Я не могу чувствовать вас.

Narra la leggenda che Michelangelo, una volta completato il suo Mosè, rimase così stupito dal realismo e dalla bellezza del suo creato che, percuotendone il ginocchio con un martello, esclamò: «Perché non parli?».

Protagonisti immobili, freddi.
Coreghi in religioso silenzio.
Movimenti impossibili,
veli di magma e aure irreali.
Figure così distanti. Tocco così greve.

Le statue di cera dei Madame Tussauds sono spesso apprezzate per il realismo estremo che le caratterizzano agli occhi dello spettatore. A tratti surreale. Non so se questo sia vero, nella tre giorni di Londra verificarlo sarebbe stato impossibile. Prendiamolo per assunto.

Nous avions vécu les périodes des mémoires, ora spesse e piene di crepe. Stipate per far spazio ai nuovi arrivi. Sempre più nuovi, sempre più retrivi. Solidificanti quanto basta, si avvicinano alle fondamenta di questa impalcatura e ne danno forma e spessore. Piccola stabilità a piccoli passi. Piccole difese per piccoli fari. Piccoli amori per piccole voglie.

E se riaprissi quel libro?
O se ne aprissi un altro?
Magari più piccolo, meno dispendioso.
Che già non hai tempo per te,
figurati per la lettura.

Cosa troveresti?

私は愛することができない。

A funny drum and a groovy bass.

Bolle di sapone. Aleggiano luccicando in mille tenui colori. Attratto, ti azzardi a sfiorarle e – pop! – svaporano. Ma cosa sarà mai, in fondo, quando fra le mani hai una piccola biglia, calda e luminescente, dai riflessi carichi di verde, poi viola, poi porpora, vinaccia e blu oltremare?

E alla fine questo continuo giocare sfianca, è vero. Ma continueresti ancora a toglier tempo al tempo, o cercheresti il modo di fermarlo o allungarlo all’infinito, ancora una volta. Rinunceresti a tutto il resto, anche solo per un’ultima deroga, un’ultima tregua.

Poi c’è il tempo delle forme. Per l’ennesima volta mi hanno detto che la forma precede il contenuto. Ormai come dargli più torto? Solo che ora sono io ad esibirmi a ridicolo argomentatore, e forse davvero è utile, forse non vorrei.

E infine c’è il tempo della pioggia. Oh, pioggia, dopo tante invocazioni finalmente hai avuto il tuo grand retour de grande classe! Beh, se l’avessi fatto domani, magari, sarebbe stato un tantino meglio. Ma fa niente, fa niente. Sei stata, ancora una volta, un piacevole imprevisto. E prendete nota, dannati meteopatici, noi siamo il vostro contrario.

Ma scoppio tutte le bolle di sapone quando meno te l’aspetti, ti rubo la biglia dalle mani e la lancio ad anni-luce da qui, ti nascondo il tempo e sembrerà che sia volato troppo in fretta, ti impongo un contenuto che non potrai più forgiare.

E la pioggia?
La pioggia laverà via il tuo splendore.
E io continuerò a cercare quel puntino luminoso laggiù.
Sì, sempre quello. Non cambia mai, ma è sempre bene così.

Cenere.

Modernariato.

Cosa succederebbe se esplodesse proprio ora?

Farebbe più o meno male di un’eiaculazione? O di una ginocchiata nel ventre? O un bacio? O forse sarebbe solo un fastidio, un continuo punzecchiare per vietarti il piacere del riposo notturno? O, al contrario, un inarrestabile indebolimento soporifero?

Chissà allora quali odori si sarebbe capaci di sentire. Quali profumi, quali sapori. Chissà se la realtà ti apparirebbe con occhi nuovi o con gli stessi. Chissà se ci si libererebbe del fardello ingombrante delle priorità e della commiserazione, o se invece sarebbe solo un’altra maschera pronta ad aggiungersi a quella di oggi, che a sua volta ne sovrasta un’altra, e così via. Magari all’infinito.

Magari per sempre.

Dov’è la mia coperta?
Difendersi da un vento gelido.
Prima che anche il cuore raggeli.

Ho rifatto il letto al meglio.

