Pseudoadolescenziale.

Mi sono innamorata di te fin dal primo giorno. Ho sempre adorato il tuo modo di essere così sempliciotto, così tenero, quel particolare che ti rende una persona speciale, cara più di ogni altra. Voglio dire… non sei famoso, non sei figo come quel bonazzo da sturbo della D, non sei neanche ricco e giri con un Ciao scoppiettante, mentre i tuoi compagni di classe hanno le city car decappottabili con certi subwoofer sulle cui vibrazioni mi poggerei volentieri.

Però mi fai impazzire, non so perché.

Peccato che non mi caghi.
Non mi fili manco per idea.

Se mi mettessi nuda davanti a te e ti implorassi in ginocchio di considerarmi, probabilmente mi passeresti sopra con quel cazzo di Ciao come se fossi trasparente. Un T-1000 dovevo diventare! Almeno non mi avresti crepato la costola l’altra volta in palestra.

Allora ho chiamato Gennaro D’Auria per vedere che si poteva fare… Ma lui, oltre a dirmi che avrei dovuto invocare Cicciput per una settimana fra un’Ave Maria e l’altro, mi ha propinato una di quelle sue tutine d’acetato tamarrissime dicendo che porta molta fortuna indossare gli umori del Mago. Ho dovuto nascondermi per una settimana, altrimenti mi avrebbero preso per un’eco-terrorista carica di bombe a gas nervino. E non ho risolto un bel niente.

Ma la cosa che mi fa più incazzare è che non ti accorgi di nulla.

Mi sono truccata, ho fatto manicure e pedicure due volte alla settimana, ho provato tutte le acconciature che il mio parrucchiere fosse in grado di immaginare, mi sono fatta bella e mi son ridotta in poltiglia, ho partecipato alle tue stesse manifestazioni, mi sono fumata una canna e ho asfaltato per tutta la sera, mi sono iscritta al Partito Marxista-Leninista d’Italia per vederti a quelle riunioni di comunisti nostalgici… e tu che fai? Non-mi-guar-di.

E poi, ciliegina sulla torta, dopo che ho passato mesi a rifiutare proposte decenti e indecenti di certi stalloni che mi avrebbero fatto dimenticare tutti i cuoricini e i TAT che scrivo nei compiti di Greco… che fai tu? Ti metti con quel cesso.

Ma vaffanculo va.
Tu e quella Ideal Standard che ti porti sotto braccio.

Groucho “Στρεψιάδης” Marx dicavit.

«Dormi, se puoi. O svegliati, se vuoi. Hai una tazza di caffè per scegliere di svegliarti, o un bicchiere di vino per lasciarti dormire».

Aprì gli occhi respirando a pieno l’odore della pioggia d’estate. Fa sempre una strana impressione la pioggia, d’estate. Forse perché arriva, così calda e odorosa, così rinfrescante e piacevolmente imprevista, solo per mostrare quanto in verità sia da stolti cullarsi nel calore estivo, sperando che possa durare per sempre, quando invece è così effimero e di durata finita. Piccola legge incontrovertibile.

«E non temerai di venir folgorato, perché sai bene di essere tu la folgore».

E allora, in fondo, era anche normale che sentisse addosso un po’ di malinconia. Quella sensazione a metà. Quella dolce tristezza in cui è piacevole, a volte, cullarsi. Quasi-rassegnazione ad un desiderio inappagato perché inappagabile.

Spesso, poi, alla malinconia si aggiunge la tendenza ad insinuare, giusto per un istante, il dubbio anche su ovvietà. Come: "è" si scrive con l’accento grave o acuto? Grave, diamine, che dubiti? No, niente, fai finta che abbia detto nulla e grazie per tutto il pesce.

In queste situazioni, dunque, si dovrebbe ascoltare questa canzone.

Dormi, dormi.

Al buio, s’accendono pupille, attorno si dilatano, si posano, rimangono nell’ombra. E aspettano.

