche ingoiati), graffiti sulle tovagliette di carta, si contava perfino un morto.

    Ma riassumerò tutto questo in commenti monosillabici:

    Debug: mah.
    Polly: boh.

    E poi niente. Ho avuto la felice idea di partire per Bologna all’una, giusto in tempo per beccarmi la mandria di fan di Vasco appena rientrati da un concerto a Campo di Marte carichi di adrenalina. Checculo. Per fortuna che adesso vado dalla Clidda alle 3 e mi schiatto sul letto. Essì, ma vuoi che non ci si faccia una chiacchieratina prima? E ce n’è da parlare, cavoli. Fra coinquilini dai riti cocainomane-orgiastici, filosofismi e artismi, nonché celebrazioni di non-anniversari, e tutto quello che ci passava per la testa. Oh, ma son le 6. Ma davvero? Beh, direi, sta per albeggiare. Ah. Essì, e io son 48 ore che non dormo, sono un pelino assonnato. E vabbè, buonanotte allora. Ehm, buongiorno?

    E poi niente. Mi chiama l’Ipse, a ‘sto punto checcivai affare in treno? Ti vengo a prendere io, tanto sto qui, salcazzo (no perché salcazzo lo dice davvero eh). Okkei. Però devo far gasolio perché il traffico sulla tangenziale mi ha leggermente spazzato/topinato/fattofuori il carburante. Beh sì, in effetti c’è ‘sta lancetta ai minimi storici che sta leggermente invocando pietà. Essì, poi ci andiamo a fare una birretta a Reggio, o dov’è, salcazzo, tanto ci guida il tomtom… dov’è il posto? Aspetta che chiedo… Corè. Corè… vediamo… senti ma qui Corè dice che è in Francia, che cazz… Ehm… no aspetta… ah no, cheCcorèccorè, è Cadè! Ah ok, trovato, dài ci arriviamo in un niente, 30 minuti, salcazzo.

    E poi niente. Un’ora e mezza. Si ringrazia il tomtom per non aver saputo che ‘sti maledetti reggiani avevano stravolto la viabilità proprio all’altezza di Reggio (ovviamente aggiungendo quella trentina di rotonde alle 60 di cui si è già intelligentemente dotata), perché il suo totale rincoglionimento ci ha permesso di attraversare più e più volte tutte le frazioni e i paesini di Reggio Emilia, tra cui la famosa Sesso, l’altrettanto famosa S. Ilario e "Il Moro" (che non è una bettola di turchi-mamma-li-turchi bensì un paesello vero e proprio). Comunque soffighi quei ponti, sa’? Altro che brùcchlin.

    E poi niente. Di foto ce ne saran pochine, e comunque prima vorrei chiedere ai diretti interessati se posso metterle su Flickr senza timore che chi le guardi abbia reazioni spropositate tipo teenager che si tagliano le vene, mamme che abortiscono, erezioni spontanee, incidenti stradali e così via.

    E poi niente, prossima tappa: Milano, idealmente verso i primi di dicembre. Con il chiaro obiettivo di riunire quelle gran teste di Oxi, Ipse, Indiano, Gnamina nonché (spero) Bruno, Rob e ovviamente chiunque altro si voglia aggiungere alla cucciolata. Magari stavolta con un cospicuo numero di terroni di rappresentanza (ognuno di voi sa a chi mi sto riferendo), per riempire un bel trenino o (low-cost permettendo) un bel volo.

    P.S.: Menzione speciale a subdola, che voleva salvarmi da quei ladri del bar vicino Stazione Termini, ma non ha fatto in tempo, e ormai stavo già apprezzando un ottimo "italian breakfast" alla modica cifra di 6 euro. E fooorzaaa che si è perso un pranzone squisito che Clidda di certo non se lo scorderà mai più.

  • Con le dovute premesse.

    Allora, signori.

    Vi ho parlato tanto di un’iniziativa che avrebbe accompagnato l’inizio dell’autunno. È passata l’estate, è arrivata la pioggia (purtroppo è anche finita), è tornato il freddo gelido (e quello invece rimane, bastardo!). Dormo coperto giusto da un velino di ciniglia eppure mi rigiro ancora nel letto per il caldo, ma credo che riguardi l’andropausa incipiente, quindi non la contiamo. I maglioncini e le sciarpine mi cullano da una leggerissima brezza marina (con punte di appena 80 Km/h, credo).

    Quindi, in sostanza, direi che l’autunno è proprio iniziato.

