Estemporanea XII.

1. Initial set-up.

Studio. Lavoro. Lavoro. Lavoro. Studio. Studio. Ma cos’è sto casino? Lavoro. Suono. Lavoro. Cinema. Studio. Lavoro. Studio. Studio. Ma ‘sta Gelmini da ‘ndo cazzo è uscita? Lavoro. Lavoro. Kebabbino. Studio. Lavoro. Studio. Lavoro. Assemblea. Studio. Lavoro. Vita sociale. Studio. Lavoro. Suono. Studio. Lavoro. E mi chiedo come possa ancora far piacere mantenere retaggi anni ’70 delle guerriglie urbane tra fascisti e comunisti. Diosanto che coglioni.

2. Controlled stream of consciousness.

Ma soprattutto mi chiedo continuamente qual è il senso di questa protesta, se lo Stato è nostro perché lo siamo noi, non di certo di un qualsivoglia psiconano o un qualsivoglia partito, e abbiamo tutto il diritto di esercitare democrazia diretta ogni volta che ce n’è bisogno.

Invece no, siamo tutti timorosi anziché essere facinorosi, siamo tutti un branco di automi imbelli che si sono fatti accocchiare insieme senza mai essersi cagati manco di pezza da un manipolo di assetati di potere che, giusto per formalità, hanno mandato in gloria un migliaio di pezzenti che a malapena sapevano perché erano a Quarto.

3. Convallaria.

Resistenza. Ci vuole resistenza. Alla storia (per gli altri) e al tempo (per me). Per quanto riguarda me, riesco a ritagliare piccoli piacevoli momenti in cui riesco a godere di piccoli piacevoli piaceri. Un nuovo lettone in cui affondare. Svegliarmi al mattino insinuandomi tra i serpenti di Medusa, e lasciare che i suoi grandi occhi mi pietrifichino. Una cioccolata calda, o latte bollente in cui sciogliere il miele. Un bicchiere di Porto. Una pannocchia imburrata. Il libro di sarmizegetusa che mi fa venire una voglia matta di recuperare quello che ho perso della mia adolescenza. Cincischiare sotto la doccia calda. Poggiare i piedi nudi sopra un tappetone morbido. Ritrovare in una vecchia scatola le scarpe che ho sempre adorato.

E qualcos’altro giù di lì.

At last. At first.

Sempre con rispetto.
Mai con rispetto.

Immerso nel plasma amorfo delle possibilità.
Disperso nell’inconcludenza.

Senza remore.
Pronto al ripensamento.

Ricordo che, a volte, si scivolava via senza pensare, lasciando che tutto fluisse dolcemente lungo la catena infinita di eventi e possibilità. Ed eravamo, forse, proprio noi stessi infiniti, in qualche modo.

Poi qualcosa, da qualche parte, è andato storto. Prendendosi ferocemente a botte con cos’era, invece, rimasto fermo.

Es muss sein.

平成20年.

Se così fossero, farei scoppiare duemilacinquecentocinquantadue bolle di sapone, toccandole, una per una, con le dita ormai rugose. Se fossero invece granelli di polvere, ce ne sarebbero duemilasettecentosessantuno, e una scopata li spazzerebbe via. O forse sarebbero quattromilasettecentocinque pezzi da 23, e con gran calma dovrei spostarli via pezzo per pezzo.

Ma se trovassi, invece, solo millequattrocentotrenta grammi di trielina sarebbe, dopotutto, la stessa cosa. Basta serbarne sette grammi (un piccolo souvenir!), da inalare al momento giusto, così da tener quei sette posti (più o meno 2) liberi, in attesa. Il resto invece lo si lasci pure evaporare, fino a saturare l’aria ed esplodere per colpa dei nostri piccoli fuochi.

Cut below this line.

Trottola imbizzarrita, stanca, disgustata, annoiata, cerca chiavistello per tenere a bada questi fastidiosi pappatacî e lasciarli morir di fame e di inutilità. Offresi in cambio un’antica cittadella fra i monti e un’altra in collina, lontane da questo squallore, dove rifugiarsi. Eventualmente anche soli, ma preferibilmente con una morbida tigre tra le braccia.

Una volta qualcuno mi disse che ero una tigre, e aveva paura che lo aggredissi. Io son sempre stato convinto che mostrarsi timorosi di fronte ad un animale selvatico segni inevitabilmente la tua fine. Guardarlo negli occhi e tentare di affrontarlo è già diverso; magari non ti salverà, magari invece si scoprirà un incontro davvero fortuito.

Erano incerti e incespicanti.
Li ho aggrediti.
Che dovevo fare?

Paura di aver paura.