E mentre queste cinque punte si sciolgono nella saliva, nella birra mista al vino e dio sa cos’altro, nelle spinte e nelle note più sbagliate, mi prende un attacco di fame nervosa. Dove andiamo? Andiamo al panemmerda del parco. A qualcosa sarà pur servita quella testa vuota, nelle innumerevoli serate in cui, non avendo nulla di cui spartire, o si scopava o si mangiava. Un anno all’ingrasso, in sostanza.

Birds flying high, you know how I feel,
sun in the sky, you know how I feel,
reeds driftin on by, you know how I feel,
It’s a new dawn, it’s a new day, it’s a new life for me,
And I’m feeling good.

(Nina Simone, Feeling Good)

Eppure in qualche modo, tornando su quelle strade che, in realtà, mi riprometto ogni volta di non ripercorrere più, improvvisamete, per un attimo, mi sono mancati quei momenti in cui le vedevo brulicare di strana vita alle 5 di mattina, trascinato in quei rituali morfeistici assurdi che però in qualche modo sapevano farmi star bene.

Stringere la tua mano fredda e guardarti negli occhi spenti.
Eppure.
Eppure cercavo calore.
Cos’ho fatto.

Estemporanea V.

Io ammiro Oliviero Toscani.

Dico. Bello questo viso.
Con questo sorriso così luccicoso e inquietante.

Sembra che ti voglia dire chiaramente: se tu stai male ci penso io, la bella sanità. C’ho trent’anni e non sembra. No, non perché sembra che ne abbia 36, idiota. Ma non vedi come sono tutta scintillosa? Tu affidati a me, sennò so’ cazzi tua. E non ti preoccupare se hai prenotato a settembre una visita per dicembre. Tanto lo sappiamo che non è urgente, anzi. Perché io funziono a dovere. Scarseggiano le risorse, noi le ottimizziamo per dar precedenza ai casi più importanti. Certo, a volte mi vengono a dire che hanno aspettato 12 ore in sala d’attesa. Ma, ragazzi, ce lo siamo dimenticato il buon Malthus? Siamo troppi. Gli Illuminati l’hanno capito già da tempo, e insieme a loro provvediamo tutti al vostro globale benessere.

Una cosa del genere.

Io ammiro Oliviero Toscani.
È riuscito ancora una volta a prender per il culo i suoi committenti.

Tourette’s.

Mezzanotte. Squillo. Recall. Oh, calma. Ciao! 23 minuti. Massì, il fiaschetto lo festeggio oggi sai? Ma ciao! Grazie. Buona ‘sta guantiera eh? Che palle. Minchia che mostro ‘sto notebook. Notepad? Che palle. Buoni ‘sti pasticcini. E ‘sti panzerottini. Addio 46, alas. Lingua contro lingua. Ma che bella sorpresa! Ah, ma che brutta notizia. E tu come stai? Come stai ora? E io? Mi manchi. E voi chi siete? Massì, beviamo. Beviamo alla nostra salute. Saremo sempre noi? Sempre? Non ci sarà null’altro. Tu, quindi, presenza virtuale, svanisci. Questa lingua appartiene ad altri denti. Mille altri denti, che si sciolgono nell’acidoscioglilibido. Essì, posso provarci, ma tanto. Sì, beviamo ancora. Sono a quota 69, a farlo apposta non ci sarei riuscito. Vi amo. Vi amo tutti. Eppure non vi scoperei mai.

Come, play my game. Inhale, inhale, you’re the victim.
Come, play my game. Exhale, exhale, exhale.

(Prodigy, Smack My Bitch Up)

Ok basta, fermati qui. Sono Pixie, il folletto dispettoso. E ho deciso che la mia cattiva azione quotidiana sarà impossessarmi del tuo blogghiccio del cazzo quando meno te l’aspetti. Perché parli sempre complicato, tu. E invece è tutto così semplice: ieri era il tuo compleanno e per la prima volta ti sei sentito esaltato dall’inizio alla fine. Come mai? Sarà davvero quel ridicolo ricordo del compleanno di quella povera sfigata di ormai troppo tempo addietro a renderti così gioioso? O sarà l’idea di sentirti più libero? Di non dover dipendere dalle attenzioni di nessuno? Ma insomma, cosa credi che succederà? Si starà davvero evolvendo qualcosa? O qualcosa non cambierà mai?

