Atmosfera.

Due più due non fa quattro.
Neanche cinque.

Fa 42,
diviso per il numero di amori perduti,
moltiplicato per il numero di amori mai realizzati,
meno il numero di esperienze mai vissute,
elevato all’enorme numero di ricorsi.

La vita è sopravvalutata.

L’universo è incline all’implosione.
 

La soluzione delle soluzioni è qui.

Bene.

Sappiamo tutti che il peggio nemico del ventunesimo secolo non è l’AIDS, né l’influenza aviaria, né tantomeno questa patetica H1N1. Beh, a pensarci bene, nell’ultimo caso il nemico c’è ed è il vaccino, ma tant’è. Il vero nemico del ventunesimo secolo è autorun.inf.

Nata con Windows 95 per rendere i CD dei videogiochi e altre simili porcherie a prova di idiota, la funzionalità AutoPlay si è rivelata una manna dal cielo quando si è scoperto che si poteva applicare anche alle chiavette USB: ormai il floppy è morto e quasi sepolto, e con lui anche gli allora temutissimi virus che si annidavano nel settore d’avvio (il principio era semplice: inserendo il floppy, il computer doveva leggere per forza il boot sector, e – tac! – ciappa il virus!). Adesso invece i virus si avviano con stratagemmi molto arguti in questi nuovi supporti removibili, sfruttando sia l’utonto che il navigato.

Ora, è ovvio che la soluzione principale per proteggere il proprio computer è – a parte avere un po’ di sale in zucca – disabilitare la funzionalità di AutoPlay, così che il proprio Windows non vada a seguire le istruzioni dettate nel file autorun.inf e, di conseguenza, le chiavette USB infette diventino magicamente portatrici sane di schifezze. Certo, sempre che uno non vada proprio a cercare l’eseguibile col lanternino.

Ma come evitare che la propria chiavetta possa diventare, a sua volta, un crogiuolo di porcate subito dopo averlo messo nel computer del collega?

Si tratta di un trick tanto semplice quanto efficace: creare una cartella autorun.inf.

I presupposti sono tre:

  1. Ad una cartella posso dare qualsiasi nome voglia, figuriamoci se "autorun.inf" darebbe problemi;
  2. Il virus potrebbe sovrascrivere un file, ma non una cartella;
  3. A Windows non gliene frega più di tanto se il file autorun.inf non è un file leggibile.

Come fare?

  1. Inserire la chiavetta USB;
  2. Ok, sarà sicuramente piena di schifezze: scopri come pulirla, perché non è compito di questo memo;
  3. Aprire il Prompt dei comandi (Start, Esegui…, cmd, OK);
  4. Scrivere X: dove X è la lettera corrispondente alla penna USB (sarà F?);
  5. Scrivere mkdir autorun.inf (se non funziona significa che c’è già, tonto!);
  6. Scrivere attrib +s +h +r autorun.inf per renderlo file di sistema, nascosto e di sola lettura;
  7. Fatto!

La prova del nove sarà andare dal collega col computer impestato di minchiate fino al midollo, inserire la penna USB e poi tornare sul proprio computer (dove avrete avuto l’accortezza di disabilitare l’AutoPlay, spero) per vedere se compaiono strani file nascosti. Per scoprirlo basta vederli ordinati per data, usando il comando dir /A /OD dopo il punto 4. Se tutto va bene, anche se ci saranno strani file, la cartella autorun.inf continuerà ad essere un’innocua cartella.

Ovviamente "la soluzione delle soluzioni" è una chimera. Basta che il virus si prodighi di cancellare la cartella autorun.inf e potrà benissimo creare un nuovo file. Ma attualmente è un’eventualità rara, e il punto 6 dovrebbe dare una mano ad evitare che accada.

Mi sento un geek molto old-school, devo ammetterlo.

Intro a posteriori.

Allora.

Siamo arrivati alla frutta. Anzi, alla buccia della frutta. Il post autoreferenziale. Perché i significanti sono pochi, i significati sono tanti, tutto quello che c’era da dire è stato già detto e ridetto, e quindi tutto quello che potrei dire sarebbe solo riproporre un qualcosa di già detto, con il rischio che venga pure citato per plagio o banalismo.

[Nota: nessun contenuto banale è stato maltrattato per giungere alla parola "banalismo"]

Tutto quello che volevo dire è che… no, scusate, ma poi alla fine di che stiamo parlando? Questo blog forse è stato sempre autoreferenziale, in qualche modo. Piccole esperienze che si tramutano in fotografie. In parole. Fotologie.

Vabbè, magari un po’ fotoritoccate.

Per esempio. Ieri sera.

Ad un tratto arriva Mino. Un tizio alto, robusto. Ostenta sicumera, ma il labbro nervoso fa trasparire una fondamentale insicurezza. Si avvicina con passo pesante, molleggiando insieme al suo bomber. E insieme al pellicciotto del suo bomber. E insieme al suo seguace. Mario è basso e tarchiato, barba e capello leccato, un orecchino all’orecchio. Senza nichel, non si sa mai. Se avesse la coda scodinzolerebbe come un carlino.

– Ecco i ricchionazzi – grida Mino, nell’imbarazzo generale.
– Ha-ha, Eccoli! – gli fa coro Mario, nell’indifferenza generale.

Mino bofonchia qualcosa al primo conoscente a portata di bofonchiamento, un ragazzotto ansiogeno che cammina avanti e dietro tra uscio e vetrata del locale, succhiando avidamente la sua sigaretta nella speranza che il fatidico gol non si realizzi proprio ora. La sua assenza potrebbe essere rilevante per le sorti della sua microtifoseria. Mario intuisce il suo disagio.

– Comunque è colpa sua se siamo arrivati in ritardo – gli sussurra con aria complice.

Giorgio lo fissa per qualche secondo, deve ancora capire se è scemo o lo fa apposta ad essere così irritante. Questi due larve potevano anche non venire proprio, chissenefotte. Non sono di certo più importanti di me.

In sostanza è vero che la vita è un racconto. E il racconto è una vita. Possiamo dire che ogni post di questo blog sia un pezzetto di vita. Che a volte si espande in due, tre, dieci post. Se facessi come alcuni blog che, intelligentemente, mettono solo un post per ogni pagina, sarebbe più chiaro. E magari potrei anche ingrandire un po’ il font, visto che 11px sono un po’ pochetti.

E invece i caratteri sono piccoli piccoli, di quelli che uno si scoccia a leggere tutta ‘sta roba.
E i post sono tanti, di quelli che uno si scoccia a leggerli tutti.

Ma io ho bisogno di spazio.
E quindi anche il mio blog.