Ehm… perdonami, ma se Cody dice di non essere australiano… cosa dovrei mai andare a pensare?

Probabilmente che Cody non sia mai stato australiano.

Così, quando Bernie ebbe quest’ennesima rivelazione, prese coraggio e decise cosa fare.

«Questa sera sentirò rubini dissolti nell’ambrosia scendere lungo il mio corpo e risalire lungo la schiena, mentre Virgilio mi accompagnerà nel lungo tragitto che porta al sacro parapendìo.»

«Giunto lì griderò con voce piena uno schwa, o una qualche altra vocale dal timbro indistinto, e sputerò fuori un po’ di tristezza (e la tristezza è rabbia repressa, diceva Freud… non male). Dopodiché mi metterò in bilico sul pozzo e non sentirò altro che odori di umido, eco di campanacci e latrati, e scrosciare di flussi d’acqua che si arrovellano l’uno sull’altro.»

«Quando sarò soddisfatto trascinerò il mio Virgilio più in là e ci nasconderemo in una grotta. E poi un’altra. E un’altra ancora. E infine vorremo leggere le trame del cotone e farsene accarezzare dolcemente. E scoprire forme nuove e più primitive.»

Brucia il tabacco nel cilindro di carta velina.
Una sottile scia di fumo denso vola sinuosamente verso l’alto, separandosi in vortici che si sperdono, alla fine del loro tragitto, nell’aria comune. Cody forse avrebbe voluto poter fermare queste idee nella loro prima essenza, senza scottarsi.

O raccoglierle sotto la campana di una lampada.
O frenarle lungo la condensa sul vetro inclinato del parabrezza.

Volevo scrivere solo un commento.

Ma poi mi è piaciuto e allora l’ho chiamato in disparte.

Io: Figliolo, tu sarai un post.
Lui: Davvero papà?
Io: Sì, però non dirlo in giro che son tuo padre, se no dovrò pagare gli alimenti al nonno!
Lui: E chi è il nonno?
Narratore: (fuori campo) Lo sapremo nella prossima puntata!

Perdonatemi, ma i più assidui avranno intuito i motivi di momenti di vago delirio di tal fattura… A proposito, crepi a tutti… e povero lupo!

Ok basta.
Il commento. Sì.
Comincia con un: Ma sì, sì.

È arrivato l’autunno che porta via il caldo, le spiagge assolate e piene di gente, le vacanze d’ogni sorta rigorosamente all’avventura e le avventure d’ogni sorta rigorosamente in vacanza.

E, come ogni volta, si trascina via qualche strascico più o meno importante. A volte, certo, fondamentale.

Allora sinceramente saluto con piacere l’anticamera dell’inverno. I primi maglioni e coperte sotto cui indugiare la mattina o rifugiarsi la sera. Un abbraccio e un bacio sulla punta del naso per riscaldarsi. Bere una cioccolata calda e alitare nella tazza per spanderne i vapori sul viso. Un viso caldo e all’aroma di cacao, e labbra morbide dalle quali leccare le ultime gocce.

E poi, ancora, correre in bilico su un marciapiede di mezzo metro per sfuggire alla pioggia, e tornare a casa per estirpare un po’ d’umidiccio alle robe. E magari, chissà, un bel caminetto davanti al quale potersi sedere, con un Baileys stretto in mano e maglioni extra-large. Due teste su una sola spalla.

Oppure scaldarsi con del vino rigorosamente locale, discorsi che si fanno guidare dal fumo agonizzante delle innumerevoli sigarette, e un giro nei Sassi.

Oggi è il compleanno della mia sorellina.

Vabbè sorellina acquisita.

In ogni caso oggi è il giorno in cui in genere uno si vuole sentire un po’ al centro del mondo. Della serie: tu sei il monumento e il mondo un piccione (EeLST), ma oggi hai giusto 24 ore di rivincita.

Però visto che tanto la mia sorellina non leggerà mai questo post che scrivo a fare di lei? Ok, allora parliamo di me.

