Fresh old iBook so many things done I could forget you in 2015 Belle è un cagnolone delicato I’ve been to this place once again love you come back so many things thought please feed your head this activity sucks knees I want to call this place home, home, home I miss you I could do this thing tomorrow I must do this thing today wanna be socially correct wannabe too late change that funkin’ strings with fresh new ones play this pay that go-CC-go! plastic Tokyoish movements so many things to do too slow sometimes too quick sometime else but time won’t save our souls «Non hai tu forse fatto a pezzi Raab, non hai trafitto il drago?» I won’t stop smoking I won’t stop talking I won’t stop st-tt-op-to-top-ppp 2046 reasons to look for warmth say hello to our 3 HP Vectra PCs in the new born Crush-lab LAN section, oh ma’ god wot a mess want a reflex want a Warwick want this, want that want nothing primitive lifes in primitive wine sweet kisses in sweet coffee tea + kräuteröl almond tea inspiration Santu Paulu miu di Galatìna, Galàtone, gàlata morente one new pleasing present in the blog, good people for good things. Intento specialistico.
Monthly Archives: December 2006
Roma, mora amor.
Eh no, cara. Bisogna ammetterlo: sei un’oscura vecchia baldracca. Ti sei fatta sedurre, plagiare, violentare e influenzare da tutti quelli che son passati dalle tue parti. Da più di duemila anni. Inaccettabile.
E poi sei troppo grande. Grande? Che dico. Immensa, piuttosto. Non è possibile dover spendere tre giorni interi per non capire che un’infinitesima parte di te.
«Tutta quella città, non se ne vedeva la fine. La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?»
(Alessandro Baricco, Novecento)
Che poi, per quel poco che si riusciva, alla fine sembrava anche possibile conoscerti in fretta. Addirittura, cominciavi a suonare in qualche modo familiare. Però, sinceramente, potrei viverti soltanto se potessi prima massaggiarti i piedi stanchi con gli olii e poi, soprattutto, soffiarti sopra un velo di farina bianchissima che copra e fissi immobili tutte le macchine, tutti gli autobus, tutti i treni della metrò e tutti i tassì.
Il tempo.
E magari, visto che ci siamo, tutti i camerieri sibillini, più quelli avvinazzati, più quelli che ti schiaffavano due pezzi di pizza che grondano olio [avete presente il ciccione che spreme l’olio della pizza dell’amico fifì sulla sua in E alla fine arriva Polly?] sul piatto della bilancia senza carta né altro, altresì definibile con l’espressione "con la scorza e tutto" [avete presente l’HACCP? Ecco, loro no], e poi ti spingevano a mangiarli sul retro, il che faceva molto scena da bettola newyorkese, con tanto di true-american-people che mangiava zitta zitta e mogia mogia come nei film.
La bettola. Potevo dimenticarmene? Il titolare si mostra così soddisfatto nella sua foto insieme a Lino Banfi. Secondo me sarà stato l’averlo ospitato al suo hotel a dare quella svolta penosa alla sua carriera. Il fu Canà, al gelo della stanzetta, mentre l’acqua scorreva già da 10 minuti senza che diventasse quantomeno tiepida, avrà capito che i b-movie trash non pagavano, e quindi era arrivato il momento di cambiar genere. Se è così: grazie Di Rienzo, la tua pensioncina ha strappato al cinema d’altri tempi un fenomeno d’altri tempi.
E comunque i termosifoni potevi pure accenderli prima che mi raffreddassi.
Infame. E pure mortacci tua.
Però il vino de’ li castelli era proprio buono. E anche tu, che ancora una volta hai insaporito e impepato graziosamente questo quadretto agrodolce, dall’inizio alla fine.
RIP, godfather.
Testoni.
Non saprei come descrivere questi due personaggi.
La prima immagine che mi viene in mente è la faccia che mi parò davanti quella famosa volta in cui mi voleva proporre di comprare a società il libro di armonia jazz. E chi se la scorda. Irripetibile. In alternativa c’è quella foto che mise come avatar su MSN che prima o poi dovrò registrare di nascosto e mettere sul suo blog come commento. Non può restar nascosta ancora a lungo.
Per il secondo personaggio sicuramente l’ultima immagine tremendamente esplicativa sarebbe la sua faccia al buio delle lampade UV. Si presentava ogni tanto con un sorriso a 64 denti e gli occhi sgranati, divertito nel vedere le facce angosciate che osservavano questo fenomeno paranormale mezzo luminoso come una lampadina.