I lost the comfort of being sad.

(Nirvana, Frances Farmer will have her revenge on Seattle)

Non lo sai. Ma forse domattina ti sveglierai con un malditesta felice.
Pur senza sorprese, tutto viene, manco a farlo apposta, così dolce.

Dimentica tutto il resto.
Lasciati abbracciare un’ultima volta.

Ti amo.

Di/ver/s/amente/abile.

Insofferenza. Singulto.

Perché è solo una piccola goccia che cade in un piccolo lago immobile, viscoso. Le onde si propagano lentamente. Poi, di nuovo, l’immoto. Quando si può si ingaggia una persona affinché si prodighi a raccoglier gocce prima che giungano alla superficie. Raccoltene un congruo numero, le riversa a terra e ricomincia.

Ma a volte non ne basta una. Le gocce son tante, a volte troppe, non si fa in tempo a prenderne una che dall’altra parte ne son già cadute due. Così c’è chi ne ingaggia tante, e tante ancora. A volte continuano a sfuggir gocce, o traboccano dalle bacinelle, ma va bene così. Tutto confluisce comunque nelle acque tranquille del lago, sì, ma in un modo così dolce, ovattato. Quasi indolore.

Altre volte, invece,
inspiegabilmente,
qualcuno piscia sul lago.

È questo, credo, quello che chiamiamo delusione.

Del metano che viene dall’ano del mio amico africano che mi pare un po’ strano ma mi da’ una mano.

Allora.

Qui c’è un problema grave. C’è una congiura in atto nei miei confronti. E vabbè, direte voi, fosse la prima volta. Però il problema è che ora i soggetti sono cambiati, dopodiché si sono associati coi precedenti, infine si sono moltiplicati, e diciamo che nel complesso la cosa mi ha leggermente preoccupato.

Signori. Stiamo parlando di un esercito di devastatori di commenti. Stiamo parlando in un lungo flash mob che ha prodotto in pochi giorni un numero spropositato di messaggi. Una tortura neanche troppo lenta ma inesorabile verso il traguardo. E io, per un puro giuoco dilettuoso, avevo fomentato ulteriormente la foll[i]a con questo commento.

Però, dico.
Questa organizzazione criminale è stata capace di arrivare a questo, tramite la sua altrettanto criminale rappresentante (che si può riconoscere dall’ardore e soprattutto il sadico piacere con cui ha promosso il raggiungimento di appena 200 commenti), in associazione con un altro complottista della vecchia guardia che si era appena limitato a lasciare una postilla in un commento.

Insomma, le future generazioni non lo vedranno (neanche quelle un po’ più prossime, perché entro venerdì mattina sarà sparito), ma godetevi pure questo header glitteroso e la mia volontaria umiliazione.

Nel frattempo vorrei ricordarvi che quel in quel post, prima del complotto infame, si stavano stabilendo alcuni dettagli piuttosto interessanti in merito alla tappa a Milano.

Ricapitolando:

  • Prima, massimo seconda settimana di dicembre;
  • Premettendo che ovviamente si sarebbe disponibili a tappe extra: treno dell’ammore terrone che parte da Lecce, si appropinqua in quel di Bari dopo adeguato avvinazzamento, per poi andar di TrenOK insonne verso Roma, aspettando DorianRiver (a meno che non agguanti lo stesso nostro treno) e visitando i vari caciaroni romani, di cui alcuni si spera che saliranno con noi su a Milàn, dopo altrettanto adeguato avvinazzamento e, tempo permettendo, piazzamento di lucchetto glitter preparato appositamente dalla subdola in onore dell’iniziativa;
  • Ad attenderci, altri numerosi caciaroni milanesi, a partire dalla Gnama che provvederà ad un ancora non ben definito comitato di accoglienza (ma sappi che mi fido, cara), e ovviamente altri ubriaconi molesti a seguire;
  • I gadget costano, al massimo venitevene vestiti tutti color rosa shocking per l’occasione (un po’ come le serate a tema del Perverse);
  • Però il cioccolato dev’essere invece un indispensabile leit-motiv di queste non-so-quante giornate, possibilmente accompagnate da rum (ennò perché quel messaggio mi è rimasto qui, Ipse, mi è rimasto qui!);
  • Io non so voi ma scrocco volentieri il posticino letto degl’Ipse, visto che si sono offerti così prodigatoriamente, e anche perché dormir curvo può essere un’esperienza interessante;
  • Le salentine portano olio, noi portiamo pane di Altamura, il partenopeo… buh… qualcosa che non si sfracelli come successe con i babà allo strega qualche anno fa, e ovviamente i milanesi dovranno provvedere con un (per me ignoto) vino lombardo, perché questo oltre ad essere il BloggerTour è anche e soprattutto un AvvinazzamentoMangereccioTour;
  • Varie ed eventuali.

