• Shri Ashutosh 1/4. Nirvana.

    @echo off
    :loop
    echo.
    echo
    Sono morto.
    echo.
    echo
    Ma adesso prendo il BFG-10K e vi fraggo tutti.
    echo.
    pause
    goto loop

  • Shri Ashutosh 1/3. Out-rage.

    Sono morto. Se non la trovo sono morto. Ma come cazzo m’è venuto? È finita. No. Non è finita. Io sono finito. No. Non sono finito. Adesso la trovo, gliela porto e siamo tutti contenti. Che dico? Di più: felici! Sentilo, sentilo il gusto della gioia di vivere! Porca miseria. Tra un minuto la trovo, esco di qui e tra un’ora al massimo starò di nuovo sul terrazzino a godermi il sole con una bella caipirinha. Anzi, no, non mi va più, mi faccio un daiquiri strawberry. No. Non ho le fragole. Allora mi faccio un… ma che cazzo sto dicendo? Oh, cazzo, non ho trovato ancora niente, altro che fragole! Ma dov’è, dov’è? Porca puttana, porca.

    Pronto. Eh. No, biscottino, non sono a casa. Ma no, non sono da Manola. E smettila di chiamarla puttana, è la mia segretaria! No, non me la sono scopata. Quante volte te lo devo dire? Mi ha solo fatto un pompino, ma eravamo ubriachi, che dovevo fare… Sì, no, senti, io sono ad una riunione di lavoro… Essì, sto ansimando perché mi stanno facendo agitare, stiamo discutendo su un sacco di stronzate… No, non sto scopando… Smettila! La vuoi smettere? Senti, io devo tornare in riunione, tanto è quasi finita, ci sentiamo tra qualche minuto, ok? Un bacio, biscottino mio. Eh? Ah sì… Gruaargh! Visto che leone eh? Cià.

    Porca puttana porca… porcaccia di una puttana miseria… Chi cazzo glielo spiega mo’? Sempre se mi avanza il tempo di spiegarglielo, tutto ‘sto casino. Che casino, che casino! Ma come m’è venuto di chiedergli… ma vaffanculo, io adesso scappo. Basta. Sì, scappo via. Tanto chi se ne accorge. No, che cazzo sto dicendo, mi stanno aspettando giù. Ma come m’è venuto, diosanto… Allora: con calma. Unduettrè e mi calmo. Ok. Allora. Sotto il letto non c’è. Nell’armadio non c’è. Nei cassetti non ho visto ma tant… no, ok, vediamo nei cassetti, magari l’ha aperta e ha nascosto i pezzi in giro, che ne sai? No, che dico, era chiusa a chiave. Mica la sa la combinazione, la so io, no? E se magari l’ha scoperta? Ok. Calma. Proviamo. No, qui non c’è. Neanche qui. Mm… no, neanche qui. Ah, magari ha qualche cassafort… oh cazzo. Oh. Cazzo. Cazzocazzocazzo. La porta. Cazzo. Cazzo! Ok. Tanto ho il silenziatore. Non posso fare altro. Che casino, che casino, diosanto che casino!

    Gatto di merda. Meno male che avevo il silenziatore. E adesso che ne faccio? Vabbè, poi lo butto nella spazzatura, tanto mica se ne accorgerà. No, che dico, non poi, adesso, se no mi sporca il pavimento di sangue e ci metto più tempo per pulire. Che casino, ci voleva pure ‘sto cazzo di gatto, ci voleva. Ok. Calma. Buttiamo ‘sto coso e poi cerchiamo. Poi magari vai a vedere che devo cercare proprio in cucina… tutto può essere, no?

  • Shri Ashutosh 1/2. Tram de vie.

    Sono morto.

    Non è colpa mia. Procedevo a velocità moderata lungo il viale. Vabbè, lo ammetto, non era proprio moderatissima. Ma era domenica, la strada era così libera, i semafori così inspiegabilmente verdi. E io ero in ritardo. Mio figlio strillava disperato il suo disappunto per i miei continui ritardi. Ma non è colpa mia. Ho avuto una colazione di lavoro. In questo periodo la domenica non esiste proprio per me, se non esiste per l’Area Manager.

