Maledetti pecoroni.
Avete quello che meritate.
Per questo e mille altri motivi non ti lascerò.
Colleziono bellissimi oggetti.
Un paio di scarpe.
Degli occhiali.
Un telefono.
Una macchina da scrivere.
Sono fatti di legno e feltro, con cuciture evidenti.
Quel loro delicato aspetto non rifinito li rende amichevoli, rassicuranti.
Li ha fatti Stéphanie.
E io allestirò una mostra per esporli.
– Stéphanie, dici che posso prendere anche la coperta rossa?
– Certo Stéphane, vuoi scherzare?
E c’è questa stupenda coperta.
È di feltro rosso doppio con dei grandi quadrati bianchi.
Animali selvatici ci corrono sopra.
Lei sorride.
Io mi piego su una roccia nel tentativo di raggiungerla.
Ma lo stomaco, compresso, mi fa male.
– Stéphanie… mi tieni la mano?
Non riesco a dormire.
Lei la prende.
Io mi addormento.
(L’arte del sogno, F 2006)
Siamo troppi.
E troppe sono le informazioni.
Fin qui niente di nuovo, lo sappiamo tutti, qual’è il problema? Voglio dire, è inevitabile, siamo così tanti che forse è un’enormità che non riusciamo neanche a concepire. Allora ci accontentiamo di conoscere uno stretto numero di persone (in media sulle duecento), di imparare un numero limitato di vocaboli, posti, contesti, poesie, trame di libri e film, aforismi e citazioni d’ogni sorta. Questo fa il nostro piccolo mondo, e il nostro modo di rapportarci al mondo esterno.
Ma è il rendersi conto, a volte, che c’è tutto un mondo fuori, così infinito e così dispersivo da non poterne seguire le tracce a fondo, l’idea sottile che – paradossalmente – proprio la nostra veemenza nella ricerca della verità ci ha portato ad allontanarci sempre più dal suo nucleo.
Vengono in aiuto due passi.
Il primo arriva da un testo forse sovrabusato, tanto da essere considerato a volte quasi frivolo, anche per la superficie romantico-politica della sua trama. A mio avviso, piuttosto, con la scusa di parlar d’amore e di sputar sentenze qui e lì contro i cechi comunisti, offre anche e soprattutto degli spunti interessanti.
«In una società ricca, la gente non è costretta a lavorare manualmente e si dedica all’attività intellettuale. Aumentano le università e aumentano gli studenti. Per potersi laureare, bisogna trovare argomenti per le tesi di laurea. Gli argomenti sono una quantità infinita perché è possibile scrivere tesi su ogni cosa la mondo. Risme su risme di fogli scritti si accumulano negli archivi, che sono più tristi dei cimiteri, perché non ci entra nessuno nemmeno il giorno dei morti. La cultura scompare nell’abbondanza della sovrapproduzione, nella valanga dei segni, nella follia della quantità. Ecco perché ti dico che un libro vietato nel tuo vecchio paese significa infinitamente di più dei miliardi di parole vomitati dalle nostre università».
(M. Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, Adelphi 1984)
L’altro testo è di per sé prezioso per vari motivi, ma soprattutto per la sua premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa. Perché quando la Terra non girava (perché sappiamo tutti che è stato Copernico, maledetto Copernico, a farla girare), l’uomo era il suo stesso centro, il trionfo dell’individualità specifica nella collettività. Ma ora la Terra gira, gira e rigira, senza meta né motivo apparente. E questo cambia le cose per noi poveri fyborg.
Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza […]; e che valore dunque volete che abbiano le notizie, non dico delle nostre miserie particolari, ma anche delle generali calamità? Storie di vermucci ormai, le nostre. Avete letto di quel piccolo disastro delle Antille? Niente. La Terra, poverina, stanca di girare, come vuole quel canonico polacco, senza scopo, ha avuto un piccolo moto d’impazienza, e ha sbuffato un po’ di fuoco per una delle tante sue bocche. Chi sa che cosa le aveva mosso quella specie di bile. Forse la stupidità degli uomini che non sono stati mai così nojosi come adesso. Basta. Parecchia migliaja di vermucci abbrustoliti. E tiriamo innanzi. Chi ne parla più?
(L. Pirandello, Il fu Mattia Pascal, Mondadori 1988)
Vermucci nojosi
raccontano storielle nojose.
Allora.
[Che poi si sa che quando esordisco con “Allora” significa che sto per dire qualche stronzata]
La situazione è tragica. Il Governo è caduto. Son trent’anni che è morto Moro ma la P2 è ancora viva e tra qualche mese mi sa che torna pure a pieno regime. Il mio PC si è lasciato imputtanare perché è invidioso del nuovo arrivato (e ha anche un po’… come dire… incancrenito i maroni con ‘sta storia). Hanno rifatto il sottopassaggio di Santa Caterina e i punti di scarico dell’acqua piovana, anziché aumentarli, son stati coperti (e ci passo, ci ripasso, e continuo a chiedermi se farò in tempo a prender le pinne, fucile ed occhiali quando Bari sarà una tavola marron-pioggia-misto-fogna). E ancora: il fatto che stia avendo difficoltà con 200 pagine scritte in Times New Roman a 12pt apre prospettive allarmanti; bello ‘sto clima mite, ma non gioite troppo che a Marzo secondo me nevica di brutto; pare che questo sia l’anno del Capricorno e in effetti i Capricorno si mostrano più rompicoglioni del solito; e poi, diciamocelo, ho la batteria del cellulare scarica, e son problemi.