In ogni caso vi adoro. Nonostante tutto.
E non sapete quali dolci parole vorrebbero svolazzare dalle mie labbra contrite.

Wherever the sun arises.

E poi arrivò il giorno in cui spegnesti tutte le luci della stanza per poter fissare quella labile e intensa di quel nuovo sorriso. E vorresti guardarlo per tutta la notte, aspettando che anche l’ultimo raggio di vita si spenga nel ciclico piccolo e dolce coma.

Sono sempre le stesse mani, quelle che riscopri nuove e piacevoli. Sono sempre gli stessi occhi, quelli che cerchi di rubare ai riflessi dello specchio. Ma è vero, parlano. Puoi leggere interi racconti di vite viste, a volte vissute, di squarci e di semplici raschi, di sentimenti e sensazioni. Di altre mani e altri occhi.

Non ti eri mai accorto che passerebbe tutta la sua vita con te, condividendo la sua intimità più profonda, cercando continuamente un compromesso in ragione di un equilibrio importante. Non ti eri mai accorto che ti ama incondizionatamente, che non tradirà mai la tua fiducia. E la tua fiducia arriva da sé, forte e stabile, rende inutile la gelosia e questo non è mai un problema. Costantemente felice della tua sola presenza, non se ne stanca mai, la cerca e la trova in ogni notte, rigirandosi languidamente tra le lenzuola, rubando silenziosamente altri cinque minuti alla sveglia.

Sigaretta al profumo di pescanoce.

Primeiro as senhoras.

Sono una nuvola, che scivola leggera sospinta da venti ora impetuosi ora così delicati. Sospeso così in alto da poterti comprendere nell’insieme, contemporaneamente scorgere i dettagli, e guardare con stupore i movimenti sinuosi dei tuoi confini. I tuoi limiti. Sei troppo lontana, ormai, perché possa riconoscere quei dettagli che mi distinguano dalle altre. Tante piccole nuvole si uniscono per caso, o per fortuita coincidenza, lungo la strada, sembrando una grande, lunghissima filare. A volte mi scontro, esplode il mio tuono roboante, le mie lacrime bagnano il tuo viso, sciolgono la tua maschera leggera.

Sono un treno. Lo ero già, non lo sono diventato di nuovo. Ma mi son ritrovato fermo alla stazione più inutile, proprio quando invece avrei dovuto correre ancor di più, verso la fermata più dolce. O al capolinea. Chissà se arriverà mai il capolinea. Di certo, una volta arrivato, non tornerò più indietro. E ho bisogno di correre, correre ancora.

A volte mi chiedo se mi penserai. O se mi pensi. O piuttosto mi cercherai. Mi chiedo se capirai tutto questo, e se sarà troppo tardi o troppo presto. Mi chiedo cosa farai, se sceglierai o ti nasconderai, se sarai felice o perennemente inquieta, se sarai qui o te ne sarai andata. Se ti raggiungerei ancora, se ti troverei cambiata, o se ancora una volta scoprirei che è la solita stupida trovata.

Perché ieri mi hanno raccontato per l’ennesima volta di una storia iniziata così bene e finita così male.
E avrei voluto piangere. E urlarvi contro tutto il mio disprezzo per la delusione di cui vi rendo tuttora colpevoli. Complici. Correi.

Mi spie[ghe]rai?
Davvero, lo farai?