With your feet on the ground.

È nel momento in cui cominci a dare qualcosa per scontato che diventi più fragile. Succede ogni volta. A cosa serve ergere mura altissime, se poi il vero pericolo è ancora all’interno? Nel mondo di Morfeo, quello in cui tutti i tuoi “non fa niente”, “non fa male”, “va bene così”, valgono una cicca, basta un tavolo, un sorriso, una doccia, un viaggio.

Ho scattato una foto alla farfalla, nel momento esatto in cui era appena uscita dal baco. Sbatte le ali, si guarda intorno. Click. Questo è l’ultimo, dolce momento che voglio ricordare. Un ultimo sguardo, poi vola via.

Swing is evergreen.

Negli anni ’60, Philco e Ford decisero di commissionare un video pieno di speranza (e di elettrodomestici Philco, ovviamente) dal titolo 1999 AD.

Molte delle novità immaginate dai vegliardi sono, per la verità, alquanto azzeccate. Monitor quasi piatti, circolazione di informazioni in rete, domotica, e-mail e videochiamate, pranzi veloci, data-mining in database centrali che riutilizzano le informazioni in modo semantico e le condividono con terze parti senza ovviamente alcuna considerazione sulla privacy. Non proprio tutto questo è già realtà, ma esiste: la domotica, per esempio, cerca di far capolino nelle abitazioni di tutto il primo mondo da più di 20 anni, con risultati continuamente disastrosi (per fortuna).

La parte più irritante è, decisamente, lo stile di vita che viene prospettato. Il lavoro è quasi inesistente o meramente ricreativo, gli adolescenti giocano a scacchi anziché postare video mentre uccidono un passante con un martello e un cacciavite o si fanno di droghe fatte in casa perché non hanno niente di meglio da fare (sì, ci sono i sottotitoli in Italiano, basta fare clic sul pulsante CC), la biodiversità della natura è non solo preservata ma persino arricchita e valorizzata.

E lo swing. Ah beh, lo swing è sempre lo swing.
Mica la musica dimmerda d’oggidì.

Allora, caro uomo degli anni ’60, ti chiedo: perché hai avuto l’ingenuità di pensare che entro il 1999 l’uomo del futuro avrebbe aggiustato i casini che hai combinato finora? Perché, invece, non ti sei preso la responsabilità di mettere in atto ora un sistema di salvaguardia a favore del pianeta e delle generazioni future? Perché non hai mai confessato la colpa di aver (in combutta con gli uomini degli anni ’70, ’80 e a seguire) continuato a schiavizzare e rovinare le classi più deboli e il pianeta stesso, pensando che in fondo, nonostante le nuove, più potenti, devastanti ed inquinanti tecnologie, ci si potesse ancora comportare come nel Medioevo?

Questo è un processo ancora in corso, badate bene. Le precedenti generazioni affidano la responsabilità di un mondo migliore alle future generazioni, creando aspettative troppo grandi. Le future generazioni fanno del loro meglio per progredire, ma 1) le vecchie generazioni non hanno dato alcuno strumento in loro aiuto e 2) paradossalmente, una parte ostacola il processo, specialmente nel momento in cui viene a ledere i propri interessi personali e richiede sacrifici. Di conseguenza, le nuove generazioni non riescono mai a raggiungere i risultati attesi, diventando un ottimo capro espiatorio per le vecchie, le quali possono finalmente dire che è colpa dei ggiovani se il mondo è una mmerda, e sentirsi così liberati dal senso di colpa che, a loro volta, gli è stato appioppato dalla generazione precedente. E, ça va sans dire, una volta che la nuova generazione non sarà più nuova, scaricherà il barile sulla prossima. E ancora, e ancora.

In una società ideale, i vecchi hanno esperienza e i giovani forza. I vecchi aiutano i giovani a veicolare la loro forza grazie alla loro saggezza, spingendo affinché i giovani accumulino abbastanza esperienza da avere gli strumenti giusti per innovare. I giovani, d’altro canto, ringraziano i vecchi assistendoli nell’ultimo periodo della loro vita. Cosa va storto nel meccanismo reale? Tante cose. Tra queste: la saggezza diventa arroganza, l’incentivo ad innovare diventa un pericolo per lo status quo, la lunga esperienza degli adulti, mal esercitata, li fa tendere ad una piacevole vita routinaria che nulla deve alterare.

Allora: meglio non avere esperienza? Sbagliato. L’esperienza è importante per creare strutture analogiche che permettano di proiettare decisioni via via sempre migliori. Ma l’errore di gran parte delle persone con esperienza è usare queste strutture in modo statico, pavloviano: anche se gli input sono diversi, cercano elementi in comune per poter applicare lo stesso meccanismo mentale e produrre gli stessi output. Questa pigrizia mentale (che si riassume facilmente nello schema Input-????-PROFIT) è un’arrogante reductio ad unum che dovrebbe invece essere sostituita da un continuo sforzo di creazione di nuove strutture, dinamiche e sempre pronte ad essere messe in discussione, come i ggiovani son tanto bravi a fare. Peccato, però, che i ggiovani non sappiano come creare strutture, non avendo esperienza. Ecco l’inghippo, il circolo vizioso.

