You do shiver, alas!

Ainsi qu’un débauché pauvre qui baise et mange Le sein martyrisé d’une antique catin, Nous volons au passage un plaisir clandestin Que nous pressons bien fort comme une vieille orange.

(Baudelaire, Les fleurs du mal)

Michele pensa a quale indirizzo dare al suo operato. Uno di quegli scontri delicati tra spleen e ideale, direbbe l’avveduto. L’ideale di un panorama luminoso ed eccitante contro lo spleen di ragazzini con pietroni pronti da lanciare. L’ideale di un’opera splendida contro il mare nero che resiste, e i pescatori di passione e di frodo seduti sullo stesso muretto.

Miky è così buono, ma ti irrita quando ti sottrae al sovrappensiero. Non riconosce il segnale che sappiamo tutti, quello dello sguardo distratto, che fissa nel vuoto in cerca dell’ennesimo pensiero fugace. No, Miky, non voglio parlare. Uno te lo dice chiaramente. Altrimenti ti seguirei nel tuo incedere tergiversante, tu scopriresti il mio sguardo che implora una chiacchiera stupida, e ti inventeresti qualcosa da dirmi per trastullarti nell’inganno del tempo che non passa mai. Invece no. Hai tante cose che premono per ottenere risposta, e tu non sai resistere. E allora, dai, chiedimi qualcosa contro la mia volontà. E tu sarai salvato.

Lino è scoraggiato. Il suo starlight si sta esaurendo e la canna non si muove. La fanno facile i perdigiorno. Stanno lì, buoni, si fumano una sigaretta e guardano l’orizzonte, pensando a tutto e nulla fino all’arrivo dell’alba. Così rilassati, sicuri di sé. Io non sono sicuro. Io devo vivere. E queste lampare venute dal nulla mi faranno morire.

Estemporanea XI.

La cosa che mi da’ più fastidio degli oggetti inanimati è il loro essere totalmente rassegnati alla distruzione. Non muoiono, certo, ma perdono la loro forma in sempre più piccoli frantumi, finché la loro struttura originaria si perde irrimediabilmente ed è come se non esistessero più.

Eppure sappiamo tutti che sono fatti di materia viva, animata.
Atomi che si infervorano, un potenziale enorme di energia ferma lì, immobile.

A volte mi viene da pensare che forse questi oggetti inanimati in realtà un’anima ce l’abbiano, ma semplicemente non sappiano come farcelo sapere, come comunicare.

Il che è ancor più fastidioso.

Voglio dire, è come quando vedi una mosca, magari si è innamorata di te, ed è per questo che ti gironzola intorno da mezz’ora. E tu invece, sciaff!, le dai un ceffone letale sulla collottola. Perché c’è una piccola incomprensione, dal tuo punto di vista quella mosca sta ronzando ad alta voce il suo desiderio di essere spiaccicata.

Oppure, in realtà, sono così abituati al mondo che gli si muove intorno (e dentro) da non accorgersi di nulla: non distinguono il pericolo, il dolore, l’attenzione, la solitudine, l’autocoscienza.

Oppure, ancora, sono così incanalate nei sistemi crudeli di Madre Natura da rendersi conto che la loro vita o la loro morte è personalmente indifferente e socialmente utile. E in questo caso sarebbero proprio da invidiare. Voglio dire, magari ci rassegnassimo anche noi così bene all’idea del nulla post-mortem.

Comunque.

Oggi sei una cozza al mercato ittico.
Sei caduta dalla cassa che faceva viaggiare la tua inutilità insieme ad altre simili.

Ovviamente non lo sai, ma potresti essere anche contenta di esser sfuggita alla solita sorte. Cotta, condita con un po’ di pepe, olio e limone, poi succhiata, ingerita, digerita, espulsa insieme ad altri escrementi. La fine di una cozza qualsiasi, insomma.

E invece no, la tua inutilità ti porta a restar lì, ignara. La tua scorza resiste incredibilmente al bimbo di 3 anni che ti cammina sopra per caso, e persino a quello di 5 che ti calpesta intenzionalmente perché ‘sta cosa nera non sa manco cos’è, la mamma prende solo meloncini dolci e non condivide questi gusti marinari di bassa lega.

Poi il camion che ti ha rubata al mare e ti ha portata fin qui fa una manovra.

Una manovra disattenta, non c’è che dire.

Ma la tua deliziosa forma nera diventa un misto spiaccicato e informe.
E non avrai neanche la soddisfazione di sentirti dire stasera “mo’, so’ bbune ‘sti cozze!”.
Fine di una cozza qualsiasi, insomma.

Vento dolce.

So long I’ve betrayed memories and jokes, and time was so spleening. Three by three I saw strange creatures passing by with cruelly sad eyes, and space began to shrink along my sides and grow in front of me. And I still know that you can go ahead, as you don’t deserve the naught of who surrenders.

I remember when you knocked. I was lonely, and floating, over moving satin. I touched you, and you caressed my little soul. I stared at you, and you moved around, making me spin, enjoying the centrifugal force, suffering for the centripetal constrain. I remember when you knocked. Again. And everything around me exploded, with bright lightnings and stars.

And I keep walking along this sweet tale,
while the narrator ties up the veil
and drags me along.