Si comincia da qui. Si scruta a fondo la forma per cercare una piccola o grande finestra verso il contenuto.
Un qualche dettaglio, attraente, in qualche maniera sensuale, fa aumentare esponenzialmente la curiosità, la voglia di sentirsi in qualche modo un tantino sopra gli altri, quegli altri che questa curiosità non l’hanno proprio avuta, oppure era troppo piccola per darle ascolto.
E il tuo cuore irrimediabilmente romantico legge al posto tuo, analizza la forma, la interpreta, scovando significati che di certo altri non hanno neppure immaginato. Finché non giungi alla conclusione che ci sarà sicuramente qualcosa di speciale, che è nascosto, che non si trova, che non soddisfa appieno quella perversione soft-voyeuristica che è a tratti persino generazionale.
Ti fai coraggio. Vinci la timidezza. Bussi alla piccola o grande finestra. Speri che il contenuto venga ad aprire. Beh, o quantomeno che si affacci, insomma.
Si affaccia. Finalmente. A volte hai la fortuna di capire subito se quello che adesso hai davanti è il contenuto o, piuttosto, un’altra forma, con tanto di delega scritta e mandato ad operare.
Il problema di queste forme è che, a volte, non ti fanno mai arrivare al contenuto. Ti illudono di essere arrivati alla sostanza, alla materia prima, ma in realtà è un trucco. Meschino. Altre volte, invece, il contenuto arriva davvero, prima o poi, e scopri che è davvero deludente. Non che sia necessariamente più noioso, o troppo difficile per i nostri gusti. Semplicemente molto diverso da come te lo immaginavi quando avevi ancora quella curiosità un po’ entusiasta. E meno male, perché altrimenti cercheresti di allinearlo il più possibile a quella tua idea di lui.
Poi (deo gratias) ti accorgi che è tutto inutile.
A volte te ne accorgi solo dopo un po’.
A volte un po’ tardi.
Te ne sei accorto o no?
Poi però ci riprovi. Non demordi.
Perché senti che è la strada giusta.
Più te lo ripeti e più sarai convinto.
Garantito.
(e che culo.)
(photo: play with me by s~revenge)