• Wherever the sun arises.

    E poi arrivò il giorno in cui spegnesti tutte le luci della stanza per poter fissare quella labile e intensa di quel nuovo sorriso. E vorresti guardarlo per tutta la notte, aspettando che anche l’ultimo raggio di vita si spenga nel ciclico piccolo e dolce coma.

    Sono sempre le stesse mani, quelle che riscopri nuove e piacevoli. Sono sempre gli stessi occhi, quelli che cerchi di rubare ai riflessi dello specchio. Ma è vero, parlano. Puoi leggere interi racconti di vite viste, a volte vissute, di squarci e di semplici raschi, di sentimenti e sensazioni. Di altre mani e altri occhi.

    Non ti eri mai accorto che passerebbe tutta la sua vita con te, condividendo la sua intimità più profonda, cercando continuamente un compromesso in ragione di un equilibrio importante. Non ti eri mai accorto che ti ama incondizionatamente, che non tradirà mai la tua fiducia. E la tua fiducia arriva da sé, forte e stabile, rende inutile la gelosia e questo non è mai un problema. Costantemente felice della tua sola presenza, non se ne stanca mai, la cerca e la trova in ogni notte, rigirandosi languidamente tra le lenzuola, rubando silenziosamente altri cinque minuti alla sveglia.

    Sigaretta al profumo di pescanoce.

  • Primeiro as senhoras.

    Sono una nuvola, che scivola leggera sospinta da venti ora impetuosi ora così delicati. Sospeso così in alto da poterti comprendere nell’insieme, contemporaneamente scorgere i dettagli, e guardare con stupore i movimenti sinuosi dei tuoi confini. I tuoi limiti. Sei troppo lontana, ormai, perché possa riconoscere quei dettagli che mi distinguano dalle altre. Tante piccole nuvole si uniscono per caso, o per fortuita coincidenza, lungo la strada, sembrando una grande, lunghissima filare. A volte mi scontro, esplode il mio tuono roboante, le mie lacrime bagnano il tuo viso, sciolgono la tua maschera leggera.

    Sono un treno. Lo ero già, non lo sono diventato di nuovo. Ma mi son ritrovato fermo alla stazione più inutile, proprio quando invece avrei dovuto correre ancor di più, verso la fermata più dolce. O al capolinea. Chissà se arriverà mai il capolinea. Di certo, una volta arrivato, non tornerò più indietro. E ho bisogno di correre, correre ancora.

    A volte mi chiedo se mi penserai. O se mi pensi. O piuttosto mi cercherai. Mi chiedo se capirai tutto questo, e se sarà troppo tardi o troppo presto. Mi chiedo cosa farai, se sceglierai o ti nasconderai, se sarai felice o perennemente inquieta, se sarai qui o te ne sarai andata. Se ti raggiungerei ancora, se ti troverei cambiata, o se ancora una volta scoprirei che è la solita stupida trovata.

    Perché ieri mi hanno raccontato per l’ennesima volta di una storia iniziata così bene e finita così male.
    E avrei voluto piangere. E urlarvi contro tutto il mio disprezzo per la delusione di cui vi rendo tuttora colpevoli. Complici. Correi.

    Mi spie[ghe]rai?
    Davvero, lo farai?

  • Leisure time.

    E dormo con la porta chiusa e la finestra spalancata ma coperto fino alle spalle, mentre sento in lontananza il tintinnìo di un collare. E allora penso che forse un collare sì, un collare no, mi sono sentito al guinzaglio e al guinzaglio mettevo e metterei ancora. Ma ora basta.

    E dormo aspettando domani con curiosità, pensando che ci sono troppe chiacchiere da scambiare, troppi appunti da ricopiare, troppe sigarette da fumare, troppo sonno eppure troppa acqua e troppa insalata nello stomaco per addormentarsi.

    E questo livido sul braccio fa ancora troppo male.

  • Quando la favella si scioglie in tarallucci e vino.

