Wooden trichotomies.

Incrocio un cane che segue il suo padrone.
Scavalco con cura il guinzaglio.
"Quale guinzaglio?", mi chiedono.
Quello che non vedi, ma a cui non voglio impigliarmi.

La mia vera fame è di qualcosa che non ha nome né forma. All'occhio discreto brilla di luce propria. O forse di luce riflessa, in fondo sarebbe un'illusione a cui siamo abituati da tempo e non fa più male. Il problema è che, alla fine dei conti, ossia alla fine dell'infinita lista di "perché?" che rende vano e vacuo ogni tentativo di spiegazione, non ha più neanche senso dare una forma esatta all'oggetto della ricerca.

La meravigliosa Guida Galattica per Autostoppisti (di cui ogni motel da film hollywoodiano dovrebbe avere una copia accanto alla Bibbia e all'immancabile pistola) mostra un aspetto fondamentale della vita. No, non che la risposta sia 42, bensì che il senso della vita si spiega con la vita stessa. Questa tautologia, chiaramente, vanifica ogni tentativo di speculazione ulteriore; a meno che non si considerano i due possibili insegnamenti da trarre.

Il primo è che non contiamo un cazzo. Questo, di per sé, è una sorta di dogma che ognuno prende per scontato ma a cui nessuno davvero crede. Perché? Perché siamo abituati all'idea che, dal momento che risultiamo essere gli esseri più senzienti del nostro piccolo pianeta, abbiamo diritto non solo a sentire la Natura come qualcosa di dissociato ed essenzialmente schiavizzabile, ma anche a pretendere una spiegazione della nostra esistenza che possa compiacere bastantemente il nostro status di superiorità. E quindi, in altre parole: non mi frega niente se la formica muore e la sua vita finisce lì o prosegue in base a quanto è stata buona o cattiva finora, ma io devo sentirmi sicuro che la vita non finisca davvero dopo la morte. Pensa se qualcuno venisse da te a dirti che la coscienza è solo una produzione del corpo, e l'anima semplicemente finisce di esistere insieme al suo contenitore. Muori e poi niente, nada, nihil, nic. La tua anima si circonda del buio infinito e incolmabile della tua piccola bara e, ancora peggio, non se ne accorgerà nemmeno perché l'anima non esiste. Pensa se qualcuno venisse da te a dirti tutta questa storia, dicevo. Roba da manicomio.

Il secondo insegnamento da trarre è che la vita ha una natura indiscutibilmente dinamica. Odio le persone che dicono "tu mi vuoi cambiare", "tu non mi accetti per quello che sono", "la mia vita è al suo posto". La vita è fatta di progresso. Interiore o esteriore, diretto o indiretto, cosciente o istintuale, individuale o collettivo, e in qualsiasi altro modo lo voglia intendere. La tendenza a progredire è da sempre un concetto finito, l'idea è quella di progredire fino ad un certo punto ("qual è il tuo obiettivo nella vita?"), dopodiché val la pena di fermarsi. A meno che condizioni esterne non impongano ulteriori cambiamenti, di cui abbiamo estremo bisogno ma ai quali, tuttavia, si guarderebbe con una smorfia di sofferenza. Perché? Perché progredire stanca, è generalmente un sacrificio che può diventare persino insopportabile qualora non se ne veda la fine. Possiamo immaginarla come un'economia di pensiero simile a quella che ci fa immaginare come minuscoli, insignificanti, esseri immortali.

Per questo non riesco ad avere un guinzaglio.
Ci provo, eh, ci provo sempre.
Ma alla fine non riesco.