Come si risolve?

In sintesi:
Vecchi, questa storia de “il futuro è dei giovani” ha rotto i coglioni.
Il futuro è vostro. Fatene buon uso.

Intro – Opening Credits.

A volte mi mancano cose.

Mi manca l’attesa.
Mi manca la scoperta.
Mi manca dover pensare a tutto per non pensare a nulla.
Mi mancano i confronti inaspettati. Con persone inaspettabili.
Mi mancano i Quintorigo. Quando c’era John De Leo.
Mi manca il mare all’alba.
Mi manca bere un bicchiere di vino rosso sul muretto in autunno.
Mi manca fare una foto meravigliosamente inutile.
Mi manca sedermi ad una panchina e non fare altro che guardare il mondo scorrere.
Mi mancano quei concerti da due soldi a cui non volevi andare ma, ehi, valeva la pena.

Un po’ meno, mi manca quel senso di spossante inquietudine a cui non sapevo dare né spiegazione né soluzione. La soluzione, forse, è arrivata. Transeunte. Forse. In fondo è come scivolare lungo un’infinita transizione.

Il titolo.

Doubt dub.

Il vero problema è che vedo tutto come estremamente velleitario, e la verità non è altro che il rovescio della medaglia che prendiamo per vero, per induzione, confrontando l’ignota novità con i rassicuranti precedenti.

In sostanza, quello che riteniamo vero è quello che riteniamo accettabile, coerente con quello che sappiamo già essere vero. O che, per meglio dire, abbiamo deciso che era vero quando, a sua volta, l’abbiamo ritenuto coerente con quello che sapevamo già essere vero. E via dicendo.

Quindi c’è una sorta di causa prima, di prima verità che confrontiamo per aggiungerne altre.

Ma se quello che sappiamo già, questa verità prima, non fosse coerente? Riusciremmo mai a capirlo davvero? Forse l’abbiamo presa per vera così dogmaticamente solo per fiducia? E quindi dovremmo continuare a prendere per assunto che sia vero o falso? Oppure ha senso cercare risposte? E se non ci fossero?

Estemporanea IX.

Scene I: dammit.

Il fatto è che, secondo me, ci vogliamo bene. Anche quando non ci capiamo più.
E quando mi hai chiesto una sigaretta, con quella faccia, mi è venuto da piangere.

Scene II: lo Spirito del Tempo.

Spirito del tempo mantenuto spesso in tedesco come Zeitgeist è un’espressione, spesso adottata nella filosofia della cultura otto-novecentesca, che indica la tendenza culturale predominante in una determinata epoca.

(da Spirito del Tempo, it.wiki)

Un po’ dileggiato da forzature e semplificazioni, a dire il vero.
Ma ti spiega in modo semplice semplice perché Cristo è una creatura di Costantino.
E tante altre belle cose.

Il video coi sottotitoli in italiano è qui, ovvero questo:

Ringrazio di cuore il Catto per averlo segnalato.
A suo tempo.
Sì, lo so, è da 6 mesi che dovevo vedermelo.
Ma in 6 mesi sai quante cose succedono?

Scene III: on journey, on tour!

Sono costretto a microferie, ma ne approfitterò per un giretto a Roma a partire da dopodomani.
Visto che ho perso un po’ tutti i numeri di cellulare, prego ABS e subdola di farsi sentire al più presto.
Subdola, tu hai il mio numero, non hai scusanti.
Ricordati la cannella.

Se qualcuno bazzica da quelle parti si faccia sentire entro lunedì alle 12 via Splinder, mail o MSN, o quando gli pare sul cellulare (di cui non avrete certamente il numero, indipercui dovrete organizzarvi con la subdola, per esempio, così avrà ancor meno scusanti… mi sento un demonio).

Estemporanea VIII.

Scene I: I don’t like the widescreens but the widescreens like me.

Perché io posso capire che 1280×800 sia una risoluzione un po’ strana. Però non è normale che sia GNOME che KDE si imputtanino e facciano finta che la risoluzione sia 1024×768 e mi mostri barre e finestre a 3/4 dello schermo… e tutto il resto dove lo mettiamo?

Scene II: I don’t like the bills but the bills like me.

Su Radio Radicale: «Abbiamo deciso di non candidarci alle elezioni politiche per non partecipare al banchetto dell’illegalità che caratterizza questo che ormai non è più uno Stato di Diritto; pertanto ci presenteremo solo alle amministrative con la Lista Bonino».

Vabè.

Dieci minuti dopo: «Pur sostenendo Rutelli in queste elezioni amministrative abbiamo comunque nostre caratterizzazioni specifiche».

Sostenendo chi?