    Che casino.

    Oggi tappa extra del BloggerTour. Come velatamente preannunciato è giunta shadysun in concomitanza col Bollenti Spiriti Creative Camp. Occasione nella quale ho fatto anch’io il mio piccolo, simpatico intervento. Ok. Bello, sì. Applausi. Ma che cazzo ho detto?

    Comunque. Questo era il succo del discorso.
    E, come dice Califano, tutto il resto è noia.

    Due pacchetti di sigarette. Ma ciao! Ah, tu sei quello che mi rompeva continuamente le palle su Skype. Brà. Ottima iniziativa. Grazie. Oddìo, quella gran faccia di cazzo si ripresenta ai miei occhi. Eh, per favore usciamo. Massì, escitene che è meglio, o vogliamo rimembrare le fantastiche scene di un anno fa? Belle ‘ste foto, ma perché? Beh, se ci fossero gli autori te lo potrebbero spiegare più facilmente. Eppoi l’ho appena spiegato. Ah già, comunque bravo eh. Grazie. Come vorrei farti vedere tutto questo, per farmi capire che è vero, che è tutto vero. Eppure ci son così tante cose che non riesco a seguirne il filo. Mi perderò fra quei sassi e quegli adorabili badge. Mannò, non le magliette, preferisco la penna USB da 1 GB, cazzo mi serviva proprio. Andiamocene a Storie, che ti faccio il solito giochetto della filastrocca. Però prima ti spari mezzo litro di vino, e due tarallucci, e poi vediamo. Come? Brava, traduci. Però sappi che, anche se solo d’estate, lì è tutt’un’altra cosa. E io adoro i tuoi luoghi, tu adori i miei. Non ci potremo mai far nulla, ma forse è così che va bene. E la tua telefonata è così dolce. E la tua invece così irritante, come sono irritanti le brutte facce che non voglio mai vedere. E cominci a capire tante cose, a leggerle in una sfumatura diversa. Tutto così strano.

    E poi boh.
    Sono un po’ stanchino.

    Buonanotte.

  • Du jour.

    Un anno in più scoppia con prepotenza insieme al tappo di spumante, si insinua in una scazzottata inutile, e riverbera sensazioni che vogliono essere schiacciate. Un anno in più dimentica il disagio, ma ricorda che nonostante tutto ci siamo. Ci siamo e ci saremo ancora per tanto tempo. Chissà, forse per sempre. Chissà, forse solo noi due.

    C’è poco riciclo negli eventi, molti piccoli nuovi arrivi. Alcuni sanno di noto, altri sanno di inquietudine. C’è chi ha assaggiato una bambina e incautamente si è avvelenato, c’è chi continua ad assaggiarne un’altra con metodo e una sorta di serenità. E tutti comunque aspettano. Una novità, una conferma, un bicchiere di vino o un’autoreggente. Oppure un sogno, un delirio o una scusa per cambiare.

    E tu, puoi davvero cambiare?

  • Contrasto, part II: the sterile monologue.

    Adesso conosco gente che ha davvero qualcosa da darmi. Perché ho delle doti immense, ma ho bisogno di qualcuno che mi stimoli a portarle avanti. Mica come te, inconcludente, che ti accontenti di rimanere nella striminzita cerchia dei pochi eletti che ti stimano, che ti rifugi nella mediocrità, che in potenza saresti un fiore splendido, eccelso in qualsiasi ambito, ma in atto resti sempre un povero seme appena schiuso.

    Scrivi, ma non sei uno scrittore. Fotografi, ma non sei un fotografo. Suoni, ma non sei un musicista. Fai qualche sito, ma non sei un web designer. Fai grafica, ma non sei un grafico. Studi, ma non sei uno studente. Lavori, ma non sei un lavoratore.
    Insomma, cosa sei?
    Sei tutto e sei niente.