Tra l’altro, manco a farlo apposta, proprio quella volta ci intrippammo a vedere l’effetto di queste lampade sulle sigarette (chi l’ha sperimentato sa quale texture particolare si forma, e i più arditi resterebbero a flipparsi sulle venature molto, molto a lungo) e ci siamo ricordati di quando a Ypsos queste lampade abbondavano nei discopub ricchi di tamarri e di quadrature napoletane. Ah, la quadratura napoletana.
Comunque sia siete dei maledetti guastafeste. Ma vi adoro lo stesso.
Ed è per questo che ti odio.
Oggi mi sono ricordato all’improvviso di te.
Di quante cose ho fatto con te, di quanto ti vedevo splendente e lontano, di come ci tenevi a me e volessi vedermi rifulgere in un futuro che si prospettava, salvo qualche scaramuccia, roseo.
Mi son ricordato di quanto correva la mia fantasia, e come a volte mi assecondassi e a volte mi prendessi in giro e mi davi piccoli traumi di bimbo. Mi son ricordato quando ti chiamavo in continuazione. Il due-e-quattordici o, se non c’eri lì, il due-e-diciassette-ma-solo-se-proprio-necessario. Mi son ricordato di quando ti chiamai disperato e subito dopo arrivò lei e mi costrinse ad agganciare mentre si consumava una piccola tragedia. Mi son ricordato tante cose, tutte insieme.
Poi ti ho visto. E mi son ricordato di dieci anni fa. Quando, guardando tuo suocero andar via, mi resi conto che non splendevi più. E all’improvviso, solo in quel momento, mi resi conto che ormai eri vecchio, stanco. E il futuro non si prospettava più così roseo, né pensavi più che mi avresti visto rifulgere.
Ora sei solo un vecchio isterico che straparla, urla e borbotta.
Triste, rassegnato e senza speranze.
Ed è per questo che ti odio.
Virnevera.
Virne continua a masticare foglioline senza odore. Non può sentire odori, a parte il suo, che è quasi impercettibile eppure così stravolgente, come i feromoni. Può sentire i suoni: un accordo in minore per due occhi sfuggiti al riflesso della luce, un accordo in maggiore per un sorriso pulsante.
Virne non può morire, ma continua a combattere per la sua sopravvivenza. Ogni anno, per qualche mese, lotta affinché non giunga Vera. Poi Vera vince e lui le deve lasciare il posto. Si lecca le ferite e si prepara a ricominciare l’anno dopo.
Virne annuncia il suo arrivo con accette che separano il suo predecessore con tagli netti. Alcuni profondi, altri meno, altri ancora delicati, quel che basta per smussare gli angoli. Tutti lo temono, perciò cercano (o si rifugiano nuovamente al) riparo dal suo gelido incedere.
Forza | affinché non | [siano] cose reali/tangibili.
La verità di Virne.
Forze nascoste nascondono debolezze prominenti premiando prostituzioni precotte mentali, mentoniere per menti caduchi e catartici. Catartico: categoria costringente eppure così cataliberatoria. Una serie di kata purificano la memoria. Damnatio memoriae. Non è dimenticanza, ma ibernazione del pensiero. Ibernare l’inverno.
Virne è cosciente del suo potere.
Virne lotta affinché non giunga Vera.
Il disclaimer non serve a niente.
No, non parlerò di Pinochet visto che credo che siano state sprecate fin troppe parole riguardo la sua morte. Non parlerò neanche del fatto che un giorno o l’altro chiuderò il blog a sopresa per un mero gusto personale. Parlerò di qualcosa a cui stavo facendo caso da ieri notte.
C’è questa moda di mettere nel proprio blog un piccolo comunicato in cui si fa presente al lettore che, non essendo aggiornato con periodicità, non può essere considerato una testata giornalistica. Faffigo da morire.
Fantastico.
Ma sti cazzi.
Un blog, per sua natura, non può essere considerato a priori un prodotto editoriale. Chiaramente questa affermazione va presa con le pinze dal momento che, a prescindere, vanno rigorosamente escluse tipologie come le cosiddette e-zine (le riviste on-line), visto che la presentazione di questi contenuti tramite sistemi di blog è solo un modo molto comodo per produrre contenuti editoriali.
A parte questo, sorgono tre semplici considerazioni:
- Chi verrà mai a rompervi i maroni per questo motivo?
