Mi piace guardare la vita che scorre. Inquieta. Inerme. Indifferente. Quadretti in movimento. Soprattutto in quei posti chiamati discoteche, dove la gente sceglie autonomamente di deportarsi stipandosi in uno spazio angusto.
Tradizione vuole che in discoteca l'alcool, i feromoni nell'aria, il contatto fisico, la sensualità delle danze, facciano trombare al primo colpo, a volte senza neanche presentarsi. Falso. A meno che non sia un [o una specie di] ballerino muscoloso [possibilmente nero] in mezzo ad un congresso di zitelle [possibilmente bianche e soprattutto vicine alla menopausa]. O un altrimenti un grazioso ometto baciato dalla fortuna. O più semplicemente uno di quegli sfigati che ha fatto di questo la sua unica arte.
Comunque sia: fra persone normali, che conducono una vita normale dedita alla sopravvivenza – e, per i più acquiescenti, anche alla prosecuzione della specie – le dinamiche relazionali in questi ambienti somigliano più ad una grossolana versione dei campi di forza magnetica.
Ossia: tante palline che fluttuano nell'aria, si avvicinano progressivamente, ma poi [spesso ignote] variabili esterne possono concorrere a far sì che tutto questo si scombini improvvisamente. A meno che non si aggancino tra loro aderendo in modo perfetto, ovviamente, ma anche in quel caso la forza attrattiva può sempre venir meno in qualsiasi momento e per [ancor più indiagnosticabili] forze esterne, rendendo una delle due palline più propensa a lasciarsi attrarre altrove, mentre l'altra resta lì un po' rincitrullita.
E io sto lì, a guardare.
Esempio.
Il tizio davanti a me. Sta ballando da ore. Interminabili ore. Sudorazione. Palpitazioni. La musica fa cagare, il cuore sta cedendo, balla raccolto in sé stesso in preda agli spasmi. Si gira persino verso di me facendo il verso di chi sta per avere un infarto per cercare una qualche comprensione maschile.
Ma c'è una forza che lo sorregge in questo momento difficile, un elemento imprescindibile nella dieta del playboy da discoteca, possibilmente da accompagnare a Vodka e Red Bull.
Ovviamente stiamo parlando della figa.
Una figa circondata da un essere umano di sesso femminile, la cui unica vaga prospettiva di sensualità è data da una tempesta di piercing che forma un'unico grande disegno metallico sul suo viso. Viso che contiene certamente un cervello, ma ahimé anch'esso spento al pari di quello del moribondo al suo cospetto.
Ad un certo punto, facendosi forza timidamente con frasi rassicuranti del tipo o-la-va-o-la-spacca, si appoggia quasi impercettibilmente al suo fondoschiena. Riesce quasi ad aderire completamente all'osso sacro, approfittando di un momento in cui la tipa, soffocando l'imbarazzo per un conato di vomito, si è piegata in avanti fingendo di improvvisare un twist.
Il viso del ragazzo è assolutamente raggiante: dopo un collasso, tre bypass e una flebo di anfetamine, finalmente riuscirà a trombarsi qualcosa di finalmente semovente e composta da materiali biologici. Non sa ancora quale sarà il passo successivo, ma ora è sicuro che ci riuscirà.
E ci riesce.
Sì, non ci crederete ma ci riesce.
Ovviamente non ci casca nessuno, perché se non ci fosse il destino beffardo in questa storia non starei di certo qui a perdere tempo per raccontarla.
La tipa in questione, per la verità, è molto tranquilla, ed è così di fuori che sta pensando a tutto tranne che a lui. Quando si accorge dell'aggressione para-anale, si gira, gli accenna qualcosa del tipo che è lesbica, dopodiché raggiunge le sue amiche lesbiche.
Tra queste ce n'è una che è eterosessuale. A caccia. E quando dico "a caccia" non intendo una semplice zitella arrapata. Intendo proprio una lupa che si guarda intorno cercando la preda più facile da agguantare.
E qui c'è una scena decisamente umoristica. E intendo proprio in senso Pirandelliano, se si considera il concetto di fondo, ossia che questa ragazzina è lacerata dal bisogno di un uomo.
Salta sul tavolo, balla balla balla da capogiro. Niente. Neanche uno sputo in faccia. Dopo un po' scende. Cammina da una parte all'altra della sala, con l'aria di cercare qualcuno in particolare. Ma il fatto che torni costantemente a mani vuote lascia sospettare che voglia solo farsi un giro in mezzo fra la gente cercando qualche maschio da consumare. Nessun risultato, a parte il disappunto degli astanti che, essendo particolarmente costipati l'uno contro l'altro, e già abbastanza girati di coglioni (non c'è aria, si suda, i corpi scivolano tra loro come anguille, e poi c'è il solito puzzone che alza l'ascella pezzata in un momento di estasi platonica mentre guarda il DJ, e dà ritmicamente gradevoli gomitate negli occhi del prossimo), avere 'sta stronza che costringe tutti a spostarsi ogni 10 minuti per poi non combinare niente fa venire un po' voglia di disossarla collettivamente.
Comunque, alla fine, la tipa in questione, non avendo trovato nessuno che potesse apprezzare il suo esile corpo infiocchettato in un grazioso paio di pantaloni da ginnastica rosa shocking, decide di tornare all'ovile e galvanizzare le sue amiche a riapplicare collettivamente lo stesso meccanismo (tavolo-pista-tavolo-pista), un po' per non sentirsi sola, ma un po' anche perché effettivamente si era resa conto che stare lì, da sola, sul tavolo, sembrava un po' una minchiata.
E a quel punto decido di ingozzarmi con l'ultimo Martini, dopodiché non ricordo più niente.