    Allora, so che il nome non è proprio da copywriter junior associato, ma avrete lo stomaco e la comprensione necessaria per trattenere eventuali rigurgiti.

    Insomma, bando alle ciance, sono lieto di presentarvi il:

    BloggerTour™

    Perché?

    Allora. Alcuni di voi sanno che io tendenzialmente odio chattare, così come mi danno fastidio interazioni sociali virtuali e la mancanza di quella parte della comunicazione che adoro, ossia il paraverbale e il non verbale. In altre parole: prima di parlare con me dovete offrirmi una birra, se no nisba.

    E quindi?

    E quindi il BloggerTour sarà l’occasione per conoscervi. Sia nel senso che io conoscerò voi, sia nel senso che vi conoscerete tra voi. Lo so, ad alcuni non gliene frega proprio niente, ma so che ci sono tanti, lì dietro quel monitor, a cui da’ un po’ fastidio quest’identità virtuale che chissà a quali elucubrazioni (leggasi "pipponi") mentali porta. Per esempio, io certamente appaio come un gran figo, il bel tenebroso per antonomasia, e così via. E in realtà lo sono, che cazzo vi credete.

    Come funziona?

    Allora, partiamo da alcuni semplici presupposti. La prima è che a me piace viaggiare, e fosse per me viaggerei in continuazione, ma sono anche perenne spiantato e scialacquatore, pertanto le occasioni scarseggiano. L’altra è che non ho una casa mia per ospitar nessuno, ma se volete venire a Bari vi offro volentieri compagnia, bettole per ubriacature moleste e giri avventurosi per le stradine del Borgo Antico.

    Di conseguenza, il funzionamento sarà molto semplice. Se volete aderire all’iniziativa, sintetizzate la vostra gioia in un commento. Ci organizzeremo in più occasioni per far sì che, di volta in volta, alcuni di voi che appartengono a zone geografiche adiacenti possano incontrarsi fra loro e raggiungere altri. Ad esempio: A raggiunge B da Lecce a Bari, che insieme raggiungono C a Napoli e da lì si va a trovare un congruo numero di blogger a Roma. In un’altra (o volendo anche la stessa) occasione, D raggiunge E (e altri) a Milano e da lì scendono tutti insieme a Roma, o Bari, o Napoli, o quello che vi pare. Che poi il tutto fa anche un po’ Forrest Gump, se pensate a quella scena impagabile in cui corre da una costa all’altra degli Stati Uniti.

    Chiaramente è importante che, di volta in volta, qualcuno si incarichi di organizzare eventuali sistemazioni, faccia da guida per gli inesperti del luogo, e magari si preoccupi anche di organizzare una serata carina (perché ok, ci conosciamo, quello che vuoi, però è bello anche fare un po’ di turismo alternativo con l’aiuto di un autoctono no?).

    Ovviamente voglio che questa iniziativa possa essere fruibile per tutti, quindi non voglio che sia indispensabile la mia presenza nelle eventuali occasioni, anche se non c’è dubbio che mi piacerebbe tantissimo.

    Per quanto tempo questo strazio?

    L’iniziativa parte ufficialmente oggi e durerà un anno. Indipercui terminerà il 9 settembre 2008. L’obiettivo ideale sarà conoscervi tutti entro questi 365 giorni. Se riuscirò nell’intento lo si capirà dalla gradazione alcolica nel mio sangue, dai dolori addominali e dagli occhi sbarrati dallo spavento di scoprire quali facce da alcolizzati si nascondono dietro i vostri blog da alcolizzati (ebbene sì, vi adoro per questo, e lo sapete benissimo).

    La prima tappa del BloggerTour, a loro completa insaputa, toccherà Debug e fooorzaaa.

    Se l’11 settembre starete rimembrando la caduta delle torri gemelle a Firenze, o altrimenti il 12 sarete per un qualche motivo a Bologna, o ancora altrimenti il 13 o il 14 sarete tra Parma e Reggio Emilia, fatemi sapere entro lunedì con i canali che vi sono più consoni (commenti, messaggi privati, MSN, SMS, piccioni viaggiatori), o altrimenti delegherò la povera Debug che, nei limiti del possibile e della sua (spero non) infinita pazienza mi farà sapere.

    Per il beta-testing ringrazio vivamente la caraFrancesGlass.

    Varie ed eventuali?

    Raccogliete qualche souvenir, qualche cartolina, ma soprattutto scattate tante belle fotine-ricordo in queste occasioni. Da caricare rigorosamente sul vostro (o sul mio) account flickr, ricordandovi di aggiungere sempre il tag BloggerTour, in modo che le foto si possano ritrovare facilmente.