    E la signora di fronte a me era evidentemente preda di uno di quei dilemmi critici che capitano a chi si trova improvvisamente di fronte una ragazza sovrappensiero e un’auto sgangherata. A 80 all’ora devi scegliere. O schivi la ragazza o schivi l’auto.

    Il problema era che la signora, pur provando a schivare la ragazza, è riuscita con indubbia accortezza a prendere tutt’e due.

    Il che è stato davvero un bel problema, visto che tutti e tre si trovavano – casualmente – senza cintura di sicurezza né airbag.

  • Shri Ashutosh 1/1. Era na vota.

    Sono morto.

    O meglio.
    Sono "un" morto.

    Uno dei tanti morti che girovagano in questa città desolata. Mi lascio trascinare, imbelle, da questa fiumana di insensibili alle feste comandate che calpesta neve con sicumera e grugno calcato sul petto e cappello calcato sugli occhi stretti stretti nel cappotto senza parlare neanche per scusarsi di averti urtato. Ogni anno è così. Sempre così. Da quando sono arrivato. Per 14 anni ho visto luminarie epilettiche e sbilenche, accattoni col cappello perennemente vuoto, alberelli sommessi che fanno capolino dalle finestre e dai banconi dei negozi. Un paio di gnomi tra un prosciutto e un salame, una renna rampante abbarbicata sullo specchio del barbiere.

    Non so dire se è meglio o peggio.

    Dopotutto ero scappato di casa anche per quello. Per quella corsa inutile al regalo dell’ultimo minuto per i propri cari. Mi avevano contagiato, cristo santo. O forse non poteva andare diversamente. Riuscirono a farmi sentire di merda, a cena, mentre tutti si scambiavano regali. "E tu?". E io. Io che? Perché? Perché dovrei se non mi va, se ho bisogno di pagarmi il viaggio, se non voglio – non posso – chieder soldi o favori a nessuno?

    E allora, il giorno dopo, fanculo. In anticipo sui tempi. Alle cene. Ai regali. Al traffico puzzolente. Ai petardi. Ai babbi natale rampicanti o semoventi ad ogni angolo. All’odore mefitico della gente che passa, che si inietta nelle narici insieme al freddo tagliente.

    Ma ora, devo ammetterlo, un po’ mi manca.

  • Se non ci fossi io, staremmo tutti su Facebook a scrivere le note e taggare gli amici nelle pose più imbarazzanti.

    Devo ammetterlo.

    C’ho il blocco dello scrittore.

    Che poi, parliamone, non che sia chissà che scrittore. Alla fine sì, ovvìa, ci si incontra fra parole al bar a fare una partita di Magic e sfumacchiar spini, come nel libro di Vanni [no, cazzo, non sto scopiazzando, ma che volete se ormai è da un mese che sto leggendo solo quel libro?], eppoi uno decide di fare un gioco tipo Twister, e le parole cominciano ad incrociarsi tra loro, o scombinarsi in modi inconsueti e anche un po’ preoccupanti (tranne le coppiette sbaciucchiose, che – ovviamente – si spostano in blocco… si sa com’è l’ammòre).

    E le parole sono lì, mica vanno via, aspettano solo che arrivi il cronista e prenda appunti, scribacchi, rielabori, eccètera eccètera. E le parole, caro amico mio, si son rotte le palle di star lì ad aspettare, e in qualche modo dovranno venir fuori. Non cercare di inventarti qualcosa di originale, fai come hai sempre fatto: scrivi di getto, e vedrai quante parole verranno fuori! [Sì, lo so, sto facendo metascrittura, probabilmente siamo ancora all’inizio… e comunque l’ha fatto pure Calvino, quindi non faccio nulla di male!]

    Il problema è quello. Mica non mi vengono le parole. Non mi viene il tempo. E quando il tempo vien fuori, la memoria fa cilecca. Perché, anche se le cose vengon fuori di getto, ci vuole tempo per scriverle, no? Prima di tutto ci vuole questo, un sacco di tempo per scrivere tutto quello che mi vien da scrivere. E io son velocissimo a scrivere. Vent’anni di digita-digita servono, no? Quindi il problema vero è che bisogna smaltire prima di tutto un casino di roba.