- Se anche lo facesse, pensate davvero che un disclaimer potrebbe dissuaderlo?
- Se anche doveste finire vittime di un’azione legale, pensate che non possa essere estremamente evidente, se non in base all’affermazione di cui sopra, quanto meno analizzando le date di pubblicazione dei post, che non è aggiornato con periodicità?
Schiariamoci un po’ le confuse idee rampinando un po’ qua e là (ma sempre citando le fonti, eh).
A cominciare dal sempre utile Wikipedia (traduco per la gioia di grandi e piccini):
Un disclaimer è una dichiarazione che generalmente sancisce che l’entità autrice del disclaimer non è responsabile di un qualcosa in alcuna maniera. I dislcaimer inoltre avvertono il lettore dei rischi in cui si può incorrere. Questo viene fatto, in genere, come una misura di protezione legale; se qualcuno provoca a se stesso un danno nell’usare ciò di cui è oggetto il disclaimer, costui/costei dovrebbe risultare scoraggiato nel cercare un risarcimento tramite azioni legali.
Possiamo quindi dedurre già una prima grande novità: il termine disclaimer è assolutamente inappropriato in questo contesto, dal momento che il lettore non rischia proprio un bel niente.
Passiamo a Fulvia Leopardi, che credo sia una blogstar da quel che ho capito, e comunque sicuramente bazzica nella blogosfera da più tempo di me:
La legge 7 Marzo 2001 n° 62 definisce “le nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali”, inserendo nei nostri blog il disclaimer:
«Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001»
dovremmo a grandi linee metterci al sicuro dall’obbligo di depositare il contenuto dei nostri blog presso il ministero, sempre che non si violi nessuno degli articoli contenuti nel suo testo.
(http://www.fulvialeopardi.it/index.php/2004/07/06/questo-blog-non-e-una-testata-giornalistica/)
Ecco. Pochi in effetti sanno perché ci si tutela dietro questa scritta. Se venisse considerato un prodotto editoriale, dal momento che non è stata seguita una corretta procedura di registrazione, verrebbe considerata stampa clandestina e punita con la reclusione fino a due anni o l’ammenda di (erano) 500mila lire.
In realtà quello che andrebbe indicato nelle pagine è ben’altro, come viene fatto, ad esempio qui: http://www.proloco.net/pro-pantalica/credits.html.
Perché? Ve lo spiega un tal Manlio Cammarata che, scusate, non è mica l’ultimo degli stronzi a giudicare dal suo curriculum. Anzi, direi che in tutto questo marasma di voci sia l’unica autorevole.
[…] secondo la lettera della legge 62/01, i siti che non sono diffusi con periodicità non sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione nel registro della stampa. Basta indicare nome e domicilio dell’autore e del provider che ospita le pagine. Ne consegue che chi vuole sottrarsi all’oneroso – e in molti casi impossibile – adempimento, non deve fare altro che aggiornare le informazioni a intervalli irregolari. Fine.
Questo in effetti solleverebbe un dubbio: è opportuno inserire i propri dati anagrafici, nonché il proprio domicilio, nel blog? La risposta sembrerebbe no, volendoci appellare al diritto, per un autore di contenuti amatoriali, alla privacy (già, la famosa privacy di cui tanto si parla e spesso a sproposito, quella che sarebbe forse più decente definire nuova paranoia dell’uomo occidentale… ma questa è un’altra storia). In ogni caso sappiamo che i dati anagrafici sono a disposizione del provider dei servizi quando ci registriamo per creare il nostro blog, e in ogni caso il nome del provider è reperibile facilmente (beh, voglio dire, nel caso di Splinder c’è tanto di logo all’inizio di qualsiasi pagina).
Insomma, basta con questa buffonata che tanto possiamo dormir tutti tranquilli.
Buona notte.
More than words.
Te l’ho detto così tante volte. E te lo ripeterei ancora, ancora e ancora.
Un odore blu produce rumori di tessuto sintetico che striscia contro il cotone candido. Blu oltremare. Blu con un po’ di violetto. Blu pastello. Blu catodico. Blu. Ma è una sensazione strana. Un po’ come andare a 140 Km/h, ed essere una palla che corre nel vuoto, senza attrito, e continua a scorrere per inerzia.