    Io non prendo mai una decisione, tu invece ne prendi mille e non ne prosegui una. Come quando ti dicevo, in ogni situazione, che se mi comporto così è soltanto di conseguenza al tuo comportamento, e fra te e te pensavi: «ma alla fine cos’hai mai fatto di tua sponte?». Già, ma alla fine la spuntavo io.

    Ora però c’è uno scrittore che è davvero scrittore. C’è un musicista che è davvero musicista. Un grafico che è davvero un grafico. Un web designer che è davvero web designer. Forse mi manca un fotografo. Ma che fa? Sono bella, sono brava in tutto, davvero in tutto. E mi ci vorrà poco, davvero poco, visto che non potremmo chiamare di certo arte quelle quattro scempiaggini che partorisce il tuo cervellino.

    Artista, tu? Ma fammi il piacere. Non potresti mai chiamarti artista, perché agisci d’istinto, di sensazione, perché non sai dare un motivo. Un artista deve saper sempre motivare quello che fa, altrimenti la gente non lo capisce. A meno che non sia già un grande artista, in quel caso saranno gli altri a farlo per te in lunghi dibattiti di critici e interpreti. Prendi Piero Manzoni. Caga in 90 scatolette e le vende a peso d’oro chiamandole "merda di artista", ma da’ soddisfazione agli acquirenti, dicendogli che quella è la metafora sarcastica dell’idea di produzione d’arte. L’opera d’arte è qualcosa che viene dall’animo profondo della creatività umana? Bene, io mi limito a portarlo su un lato più pratico! Ovviamente contornando il tutto con la solita retorica denuncia della "decadenza dell’arte moderna". E l’acquirente compra merda, con apprezzamenti e soddisfazione suoi e degli amici con cui si vanterà bellamente.

    Certo, pensavi di trovare in me una persona piena di risorse, e invece ti sei accorto che era una facciata dietro la quale si nascondeva soltanto un vuoto che ti inghiottiva. E sono la schizzinosa, sono l’iper-critica, non ti ho mai apprezzato né stimolato. Ma sai perché? Perché anch’io – di conseguenza, ovviamente – ho trovato in te una facciata, e dietro quella c’era il limite invalicabile delle tue potenzialità. E io non voglio una persona che. Voglio qualcosa in più. Qualcosa di più grande, di più importante. Voglio innamorarmi di nuovo. Come sarebbe a dire che significa? Significa che voglio sentirmi lusingata di poter vantare la mia facciata davanti agli altri, rinvigorita dalla presenza di questi semplici, famosi, largamente apprezzati catalizzatori del mio ego.

    Amiche? Ma no, preferisco gli amici.
    Gli amici ti sanno apprezzare con molto più fervore.
    E poi basta così poco per ricompensarli.

    Perché voglio essere la reginetta della mia serata.
    La lunga serata della mia vita.
    Già volta al tramonto.

  • Perché è un dovere morale.

    Post-puttanata a sorpresa!
    [Perché gli altri sono di gran spessore, vi ricordo.]


    <a href="http://thelegs.splinder.com/tag/BloggerTour"><img src="http://img514.imageshack.us/img514/1088/bloggertourar1.png" alt="Anch'io mi devasto sparandomi un bel BloggerTour" style="border: 0px; width: 88px; height: 31px;" /></a>

    E chi non lo mette nel suo template gli diventa così.
    Il blog, dico.

  • Psycho-acoustics.

    Save bottles of wather, flour and sugar,
    turn off the AC, hang up the bed sheets,
    cover up windows, careful where the light goes,
    yank out the cable and blow out the candle.

    (Thievery Corporation ft. David Byrne, The heart’s a lonely hunter)

    A volte sei un peso, a volte una necessità.