    Ecco, è questo: un bidone pieno di informazioni che, come dissi una volta [ecco, adesso mi toccherà cercare il link di quel commento infognato in chissà quale post di chissà quanto tempo fa in cui spiegavo già a FrancesGlass questa cosa [ecco, adesso mi toccherà linkare pure "FrancesGlass"] e metterlo al posto di "una volta", per la mia maledetta smania di far sempre le cose precisine], sono come dei piccoli demoni, alcuni semplicemente dispettosi, di quelli che punzecchiano e prudono come le punture di zanzare, altri invece veramente incazzusi e che scalciano come un feto.

    Poi ci vuole altro tempo ancora per capire che la maggior parte delle cose che ho appena scritto sono assolutamente inutili in quanto [please choose your option]: pleonastiche, ridondanti, superficiali, non descrittive, non espressive, sgrammaticate, fuorvianti. Eccètera eccètera. Ora, non è che non mi piaccia quello che scrivo. Anzi, a me scrivere "eccètera eccètera" piace pure assai. Ma, dài, uno non è che si può ammorbare a leggere una scriptio continua di puttanate. Il succo è più buono quando è concentrato (temo che mi pentirò di questa metafora) [Capito? Siamo arrivati alle metafore! E intanto i paragrafi crescono in numero spropositato… Però, giustamente, lo stronzo si giustifica con un:] Ma questa bella mondatura oggi non la faremo, miei cari, perché non ho il tempo. Chiaro? Non ho il tempo! Già è un miracolo che sia riuscito a scrivere tutto questo, ringraziate e che vi basti per un mese!

    Ma io, diciamolo, non scrivo mica per voi.
    Anche perché bisogna vedere chi siete voi.
    Ecco, bravi: chi siete? Che volete? Perché siete qui? Apprezzate questo imbroglio di parole? Vi è piaciuta la foto da cappellone sgualcito? Volete cercare di estrapolare un po’ di cazzi miei? Se dovessi scrivere per tutti voi per accontentarvi impazzirei. Alla fine si tratta semplicemente di giocare le parole e le emozioni, così che voi siate contenti di leggere qualcosa di piacevole, e io mi senta soddisfatto di aver svuotato un po’ ‘sta discoteca di parole tunzettare che continua a rimbombarmi in testa.

    Eppoi, signori:
    la conclusione!

    La conclusione che non può arrivare, perché se davvero arrivassi ad una conclusione scrivere non avrebbe già più un senso.

    La conclusione di un discorso è già di per sé l’apertura di un altro.
    E così via, fino alla morte.

    E su questo forse non ci si può far nulla, a meno che uno non decida intenzional

  • Variações sobre o perdão.

    Variation #1. L’enfant méconnu.

    Il perdono è una pistola in una mano tremante. Ma non è poi tanto un bene avere il grilletto facile, se un Peter Pan vanesio e dispettoso potrà venire a mettere un dito nella canna e – poff! – ti esploderà in mano in una nuvola di fumo nero. Intorno a me un girotondo di stelline. Ne prendo una. Gliela scaravento contro. Peter Pan corre via. "Ora prendimi! Gnè-gnè! Ora prendimi!". Mi siedo sul muretto. Piango. Peter Pan mi guarda. Stranito.

    – Cosa fai?
    – Piango.
    – Ti ha fàtto mà-le! Ti ha fàtto mà-le! Zà-Zà!
    – Non mi ha fatto male. Mi fai male tu.
    – E perché?
    – Perché morirai piccolo per sempre.
    – Ma è bello essere piccoli per sempre.
    – Fa più male morire piccoli.
    – E perché?
    – Perché capisci troppo tardi di non aver capito.

    Variation #2. Le vieux infesté de rats.

    Il perdono è una lama sottile, che recide e separa torto e rancore. Lava l’offesa, conserva diffidenza. Differenza. Qualcosa è cambiato. Perché – vedi? – qualcosa cambia sempre. C’è un nuovo ambiente per te, e tu sei il nuovo parassita. Ti accompagni stancamente nella tua accidia grazie alla tua lavacessi di fiducia. Quando non c’è, appanicato, implori pateticamente aiuto a chiunque. Incolpi chiunque della tua inerzia, con la solita arroganza, ma stavolta non saremo più noi a darti corda. O forse non lo siamo mai stati.

