Volevo parlare. Ma non riuscivo.
Sentivo i loro sguardi addosso.
Coincidenza volle, però, che si presentassero proprio in quel momento sette figure. Una era Socrate, che aveva appena ingerito la cicuta. Poi c’era Nietzsche, che si stava rannicchiando in seno a Schopenhauer che lo accarezzava dolcemente. Seduta in mezzo alla folla si poteva scorgere Moana Pozzi, che non è quella che pensate, bensì la titolare della Manifattura Moana Pozzi scarl. Voltai lo sguardo e vidi anche uno strano animale aggrapparsi sul muretto con i suoi zoccoli, e affacciarsi con le sue tre teste. Ha un non so che di familiare, ma non riesco a ricordar bene chi sia (anzi, chi siano).
Improvvisamente sentii un’euforia nascere dal punto più interno del ventre e salire, come una sfera d’energia, su per il midollo spinale e scoppiarmi in volto. Tornato cosciente, vidi tutti guardarmi con meraviglia. Guardavo le loro labbra serrate, eppure potevo sentire il loro mormorio. Improvvisamente ero diventato così magnifico.
Fu allora che cominciai a parlare.
Non c’erano parole, la mia bocca era ancora sigillata.
Ma dissi qualcosa del genere.
Cos’è che ci permette di distinguere la dimensione del sogno, dell’immaginario, dalla dimensione del reale?
In sostanza è la coerenza.
Coerenza logica e coerenza temporale.
Per coerenza logica mi riferisco all’aderenza della connessione logico-sequenziale degli avvenimenti a quelle che sono le strutture logiche del nostro intelletto. In altre parole non riconosciamo il sogno come logico in quanto non riusciamo a trovare una connessione logica o causale in ciò che accade.
Il nostro intelletto rifiuta (o piuttosto filtra) quello che abbiamo sognato in quanto non può incasellarlo in una sequenza logica di avvenimenti. Ci turbano infatti i sogni che chiamiamo spesso realistici: questi non sono altro se non quelli che possiamo comprendere meglio in quanto costruiti secondo una sequenza logica di avvenimenti, e che potremmo anche riuscire facilmente a raccontare ad altri e, di conseguenza, memorizzare.
Per coerenza temporale intendo invece la capacità dell’intelletto di collocare temporalmente gli avvenimenti. Chiaramente può anche essere un tempo approssimativo, come il ricordo di "tanti anni fa", o ancora più semplicemente la distinzione fra un passato prossimo e uno remoto.
Questo nel sogno avviene difficilmente, sia in senso relativo (ad esempio fra un episodio e un altro si può passare in pochi minuti dal giorno alla notte e poi di nuovo al giorno) sia in senso assoluto, nel senso che difficilmente riusciremmo a dire a che periodo della propria vita si riferisce quanto sognato (spesso non ricordiamo neanche tanto bene quando ci è capitato di sognare qualcosa).
Ma, alla fine, chi ci dice che sia questa la realtà?
Ovvero, chi ci impedisce di pensare che possa essere, magari, la dimensione del sogno quella "vera", e che in realtà i due mondi difficilmente si incontrano soltanto perché i nostri schemi logici in "questa" realtà sono totalmente differenti rispetto a quelli della realtà del sogno?
In altre parole, chi può negare con certezza che il nostro cervello semplicemente si rifiuti di concepire l’esistenza di un altro mondo dominato da una logica a sé stante, e che in questo mondo conduciamo una vita parallela di cui non siamo sostanzialmente a conoscenza?
Provate ad immaginare.
Se mancasse improvvisamente il requisito della coerenza alla realtà che vedete, ci sembrerebbe di vivere un’unica lunga vita, separata semplicemente da un ciclico coma notturno.
Una volta conobbi una ragazza che non riusciva a distinguere più il sogno dalla realtà. Il fatto è che non riusciva a dormire da mesi, e per questo la sua mente ogni tanto si sforzava di riposare durante la giornata. Spesso le capitava di avere delle piccole allucinazioni. All’inizio le era evidente che fossero delle invenzioni della propria mente, ma a poco a poco le venne inevitabile dubitarne.
Non riusciva più a distinguere il reale dall’irreale.
