Ainsi qu’un débauché pauvre qui baise et mange Le sein martyrisé d’une antique catin, Nous volons au passage un plaisir clandestin Que nous pressons bien fort comme une vieille orange.
(Baudelaire, Les fleurs du mal)
Michele pensa a quale indirizzo dare al suo operato. Uno di quegli scontri delicati tra spleen e ideale, direbbe l’avveduto. L’ideale di un panorama luminoso ed eccitante contro lo spleen di ragazzini con pietroni pronti da lanciare. L’ideale di un’opera splendida contro il mare nero che resiste, e i pescatori di passione e di frodo seduti sullo stesso muretto.
Miky è così buono, ma ti irrita quando ti sottrae al sovrappensiero. Non riconosce il segnale che sappiamo tutti, quello dello sguardo distratto, che fissa nel vuoto in cerca dell’ennesimo pensiero fugace. No, Miky, non voglio parlare. Uno te lo dice chiaramente. Altrimenti ti seguirei nel tuo incedere tergiversante, tu scopriresti il mio sguardo che implora una chiacchiera stupida, e ti inventeresti qualcosa da dirmi per trastullarti nell’inganno del tempo che non passa mai. Invece no. Hai tante cose che premono per ottenere risposta, e tu non sai resistere. E allora, dai, chiedimi qualcosa contro la mia volontà. E tu sarai salvato.
Lino è scoraggiato. Il suo starlight si sta esaurendo e la canna non si muove. La fanno facile i perdigiorno. Stanno lì, buoni, si fumano una sigaretta e guardano l’orizzonte, pensando a tutto e nulla fino all’arrivo dell’alba. Così rilassati, sicuri di sé. Io non sono sicuro. Io devo vivere. E queste lampare venute dal nulla mi faranno morire.