    Ovviamente non è detto che il tour non debba riguardare persone che si conoscono già nella vita reale, l’importante è che sia l’espressione nella vita reale di una interazione nella blogosfera. Non so se è chiaro il concetto, ma alla fine che fa, è tutto un magna magna e non ci sono più le mezze stagioni.

    A presto ulteriori dettagli. Per ora, com’è consuetudine, il link ai post che riguardano l’iniziativa è http://thelegs.splinder.com/tag/BloggerTour. E sono a disposizione per chiarimenti, però abbiate pazienza perché, durante la prossima settimana cercherò di passar da qui nei modi e nei tempi possibili (cioè mai in nessun modo).

  • Carnival.

    Nella contemplazione di ciò che è sublime, l’uomo si trova contemporaneamente di fronte a due condizioni. La prima è una sensazione dotata di una forza irresistibilmente attraente, sensazione disagevole che porta l’uomo a rendersi conto della sua impotenza di fronte a qualcosa che va oltre i propri limiti. La seconda è il piacere intrinseco di riuscire, tuttavia, a riconoscere questi limiti, e poter concepire quindi l’esistenza di un qualcosa di sovrastante. Un esempio per tutti è l’infinito. Impensabile concretamente, ma concepibile per astrazione. L’infinito produce sensazioni di sublime.

    Volendo semplificare questa definizione ai minimi termini, sublime è ciò che produce sensazioni estreme opposte nello stesso istante, come impotenza-potenza, tristezza-felicità, rabbia-gioia, e così via.

    Ebbene. In quel lungo, lunghissimo carnevale, durato un centinaio di canzoni, bastarono davvero poche cose a rendere il tutto sublime. Due fiori. Un sorriso. Un ricordo. Ogni attimo si espandeva e si contraeva a piacimento, come un telo steso distrattamente sul tavolo, che puoi raggrinzire qui e stendere lì, scorrendo il dito lungo la diagonale, senza farlo mai tornare indietro.

    E infine tutto scivolò via, delicatamente, fra strade rannuvolate da gente d’ogni dove.
    O nel buio di una notte che cerca di annunciare un giorno senza più pioggia.

  • Del sapore secretato.

    Il mio piacere. La tua dannazione.
    Qui, ora.

    C’è un problema, perché dopo il risveglio dal lungo sonno qualcuno deve avermi toccato i capelli. E quindi ora c’è tutto un groviglio di sinapsi che sembra un hard disk con i settori danneggiati. Dico, una di quelle situazioni in cui le memorie ci sono, sì, ma sono così ingarbugliate ed inconcludenti che non riescono a riaffiorare in modo comprensibile, per quanto ci si sforzi. Che poi non si sa mai bene perché, c’è chi può pensare ad uno sbalzo di tensione, chi ad un urto troppo forte. Però è successo, ecco.

    E in questi casi l’unica cosa da fare è sovrascrivere. Già. Sovrastare i veli di un metatempo che sembra allontanarsi a dismisura ad ogni passo. Da qualche parte qualcuno si culla in letti sconosciuti, qualcun altro si affida a braccia donate dal caso. Io invece guardo le gocce traboccare, perdersi in mille fumi verso ogni direzione. Inspiro i dolci vapori di una piccola tisana della buonanotte, che riscalda occhi lucidi e viscere intorpidite, pizzica labbra arrossate dal freddo, culla i buoni ricordi. Lieve brivido contento.

    Domani, forse, sarà un risveglio ancora più dolce.

  • Inconnu maudit.

    Cos’è successo?

    Con rigore maldestro ti lanci contro il vetro, scivoli raschiandoti contro il muro ruvido. Vorresti correre, correre, con una mazza stretta fra le mani, stretta da far male, arrivare contemporaneamente lì, e poi lì, e nello stesso tempo in altri quattro posti, prendere tutto ciò che c’è di solido, stolido, apparente e mendace, e frantumarlo al più presto. Prima che arrivi sera. Primi che arrivi giorno. Fa lo stesso, purché lo si faccia presto. Perché è lì sotto la trama pura, o forse no.

    Cos’è successo?

    Nausea. Lancia pure segnali qualsiasi verso un destinatario inesistente. Prenditi una cazzo di nuvola tutta per te e guarda dall’alto, la vedi? Riesci a scorgerla? Ovviamente no. Torna coi piedi per terra, alza lo sguardo e scruta le stelle. La vedi? Riesci a distinguerla? Ovviamente no. Forse avresti bisogno di un telescopio più potente? O più semplicemente non credi finalmente che quello che cerchi non ci sia? Non è mai esistito. Forse esisterà.