Se questi sono i miei, non oso immaginare quindi i vostri drammi in questo periodo.
Ccioè, cciavrète grossa crisi. Grossissima. Non puoi capire.
Ma la Premiata Ditta shadysun–#9-TheLegs ha la soluzione per voi:
Salva il blog!
Perché quando due blogger si incontrano ormai non più per la prima volta si sa come va a finire no? mica si parla di blog e di blogger o degli Z-blog Awards ma piuttosto si parla chessò di quant’è bbuono ‘sto caffè o quanto sei scemo che ti spari le pose da narciso spacciandole per metafotografia che poi diciamocelo quell’emily the strange emodark ccià un pizzo della vedova che a me non mi potete proprio dire niente eppoi si parla di altre cose tipo chessò che a me caffè + sigaretta in questi giorni non danno la rima desiderata e altre speculazioni filosofiche di siffatta natura.
E allora abbiamo pensato: di blog belli ce ne son molti, sì, premiamoli; ma di blog che fan cagare ce ne sono ancora di più! E questi poveri blogger, che sono convinti del loro operato, che scelgono i glitter più raffinati, che ci invitano a leggere cose normalmente illeggibili, canzoni normalmente inascoltabili, video e foto normalmente inguardabili, questi blogger non vedono riconosciuti i propri sforzi. Dannazione, cos’hanno meno delle blogstar? Niente, ve lo diciamo noi ragazzi, proprio niente.
Allora siete tutti invitati a, per l’appunto, salvarli.
Il vostro compito in questo contest consisterà in:
Ovviamente, da bravi magistres (perché stavolta non son da solo, tiè!), parteciperemo anche noi, stabiliremo un doppio vincitore – giuria e televoto tramite un 899 sempre intestato alla mia cara nonnina (sì, abita alle Seychelles, perché dovete far sempre problemi dico io) – e, almeno io, sacrificherò definitivamente la mia dignità con un header glitteroso che, onde evitare ulteriori lamentele, sarà fatto da Subdola/Caino.
Avete tempo fino al 14 febbraio per partecipare.
Il tag di riferimento è y-awards: http://thelegs.splinder.com/tag/y-awards.
A presto un bannerino.
Update › avevo scritto male il link, chiedo venia :P
Update II › tò:
<a href="http://thelegs.splinder.com/tag/y-awards"><img src="http://img254.imageshack.us/img254/7456/yawardsoe0.png" alt="Y-Awards (aka Salva il blog!)" style="height: 31px; width: 88px; border: 0px" /></a>
English abstract: yes, you came here because that thing about "naked4friends.com" is a virus/worm. Of course. At this moment there are still no infos about how to remove it. I don’t have time to test this on my PC. In case you may try to come back tomorrow. In the meantime just close your Windows Live Messenger application in order to avoid further infection of people in your contact list.
Vorrei capire da dove è sbucato ‘sto virus-o-non-so-cos’è che da ieri sera fa sì che un’infinità di contatti MSN mi rompa i maroni ogni dieci minuti con questo messaggio:
Emoticon con il tuo volto:-O http://naked4friends.com/?=$indirizzoMSN
Ma soprattutto mi chiedo com’è possibile che tutti ‘sti babbioni siano stati capaci di farsi infettare così facilmente. Anche perché, in realtà, se vado su quel sito risulta sempre un errore HTTP 403 (Service Unavailable) e non mi fa scaricare nessun file eseguibile "strano".
Boh.
Mi informerò.
[No, non mi metterò a dire la solita solfa tipo «non scaricate quel file!», tanto gli stolti restan sempre stolti e i traumatizzati restan sempre più furbi.]
Ah, per la cronaca: pare che, per colpa di questo blog, oggi alle 14.30 dovrò spiccicar qualche parola coi cari giuovincelli di Fuori Frequenza (in streaming o via Controradio su 97.3 MHz). E non da solo, ma – attenzione attenzione – con DisasterSofia. Non mi assumo alcuna responsabilità, sappiatelo.
Sì, è vero, dovrei smetterla di fare il riottoso nei confronti del Natale.
Che poi, diciamocelo, non è che lo odio.
Anzi, fintanto che lo adorano gli altri lo adoro un po’ anch’io.
Del resto è un’occasione da sfruttare pienamente: i regali, cenoni in cui lanciarsi avidamente per arraffar cibarie (più o meno) prelibate, alcolici messi candidamente a disposizione da Trimalcioni dell’ultim’ora, Christmas Card per rompere i maroni ai soliti noti per qualsiasi cosa tranne che le dovute catene di Sant’Antonio e i dovuti auguri, e altro ancora.
