Desiderare ciò che non si può avere. Una condizione prettamente umana, considerato che dopotutto è proprio quello che ci permette di progredire.
Desiderando ciò che non possiamo avere, lo idealizziamo, beatifichiamo, lo mettiamo al centro dei nostri pensieri. E – ecco il punto focale – il desiderio si amplifica, come in un circolo vizioso, quando cominciamo a caricarlo di aspettative. Aspettative che diventano tanto più grandi quanto più l'oggetto del desiderio si mantiene distante nel tempo.
L'adagio "se tiri troppo la corda si spezza, se la tiri troppo poco non suonerà" si applica in questo contesto in maniera perfetta: se le aspettative sono troppo basse, l'oggetto perderà interesse, se le aspettative sono troppo alte, esaudire il desiderio diverrebbe una tale sfortuna, perché un istante dopo non ci piacerebbe già più. Come essere in bilico sul parapetto, pronto al bungee-jumping, e giusto un secondo dopo esserti lanciato, improvvisamente, voler tornare indietro – non per paura, ma perché ora che hai ottenuto quello che volevi l'impossibilità di tornare indietro in quel preciso istante è un'idea di gran lunga più attraente.
L'oggetto desiderato, quindi, deve sapersi far desiderare con moderazione. Continuare a fomentare il fuoco del desiderio da una parte, tenere viva la speranza che l'impossibile diventi possibile dall'altra. Si tratta di un equilibrio così delicato da richiedere un esercizio costante da parte del desiderato, e abbastanza sangue freddo da affrontare adeguatamente la frustrazione del fallimento da "corda spezzata".
Fino a che punto il gioco dovrà andare avanti? Dipende, ovviamente, dal fatto che l'oggetto desiderato intenda essere realmente raggiungibile o meno. Se sì, dovrà concludersi relativamente presto, altrimenti potrà proseguire ad libitum.
In tutto questo dobbiamo considerare un ulteriore fattore: così come il mondo è fatto da un insieme di singole azioni volontarie e involontarie che si intrecciano in modi complessi e quasi imprevedibili (il caso), così anche i desideri sono persi in ciascuno, e dunque quello che possiamo o non possiamo avere è, in molti casi, dipeso da quello che qualcun altro fa o desidera (il destino). Coscientemente o non, qualsiasi cosa desideriamo (e, di conseguenza, facciamo), qualora realizzato, andrà molto probabilmente a scontrarsi col desiderio di qualcun altro, che diventerà inesaudito. Il che potrebbe lasciare l'altro indifferente o in una profonda frustrazione, dipende essenzialmente dal grado di intensità con cui l'altro desidera la stessa cosa rispetto a noi.
[Sì, in questo caso potremmo anche considerare giusto, in genere, che chi più desidera più meriti, e che addirittura sia giusto che l'altro, invece, ne soffra; ma questo argomento meriterebbe una più ampia discussione.]
In altre parole, quando abbiamo ciò che desideriamo – nel senso che o non abbiamo più desideri o siamo riusciti ad rendere quelli impossibili, infine, possibili – lasciamo che il desiderio faccia posto ad un senso di insoddisfazione. D'altra parte, più desideriamo, più il desiderio diventa pervasivo, spingendoci ad azioni che inevitabilmente scombinano il sistema (equilibrio?) circostante.
In altre parole, ancora: se desidero soffri, se non desidero soffro.
Cosa scegli?
[Caveat: tertium datur.]