Al buio, sepolte ancora vive branchie che si affannano, han denti di falena, ma nell’ombra… si spengono.

Al buio, nel vuoto di vertigine anche l’ovvio è in bilico, la notte ha un occhio solo appeso in ombra, finché avrà un’ombra di sobrietà.

No, buio! Per altri è già mattino, per me è cielo capovolto, il sogno dorme a riva, aspetta l’onda, aspetta l’ombra, e canta l’ombra, e poi nell’ombra… ritornerà.

(Quintorigo, Illune)

Ils n’ont pas compris.

Benché curioso e difficile da immaginare, sembrerebbe che una tigre e un leprotto siano capaci di equilibrare le loro diverse masse grazie ad un’affannosa ricerca di contropesi.

Succede così in questo piccolo mondo perfetto, dove un po’ tutto vive in un costante equilibrio precario.

Va bene così, insomma.

È dunque comprensibile immaginare che ogni scombussolamento possa creare una serie di reazioni a catena, la cui conseguenza sarebbe, fra l’altre, un’ovvia frustrante e futile autocommiserazione. Che può risalire lungo uno di diversi percorsi possibili, come quello delle sensazioni perdute. A partire dallo sforzarsi inumanamente nel disperato tentativo di ricordare "cosa c’era lì anni fa" fino a giungere a flashback istantanei ricchi di odori e sapori che credevi perduti col passare del tempo. Col passare di estate in estate.

Sono, questi, ricordi che a distanza di anni danno, senza in realtà un vero motivo, sonore botte di autostima e consolazione. E ci vuole un po’ di consolazione. Consolazione che sembra un bicchiere di te’ freddo da sorseggiare avidamente proprio in quei giorni in cui il caldo diventa intollerabile.

Terapia.

Destination unknown-kn-known-kn-known-kn-known.

A parte la lista di culi, Crystal Waters è sempre stata un’ottima fonte di canzoni starter. Quindi ben venga qualsiasi variante Gaudiniana.

Ma non potranno mai soppiantare The Weekend. Ho passato troppe ore a guardare e riguardare quel movimento del ginocchio per potermelo dimenticare.

Se vi chiedete dove sia, cercatemi in una campagna lontana da tutto, dove avrò ritagliato sedici metri quadri di terra battuta fra gli ulivi. Ho tutto quello che mi serve. Decine di candele delimitano sacralmente la zona fra il mio spazio e il mondo esterno. Al centro un cesto pieno di vodka-lemon (facciamo Vodka-Cola?). Il pianeta Eldorado con i suoi tre satelliti: una ciotola di arachidi, una di sigarette e una di accendini.

E poi, soprattutto, quattro casse da 45W. Sono lì, pronte per vibrare al suono della bassline. No, forse 45W non bastano neanche per cortinare questa minuscola Memphis Mafia (davvero minuscola, essendo sostanzialmente una reductio ad unum), ma sapremo accontentarci.

Poi vado qualche decina di metri più in là, dove il generatore silenziosamente fa il suo lavoro.

È tutto pronto.

Inizia una grancassa.

Chiudo gli occhi.
Three-four, pum-pum-pum-pum.

Per tutta la notte,
piedi nudi su un tappeto di stuoie.

E in quel momento non c’è più nulla. Non ci sono parole prive di significato che scivolano docili lungo l’esoscheletro, né quelle che irritano, né quelle che bruciano e straziano. Non ci sono piccole delusioni, né squilli, né 500 ignoti da presentare, né cose da fare, né persone da intrattenere, né ricordi, né decisioni, né ripensamenti, né ipotesi, né assurdità. Tutto si concentra nella musica che ho scelto io, nell’ordine che ho deciso io, che si trasforma nel modo che più mi piace in gesti nei miei arti e immagini nei miei occhi.

Col giusto volume a stecca che può farmi sopravvivere.

Off-Topic » http://evone.extra.hu/files/love.swf. Thanks to Miss Guendalina Beefheart.