Parade.

Quando ci guardiamo negli occhi siamo due corpi.
Premiamo con tutte le nostre forze contro una gabbia di vetro,
quella dei non puoi, non devi, non è giusto,
quella dei fai così per garantirti una vita virtuosa,
per te e per gli altri.

E vogliamo uscire da qui, anche se abbiamo lasciato che gli anni la indurissero,
la ispessissero con strati e strati di abitudine e rassegnazione,
finché non ci siamo resi conto che non ci convinceva più
quando chiedevamo perché? e ci rispondevano perché sì,
perché è tutti fanno così,
perché è normale.
Normale?

Sembriamo così diversi, nelle nostre gabbie.
E allora chiudiamo gli occhi,
ci sentiamo, ci percepiamo.
E ci rendiamo conto che in realtà siamo così simili,
due sfere luminose allo stesso modo,
che vagano in un vuoto infinito,
cercandosi,
avvicinandosi,
abbracciandosi.

E in questo abbraccio ci perdiamo.
Solo per un momento.

Num doce balanço.

Se senti il mio respiro, per favore, respira. Tienimi sul palmo delle tue mani e guardami evaporare. Diventerò pelle, occhi, capelli, labbra. E allora dovrai stringermi forte, anche se scivolerò fra le braccia. Non sarò sabbia impalpabile fra le dita che si scioglie indifferente nel mare. Sarò ghiaia, che farà sempre male quando camminerai affondando i piedi nella spiaggia calda. E allora, forse, cercherai di prendere tutti i pezzi, prima che finiscano più in fondo, e quando saranno tutti, quasi tutti, proverai ad incollarli tra loro. Ancora una volta. E ancora una volta non funzionerà. Ma ancora una volta proverò a tenermi stretto, per diventare una sola cosa con me. E quando vorrai scaldarmi, fra le tue mani, allora, solo allora, diventerò una sola cosa con te.