    Ragà mi sa che ci stanno prendendo per culo, ‘sti giapponesi qua che c’entrano? Ma è fatto apposta, aspetta che secondo me alla fine dei titoli di coda dicono che fine fa il maialino. No, ragà, secondo me aspettano altri 100 anni per fare un’altro film. E vabbè dài, andiamoci a prendere una birra. E tre cestini di patatone. Oh, per me due di panzerottini eh? Vabbè buonanotte. No, aspetta, c’è questo Salice Salentino. Oh ma ti ricordi? Ma mi stai minacciando? Guarda che ci avete fregato il petrolio, come minimo devo far lo sputafuoco con la vodka che sembra acqua fresca. E ti fotto pure una sigaretta, stronzo occidentale di merda figlio di una cooperativa sociale. Vabbè. Buonanotte.

    Ma perché quando esco con voi due mi becco sempre un raffreddore?

  • Portrait du retour de la soirée.

    Felice.

    Sì, è vero. Domani forse tutto si rivolterà contro.
    Ma è adesso. Adesso. Oggi. In questi giorni. Una sensazione difficilmente descrivibile. Neanche per esclusione. Perché non è gioia, o auto-esaltazione maniacale, e neanche contentezza, né serenità. Bisognerebbe forse aggiungere qualche termine, piuttosto che toglierlo.

    Perché si può apprezzare il reale. E si può anche rappresentarlo, al di là delle forme convenzionali. Tra l’altro sarà per questo che non riesco a digerire a sufficienza chi cerca di rappresentare una dimensione onirica, irreale, con le forme del reale (non vedete anche voi il paradosso intrinseco in questo, dopotutto?), mentre invece adoro veder presa la realtà, fatta a pezzi più o meno irriconoscibili, e quindi ricomposta assecondando la propria in/coscienza. Ma questa è un’altra storia.

    È nelle immagini da fermare in un clic, o da osservare fino a poter fantasticare come un bambino. È nel camminare in ogni dove, scriteriando lo squallore del negativo. Misurare i passi per calpestare foglie secche e, ogni volta, tirar su quel sorriso un po’ malinconico che vien da sé. Ipnotici posteriori di un’Audi A3 elaborata a modino, o un gelato anti-crépe ciocco-coccoso. Mordicchiare una pelle morbida fresca d’olio 31. Vivere ogni giorno con intensa leggerezza, immaginando con curiosità l’ora successiva, e poi il giorno, e poi la settimana, e poi ancora il mese.

    Ma, soprattutto, sapere che tutto questo può avvenire senza di te.
    Senza più bisogno di nessuno. Quasi.

    Per l’amore di sé.
    O di una tazza di cioccolata da dividere al momento giusto.

    E a quel punto probabilmente sarà grazie a Virne (che in realtà si limita a spingere delicatamente con fare materno e rassicurante) che tutto ciò che rimane finirà gelido e fragile. Così fragile che sarà poi il primo delicato cristallo di neve a farlo crollare in polveri sottili, che un vento leggero, cullandole, accompagnerà al dimenticatoio.

    Non avrò timore di trovarti.
    Perché non ti vorrò più cercare.

  • Estemporanea IV.

    Nel caso in cui riceva più copie di Fondamentale o di altre nostre comunicazioni, con nome, cognome e indirizzo anche leggermente modificati rispetto ai suoi dati, la preghiamo di contattare il nostro numero verde 800.350.350. Ci eviterà di disturbarla con corrispondenza inutile e consentirà a noi di risparmiare risorse da destinare alla ricerca oncologica.

    Ormai anche per l’AIRC è fondamentale l’ottimizzazione delle risorse volta a massimizzare i profitti.
    Da destinare alla ricerca oncologica, ovviamente. Anzi: oncologico-weberiana.

    Ma.
    Un attimo, eh.

    E la corrispondenza utile invece?
    E le 48 pagine a colori inviate a migliaia di felici destinatari in tutt’Italia?
    E gli esperti di marketing convocati per produrle?
    E il numero verde antispreco?
    E i testimonial a cui, come minimo, avran pagato la nota spese?

    Qualcuno mi spieghi dov’è la ricerca oncologica in questo.
    No perché magari, la prossima volta, uno si spara 30 ore per la vita al posto della chemio.