    Ma io so che presto dovrai avere quello che meriti. Ci sarà un nuovo ambiente per te. E il parassita non sarai più tu. I parassiti saranno quelli che si incastreranno fra i capelli grigi. E, stancamente, dovrai lavarteli di dosso da solo. Mentre incolperai chiunque della tua inerzia, ma nessuno vorrà più darti corda.

  • Estemporanea XII.

    1. Initial set-up.

    Studio. Lavoro. Lavoro. Lavoro. Studio. Studio. Ma cos’è sto casino? Lavoro. Suono. Lavoro. Cinema. Studio. Lavoro. Studio. Studio. Ma ‘sta Gelmini da ‘ndo cazzo è uscita? Lavoro. Lavoro. Kebabbino. Studio. Lavoro. Studio. Lavoro. Assemblea. Studio. Lavoro. Vita sociale. Studio. Lavoro. Suono. Studio. Lavoro. E mi chiedo come possa ancora far piacere mantenere retaggi anni ’70 delle guerriglie urbane tra fascisti e comunisti. Diosanto che coglioni.

    2. Controlled stream of consciousness.

    Ma soprattutto mi chiedo continuamente qual è il senso di questa protesta, se lo Stato è nostro perché lo siamo noi, non di certo di un qualsivoglia psiconano o un qualsivoglia partito, e abbiamo tutto il diritto di esercitare democrazia diretta ogni volta che ce n’è bisogno.

    Invece no, siamo tutti timorosi anziché essere facinorosi, siamo tutti un branco di automi imbelli che si sono fatti accocchiare insieme senza mai essersi cagati manco di pezza da un manipolo di assetati di potere che, giusto per formalità, hanno mandato in gloria un migliaio di pezzenti che a malapena sapevano perché erano a Quarto.

    3. Convallaria.

    Resistenza. Ci vuole resistenza. Alla storia (per gli altri) e al tempo (per me). Per quanto riguarda me, riesco a ritagliare piccoli piacevoli momenti in cui riesco a godere di piccoli piacevoli piaceri. Un nuovo lettone in cui affondare. Svegliarmi al mattino insinuandomi tra i serpenti di Medusa, e lasciare che i suoi grandi occhi mi pietrifichino. Una cioccolata calda, o latte bollente in cui sciogliere il miele. Un bicchiere di Porto. Una pannocchia imburrata. Il libro di sarmizegetusa che mi fa venire una voglia matta di recuperare quello che ho perso della mia adolescenza. Cincischiare sotto la doccia calda. Poggiare i piedi nudi sopra un tappetone morbido. Ritrovare in una vecchia scatola le scarpe che ho sempre adorato.

    E qualcos’altro giù di lì.

  • At last. At first.

    Sempre con rispetto.
    Mai con rispetto.

    Immerso nel plasma amorfo delle possibilità.
    Disperso nell’inconcludenza.

    Senza remore.
    Pronto al ripensamento.

    Ricordo che, a volte, si scivolava via senza pensare, lasciando che tutto fluisse dolcemente lungo la catena infinita di eventi e possibilità. Ed eravamo, forse, proprio noi stessi infiniti, in qualche modo.

    Poi qualcosa, da qualche parte, è andato storto. Prendendosi ferocemente a botte con cos’era, invece, rimasto fermo.

    Es muss sein.

  • 平成20年.

    Se così fossero, farei scoppiare duemilacinquecentocinquantadue bolle di sapone, toccandole, una per una, con le dita ormai rugose. Se fossero invece granelli di polvere, ce ne sarebbero duemilasettecentosessantuno, e una scopata li spazzerebbe via. O forse sarebbero quattromilasettecentocinque pezzi da 23, e con gran calma dovrei spostarli via pezzo per pezzo.

    Ma se trovassi, invece, solo millequattrocentotrenta grammi di trielina sarebbe, dopotutto, la stessa cosa. Basta serbarne sette grammi (un piccolo souvenir!), da inalare al momento giusto, così da tener quei sette posti (più o meno 2) liberi, in attesa. Il resto invece lo si lasci pure evaporare, fino a saturare l’aria ed esplodere per colpa dei nostri piccoli fuochi.