Quando si visita una città dopo un po’ di tempo ognuno cerca di contribuire all’orientamento generale scavando nei ricordi dei punti di riferimento che possano aiutare. Io sbaglio sistematicamente. Oh beh, certo, qualcosa è cambiato, e le abitudini non son più le stesse. Le sensazioni sì. Il solito velo che si odia per la sua ipocrisia e si ama per la sua dolce ingenuità. E non c’è fretta. Già, non c’è mai fretta. Si può aspettare qualche minuto per sentire sciogliersi una crépe in gola mentre delle corde di nylon fanno da coro a delle corde vocali. Non finisce mai questa canzone, ma vale più di un euro e una sigaretta.
Quando si visita una città dopo un po’ di tempo tutto ti sembra al posto giusto, e al momento giusto. Invece il tempo sembra sempre sbagliato. Continua a correr troppo. Più tempo e più tempo ancora.
Ancora.
Stasera si torna a casa.
Eucalipto/lo. Ovvero: ebbene sì, anche questa sera si recita a soggetto.
Ovvero, ancora: come abbozzare un programma nell’arco della giornata, e vedere gli eventi stravolgerlo piacevolmente con mazzate d’ascia.
Il monte dei pelucchi.
– Oddioguardaquesto!
– Bah non mi piace… guardaquesto!
– Essì però questo musetto cos… madòguardaquestotiprego!
– Dài prendiamolo…
– Ok. Andiamo va’, che dob… noaspettatipregoguardaquesto!
– Che bell… ma che schifo, che roba è sta cosa?!
– Ehm… boh. Però mi piaceva il colore…
– …
– Senti basta prendiamo ‘sta palla di pelo e andiamo via…
L’ultima cena.
– BuonaseraMcDonald’scosadesidera?
– Ehm… guardi… [si gira a destra con sguardo allucinato] vai, oggi facciamo lo schifo! [dalla destra giunge uno sguardo della serie: giàfaischifodituonontibasta?!] prendiamo due menu maxi… uno col McChicken e l’altro col 280gr. [pronunciato con fare soddisfatto e godereccio-maniacale tipo duecentottantagRRòMMi]
– Nient’altro?
– No grazie… [con tono innocente come a voler dire guardicheiosonoadieta]
– Vuolelebustinediketchup&maionese? [notare la & che svirgolettava attraverso l’altoparlante]
– Sì ma solo su un menu… [con tono ultra-innocente]
– Vabenesonododicieuroequalcosapuòaccomodarsiall’uscita!
[I due atttendono il loro turno in macchina]
– Che cerchi? [65 battiti per minuto]
– I soldi… so che ci sono ma non so dove sono…
– Ehm… io ho solo 6 euro… [85 bpm]
– Aspetta che ce li ho…
– Sicura? [98 bpm]
– Mmm… aspetta… merda, li ho lasciati a casa!
– [107 bpm, panico, facciolafiguradimerdaofuggoviameschinamente?]
– E ora?
– Eh… [107 bpm, velocità di crociera]
– Cioè?
– Eh… [107 bpm, idem]
– …
– Vabbè dài, adesso vediamo se magari posso pagare con la carta… [102 bpm, 5 bpm guadagnati di buone speranze]
– E se non l’accetta?
– Eh… [107 bpm]
– …
– Senta, c’è un problema… [107 bpm]
– Midìca!
– Non abbiamo abbastanza soldi contanti, possiamo pagare con carta di credito? [100 bpm, dài, almeno l’ho detto… male che vada son stato onesto]
– Certo!
– Fico! [95 bpm, nuntio nobis gaudium magnum: habemus cartam!]
[…]
– Eccoaleiilmenu [porge una scatola di scarpe con su scritto uno slogan di dubbio gusto che recita più o meno "Take Away / lasciati portar via dal gusto!"] leaugurounabuonaserata!
Ogni cosa è illuminata.
Ingredienti per una serata fantastica. Tappeto di ciniglia. Cuscini. Candele ovunque. Scatoladiscarpe. Lacapagira. Contro il freddo, plaid e il tanto desiderato Olio 31 per i massaggi. Diamine, sento ancora ovunque odore di eucalipto. Anzi. Eucalìptolo.
E poi, ancora, sonnecchiare ignari dello scorrere del tempo, sbucar via all’una e prendere qualcosa di dolce, ma io volevo qualcosa di dolce, eh sì scusa io al tipo gli ho detto proprio "fammi un cocktail molto dolce", ma io volevo la birra, e vabb…ehi quella è la mia!
Ma soprattutto: tu.
E spiegarti che è vero.
E forse tutto questo ne è una naturale conseguenza.