Con. La testa. In un. Acquario. Soppesando. Le. Parole. Una pausa. Ogni. Non più di. Cinque sillabe. Conpocheccezioni.
Con la testa, come se fossi in un acquario, soppesando le parole. Una pausa ogni 10 secondi. Perdifiato. Fiato rotto. Rompicapo.
Con la testa che rotola e guarda tutto e non guarda niente e tocca e non sente e parla e non sente e scrive e non sente.
Con la testa come quando hai malditesta. E il dolore diventa fastidio, e poi ancora fastidio, e poi dolore, e poi fastidio. E, diosanto, non mi devi rompere i coglioni. E, diosanto, non mi devi interrompere mentre sto pensando, e strapensando, e ripensando, e tutto mi sembra acquoso, e mi fa quasi schifo ogni contatto umano, e mi sento come quelli di quei film che vanno nei night club guardano le donnine nude e le riguardano e bevono e le riguardano e non gli passa nemmeno un attimo in testa di toccare o di scopare o almeno di ammazzarsi di seghe niente di niente completamente atarattico o forse in realtà un po’ annoiato dalla banalità del bene e la banalità del male ma soprattutto il bene. E, diosanto, non mi far stare male. Mi fa già male. Qui, vedi? No, non qui, ma lì, in quella gabbia. Un dolore sopportabile ma ininterrotto e variabile, di quelli che con tutti gli sforzi che puoi fare per distrarti alla fine ti distrae, toglie spazio a qualsiasi messa a fuoco, di quelli che puoi provare solo ad inserire una qualche specie di pilota automatico, e a quel punto buona fortuna, buona fortuna davvero.
Con la testa che forse non vuole essere una testa.