    Cos’è successo?

    Corri, corri ancora. Che altro ti resta? Scappa via, finché sei in tempo. Credi di farcela? O forse più semplicemente, voltati un ultima volta e dagli contro, di testa. Si tratta di un rischio accettabile.

    Ma non è successo niente.
    Non succede mai niente, a conti fatti.
    Finché non gli si vien detto non può esser pensato.
    Finché non può esser pensato non può essere esistito.

    Ma qualcosa c’è, perché
    c’è il suo pensiero.
    Ed è un piccolo,
    inarrestabile
    tormento.

  • Capture The Flag.

    Spara. Cazzo, spara!
    Ha-ha. Fregato!

    Le piccole noie si sciolgono.
    In una mozzarella di bufala.
    In una bruschetta.
    In un deathmatch.
    In nickname dal sapore variabile.
    In una figuraccia evitata in tempo.

    Continua allegria.
    Inenarrabili risate.

  • Stiamo lavorando per voi.

    Pioggia.

    È così bello quando arriva la pioggia.
    Ok. Ma quando arriva ‘sta pioggia?

    Insomma, pioggia, pensaci. Sei un po’ stronza.

    Lo sai che ti stimo moltissimo, anche quando mi hai fatto sfracellare la macchina pattinando meglio di Michael Jackson ai tempi del moonwalker. E sai anche che adesso non posso neanche più canticchiare «il traffico peggiora quando c’è la pioggia / e tutti si trasformano in guidatori stanchi / guidatori funky / fanculo a tutti quanti» che arrivato a «mi tagliano la strada mentre sono in moto» mi succede puntualmente qualche casino.

    Però ti stimo, te l’ho detto.
    Anzi, ti dirò di più, forse provo pure una certa affezione per te.
    Dico, mi è anche dispiaciuto quando sei sparita.
    Però, mi dicevo: ok alla fine tornerà prima o poi.
    Non avrei mica pensato che te ne saresti andata per tutta l’estate! Oh, manco una cartolina! E poi che fai? Quando meno me lo sarei aspettato fai la tua apparizione in grande stile. Per appena 5 minuti. Lasci uno smerdone sabbioso e poi scappi via. Peggio di Paris Hilton.

    Così come ieri. Sembravi finalmente rinsavita. E invece, tempo un’oretta e già più nulla.

    Allora, ti dico, parliamone. Ormai è arrivato il momento di tornare. Ok, fra un po’ di anni qui sarà tutto deserto (e pensare che una volta era tutta campagna!), però non è che devi anticipare necessariamente i tempi, eh? Che ne so, pensa ai percochi. I percochi quest’anno facevano anche un po’ schifo, perché ovviamente in tua assenza i contadini avran pensato bene di usare qualcosa tipo acqua di fogna per non sprecare l’acqua potabile. Mmm, percocainurine.

    Immagina.
    Arrivi te in gran carriera per, chessò, 2 giorni.
    I contadini son contenti.
    I carrozzieri e le assicurazioni pure.
    I venditori d’abbigliamento pure.
    I lavamacchine e i lavavetro pure.
    Laviamo un po’ il macadam, che sarebbe anche il caso.
    E io mi metto come nella pubblicità del Magnum alla finestra a rimirare i rivoli d’acqua scorrere sul vetro, e anziché pensare "azz, domani mi toccherà pulire", mi schiafferò ‘sto coso in bocca e tirerò un morso voglioso.
    La mia macchina finirà sicuramente più pulita di quanto lo sia adesso, e non è da poco.
    Poi lo sai che siamo dei tipi depressivo-invernali, quindi saremo in tanti ad esser contenti.
    E poi, se la temperatura si abbassa, posso ricominciare finalmente a mettere qualche cazzo di maglioncino che mi copre la trippa, che andare avanti a magliette nere con rigature bianchicce di sudore mi sta cominciando a fare anche un po’ schifo, eh?

    E poi sopratutto sto aspettando te per far partire l’iniziativa autunnale che farà contenti grandi e piccini della blogosfera (o almeno credo). E solo pochi eletti sanno in anteprima di cosa si tratta. E però questi pochi eletti giustamente si staranno rompendo anche un po’ ad aspettare.

    Quindi
    in sostanza
    muoviti!
    Oh.

    Prima che vada a dire in giro che te la intendevi con quello smottamento lì.
    E sai di cosa parlo.

