La soluzione era lì, ovvia. Se non puoi scalare la montagna, giraci attorno. Ok, il percorso è più lungo, ma la salita è fattibile. Non riuscivo a realizzare quanto facile fosse, finché qualcuno mi ha aperto gli occhi.
Una frase soltanto.
Una di quelle chiave.
Take it easy.
Guardai le ultime cose insepolte, dissi addio e mi incamminai.
E poi alla fine ci arrivai.
Dall’altro lato.
E, indovina un po’?
La scalata da qui è più facile.
Ogni tanto ci provo ancora. Ad un certo punto provo a scalare dall’altra parte. Le mani fanno male, i muscoli cedono. Scivolo un po’ più giù. Non voglio. Faccio un ultimo sforzo, recupero, e torno dall’altra parte. Quella più easy. E continuo.
Eppure le vedo ancora, le cose che ho lasciato.
Vorrei che salissero con me.
Poi però guardo quei tizi che scalano il lato più duro.
Provano. Cedono. Cadono. Alcuni riprovano. Pochi riescono.
Perché lo fanno?
Che sia giusto perché non sanno cosa c’è dall’altra parte?
O piuttosto perché si sentono in obbligo di continuare così?
Obbligo?