Però.
Se oggi è l’unico giorno a disposizione per potermi muovere liberamente.
Se oggi sembra la giornata ideale per far compere girovagando tra i negozi, con quel cielo uggioso che ti invita necessariamente a ripararti dalla la potenziale tempesta, e inevitabilmente guardar la merce esposta tra un "uuh" e un "ooh", e poi sgusciar via al primo cenno del commesso.
Se oggi ti trovi a non poter far null’altro, anche volendo per distrarsi un po’ dal senso di colpa di te che stasera ti darai agli allegri bagordi insieme ad altri ben noti beoni, aggrappandosi al ventilatore schizzando spumante contro le pareti (spero che D. non scopra mai questo blog), mentre quella povera buonanima si contorcerà nel letto insonne, preda di stati febbrili-comatosi (ok, mi sa che sto per provocare una strage).
Tu, negoziante, perché non segui la mia logica ferrea e non apri il 26?
Dico, hai aperto il 24, hai aperto pure il 25… il pranzo del 26 che lo fai a fare?
Metti che c’è uno (a caso) che il 24 e il 25 ha avuto ben altro da fare che comprare i regali, e ora si è reso conto che tutti gli altri l’han fatto, e per sgusciar via dalla figura di merda contava su un blando "no dài, scusami se ti ho portato solo ora il regalo, ci avevo già pensato la settimana scorsa ma ho avuto un sacco di cose da fare e non ho fatto in tempo a portartelo".
Mi metti evidentemente in una situazione difficile.
Negoziante, preparati ad un assalto all’alba di domani.
Vabbè, un po’ più tardi dell’alba.
Ma comunque preparati.
Di solito si inizia con una citazione.
Stéphane Mallarmé era un tipo di quelli che, tolti i baffoni che fan molto Maestro figo, aveva piuttosto l’aspetto di un tamarrone, con questa riga al centro dalle estremità riccioline. Non avresti dunque mai pensato che potesse dire una cosa come:
Nommer un objet, c’est supprimer les trois quarts de la jouissance du poème qui est faite de deviner peu à peu: le suggérer, voilà le rêve. C’est le parfait usage de ce mystère qui constitue le symbole: évoquer petit à petit un objet pour montrer un état d’âme, ou, inversement, choisir un objet et en dégager un état d’âme, par une série de déchiffrements.
Qual è il problema? Il problema è che le parole hanno perso la loro forza originaria. Le parole non sono più poche e potenti, sono sotterrate da immani quantità di significati, sfumature, plurivalenze. Ricorriamo a sinonimi e perifrasi per una velleità stilistica che non fa altro che rendere ancor più banale la loro efficacia. Frasi che una volta evocavano sensazioni ben precise ora non sono altro che frasi fatte, giri di parole da sfruttare per ogni buona figura. Ormai anche l’autoreferenzialità è diventata un mero esercizio di stile.
E l’amore. Ah, l’amour. Ma lasciamo perdere.
Allora ci trasformiamo in strani esseri che pensano di dire tutto ma, in realtà, per chi ci ascolta, non diciamo proprio niente. Pensiamo a qualcosa di originale ma incappiamo in questo ostacolo comunicativo e finiamo per convincerci noi stessi che in realtà non c’è nulla di nuovo. Magari abbiamo capito qualcosa di forte, davvero forte, ma non ci sono parole per esprimerlo. Che poi non è vero, le parole ci sono, e sono proprio quelle giuste, ma se le usassimo nessuno capirebbe.
Ecco, viviamo viziati da parole viziate.
Allora ti resta solo ricorrere ad una sorta di intento poetico. No, non fare poesia, intendo proprio avere in mente l’idea che ogni parola potrà essere fraintesa, ogni metafora giudicata seguendo i percorsi creati dall’esperienza individuale. Che è difficile capire univocamente, perché è difficile farsi capire. Tentare più vie, a volte ridondanti, per guidarti efficacemente verso l’interpretazione che più ti aggrada.
E finisci con l’oscuro, il criptico. Sopprimere una parola sotto un cumulo di frasi cineree, o altrimenti lasciar fluire le parole e godersi il piccolo spettacolo dell’incomprensione. Che a volte diventa un’entusiasmante gioco interpretativo.
Vi è capitato mai di rileggere un testo a distanza di anni e, finalmente, capirne il senso profondo?
Vi è capitato mai di rileggere un vostro testo a distanza di tempo e scoprire che aver scritto qualcosa di getto era stato in realtà il modo più efficace per mantenere quell’aura sospesa immobile, pronta per essere colta solo al momento opportuno?
Sono il gatto di Schrödinger,
ma la mia scatola ha una fessura.
Pessimo errore metodologico.
Ma la fessura è così piccola,
e io così vicino al bordo,
da non riuscire a scorgere altro
che del pelo irto dal freddo.
Pessimo errore d’osservazione.
Fumo l’ultima sigaretta,
qui, sul letto,
poggiato al cuscino nuovo,
e poi giuro che esco.
E tu dove andrai, Naoko?