Perché una percezione del reale ricca di incongruenze non è più realistica.
Non più allucinazioni, ma sferzate alle fondamenta.
Avrebbe potuto decidere di uccidersi e non soffrire il peso della sua decisione.
Sarebbe stata una goccia di incoerenza in un bacino di confusione.
Tutti rimasero ammutoliti.
Non capivano.
Forse cercavano ancora rifugio in quegli schemi così familiari, così rassicuranti.
Perché era così difficile?
Eppure a me sembrava tutto così evidente.
Sentii le mie alucce dare una sferzata nervosa.
– gli schemi sono forzature logico-temporali, non espressioni di coerenza…forse questo sussurerà a breve Schopenauer all’orecchio del piccolo ed impaurito Nietzsche :D
Questa storia inizia a prendermi!
ma sta a scriv nu libr?? ne teniamo già uno di scrittore nella comitiva!!
comunque riguardo le “parole da eliminare”.. quelle due non saranno mai eliminate.. al massimo si cercherà di limitare il loro uso :)
penso di aver bisogno di rileggere un po’ di volte quello che hai scritto, però mi ha colpito il passo sui sogni “realistici”… non credo che sia una coerenza logica o temporale a rendere persistente l’effetto del sogno, ma un qualcosa che riesce a trascendere il sogno e la realtà.. questo per dire che.. forse non sono due mondi separati, ma nel sogno riusciamo a dare spiegazioni vive e tangibili alle nostre fugaci e nascoste sensazioni; nella realtà, ritroviamo, come pietre miliari messe in percorsi labirintici, le tracce di quei sogni…
[Vivere una realtà su binari e capirne il senso da pillola rossa. E’ un parallelismo non euclideo ritrovarsi nella stanza di un’indovina che ha scritto su un muro “Gnosce te ipsum”.. ah maledetta era del computer, hai facilitato tutti i giochi del nostro gnosticismo che ci sfuggono dalle mani…
umilmente fumando il mio narghilè.. ti indico questo percorso…
Remember what the dormouse said: feed/keep your head!!]
cazzo era “nosce”.. ma vabbè..!
Rispondo qui perché in effetti è un’obiezione interessante.
Vorrei spiegarmi meglio su questo punto.
Spesso capita di ricordarsi sogni come un’accozzaglia di sequenze che difficilmente si riesce a ricollegare. Ebbene, spesso e volentieri questo tipo di ricordi svaniscono ben presto nel nulla.
Ci sono invece dei sogni che, essendo riconducibili ad una sorta di trama o, più semplicemente, essendo possibile dar loro una sequenza logico-temporale, sono più facili da raccontare.
Ti è mai capitato di ricordare – in genere – concetti o immagini molto difficili da astrarre associandole semplicemente a delle parole-chiave (o anche oggetti-chiave et similia)? Invece ci sono concetti o sensazioni molto profondi e molto belli che però non si riescono ad esprimere con parole efficaci e pertanto o il loro significato perde forza o si perde e basta.
magari ne riparleremo nel frattempo ti rimando ad un mio vecchio post del 20/05/05…
http://dionisiako.splinder.com/archive/2005-05
perchè uscire dai propri recinti fa sempre paura…e anche solo pensare di avere sbagliato getta i più nel subbuglio totale.
invece c’è sempre da imparare dai sogni, e dal buio degli occhi chiusi.
Non entro nel dettaglio in merito allo scritto (che io collego agli altri e mi faccio l’infilata tipo libro) però volevo chiedere: il titolo di quest post è un omaggio a Doyle?
i miei sogni hanno tutti una trama. a volte preferirei di no.
la realtà invece non ha sempre una trama. cazzo.
Come non detto.
Ho letto il sEgno del coiffer al post del sOgno.
Ah…
Doyle asd :))
la scala.. quello è il quid…
Vorrei vivere la situazione di quella fanciulla, possibilmente senza (de)perire, almeno per un po’… mi è venuto in mente che i miei sogni mancano di trama, prendo per mano personaggi e li lancio contro i muri alla cieca, o comunque non sono in grado di salvarli dalla loro fine orribile e inevitabile, penso di sentirmi in parte responsabile per la loro atroce condizione. Mi è piaciuta la formattazione di questo post…
abs