    Baci.

  • Estemporanea III.

    Ambisco al medesimo risultato.

    Per ulteriori informazioni: http://it.wikipedia.org/wiki/Beatboxing

    Non vi conviene contattarmi su MSN in questi giorni, potrei riempirvi di link a video improponibili (ci sono martiri che possono testimoniarlo).

  • Just 1-minute-dose of soft rage.

    Le persone cambiano. Tu in peggio. E il fatto di aver sempre odiato la prostituzione virtuale si sta trasformando in una lusinghiera catena di incontri. In cui può riuscir chiunque, persino io.

    Ma io, e te lo dico con una convinzione che cresce man mano che capisco, sono meglio di te. Io preferisco amare, non innamorarmi. Io preferisco fare l’amore, non scopare. Io preferisco scrivere, non leggere. Io preferisco parlare, non provarci o sentir lusinghe. Io preferisco suonare, non ascoltare musica senza convinzione. Io preferisco stare con poche buone persone, non con chi capita. Io preferisco sputar fuori il veleno, non tenermelo dentro. Io preferisco vivere, non sopravvivere.

    E, stai pur certa, presto te ne andrai. Sarai lontana. Lontana. E non tornerai mai più. E quando ti guarderò non mi provocherai più rabbia né dolore. Mi farai ridere, piuttosto. Mi farà ridere l’insulsa vita che ti circonda. Mi farà ridere la tua ricerca di apprezzamenti. Mi farà ridere immaginare le persone tristi con cui te la intenderai (similis cum similibus, no?), e quelli che ti vorranno bene e ti staranno appresso quel tanto che basta per guadagnarsi il premio della tua bocca.

    Mi farà ridere tutto ciò che ti riguarda. Ma, soprattutto, il tuo stupido ostentare quella specie di normalità, e quell’auto-convincerti che così vada bene.

    E forse ti ringrazierò persino.
    Perché allieterai il mio spirito.
    E il mio ego.

  • If I could just compose myself.

    Ho fatto tardi. Mannò, sei in tempo; anzi, hai anche il tempo per una birra. Ah ma, hai visto?, c’è anche lui. E guarda, c’è anche… Oh, che bello, e lì? E… ah no, che strazio, quel parassita. Ehi, ma lì c’è…

    Birra. Ovunque. Parole, frasi intere da pescare nel nuvolone di pensieri che in troppi anni hai sopito. E com’era bello vedere tutta questa inspiegabile energia, sembrava in eccesso. Ah, ma te ne do un po’ se vuoi. Mah, non so, oggi sto già un po’ carico di mio, pensa che addirittura ho rischiato di fare un… No, dai, davvero, io trabocco; tò. Ma no dài. Prendi ho detto. Essì, ma adesso te la sorbisci tu tutta quest’iperattività. E vabbè poi si pensa. Ma basta che domani me lo ridica. E te lo ridico, va. Ecco bravo.

    Nel frattempo tre geni sprigionavano ancora altra energia.
    Basta, vi prego!
    Posate quella chitarra acustica,
    tagliate quel delay,
    acquietate quella voce!
    Basta, vi prego!
    Non potrei resistervi.

    E invece no. Non basta.
    Mentre ti bruci la tempia con una sigaretta maldestra, la distrazione ti sta sciogliendo.
    E invece no. Non va bene.
    Ti devo far ricordare ancora un paio di cosette.

    Dimmi, dimmi, dimmi:
    com’è stato masturbarti col mio pene?
    Come per me una sega tra le tue gambe?
    Si, conosco questa solitudine,
    e gli esercizi di eleganza delle nostre articolazioni.
    Serve, sì, serve l’afa di una notte nuda,
    per far evaporare la noia attraverso una sigaretta,
    che non si spegne mai, non si spegne mai…

    (Marta sui Tubi, Post)

    Ma dura quanto il ciclo di un ventilatore stanco, questa spinta al limitare. Perché hai ancora un piede appena poggiato, sì, ma ora l’altro è incatenato. Certo, non è il tuo equilibrio naturale. Ti ostacola. Ti irrita. Ma ci stai prendendo gusto, vero?

    E allora andiamo, ti spiego come scoprire ciò che ti è già noto, ignorare l’ignoto. Ti spiego il perché del sadomaso e dei mini-cocktail lunatici (come il suo autore). Ti spiego come non tornare indietro, per oltrepassare quella stupida soglia.

    No, spiegherai dopo.
    Ora devo specchiarmi.