Tanto il mio compleanno si sta avvicinando (ebbene sì, io e la mia sorellina siamo due bilancini). E poi oggi è anche il compleanno di Google, quindi se cominciamo con questo andazzo non la finiamo più.

Ho ripreso a usare un cellulare che generalmente non uso quasi più, e ho scoperto che c’erano conservati gli SMS di auguri di due anni fa. C’era chi mi augurava che un anno in più mi portasse un po’ più di sale in zucca, chi mi chiedeva di bere un bicchiere anche per lei, chi non aveva soldi sul cellulare e mi fece gli auguri quasi il giorno dopo, chi addirittura, pur essendoci conosciuti frettolosamente nell’arco di una mezz’oretta di un lontano 14 (o 15?) settembre ad un MTVday, si era ricordata di farmi gli auguri, nonché di ricordarmi la promessa di festeggiarlo insieme un anno di questi. Di lei mi resta un numero di cellulare e il nome sulla rubrica, e il ricordo vago del suo viso e del suo piercing in una foto ormai perduta in bit scritti e sovrascritti.

Quella di questi messaggi fu anche la sera in cui, non ricordo perché, ero giù di morale. Forse non c’era un vero perché, visto che, bene o male, ogni anno nel giorno del mio compleanno mi assale una specie di crisi depressiva. Però mi sono ricordato che quei pochi con cui ero uscito ci rimasero un po’ tutti male, soprattutto u’ frà che, alla fine della sera mi mando un messaggino consolatorio (u’ frà, all’epoca mi chiamavi ancora u’ crì… quante cose son cambiate).

Poi la sera di un anno dopo il tutto andò decisamente meglio: una festa a sorpresa, i soliti (e ben accetti) noti, una cena luculliana appositamente studiata per le mie papille gustative (grazie ad informazioni estirpate con l’inganno! ^^), e chiacchiere e facezie fino a tarda sera.

Chissà quest’anno come sarà.

Vabbè, intanto: auguri Ciu!
Boh, sì, e anche auguri a Google.

Dogs and taranta make me smile.

Bienvenue dans le cirque du rien.

No cash. No fuel. And no more bottles of water. And no sleep. No balls. No balls. No balls. No know-how, then no idea on how tomorrow will go on. And no reasonable reason of nodding for a learning-brand-new-desaparecido.

Everything around me. Nothing for me.

La soundtrack iniziò con Passive Aggressive. Poi arrivò un napoletano un po’ italiano-provincia-di-Foggia e un po’ tutto il resto, che mostrò agli astanti il potere della taranta (beh sì, sono 30 anni che produce musica nova), e in cambio invitò tutti a seguirlo in silenzio. Silenzio non fu, invece. E di conseguenza si finì con un turbine di pensieri che vorticavano e si scontravano alla stessa velocità del sangue di Crest.

Auguratemi in bocca al lupo entro domani alle 9. E di toccarmi i capelli domani e per i prossimi mille anni.

Corto e malriuscito.

Una sigaretta si infrange sull’asfalto in sprazzi di luce che si fanno lanciare in ogni dove per il breve tragitto che le fa ardere fino alla morte.

Una bottiglietta d’acqua. Una reflex. Occhi rossi ai riflessi di uno degli infiniti diversi tramonti. Un sedile. Quella non è più la nostra auto (o comunque non è più la mia auto). Il morso è più maturo. «Non ti sei mosso per risolvere questa situazione, così l’ho fatto io!» «Sono cazzi miei!» «No.». Prendo un muro di legno e lo incastro in un altro muro di cemento, incastrato in un altro muro di indifferenza. Non me la sento, non mi va. Pace. Fretless. Buonasera. Silenzio. Buonanotte.

Mi conservo in una campana d’avorio.

Potty Training.

http://www.youtube.com/watch?v=_6-KrrIbAEs

E ricordatevi che tutti, almeno una volta, avete dovuto affrontare questo problema, quando all’epoca i grandi problemi si riuscivano ad affrontare. Non siate indifferenti.

Si ringrazia il Cattomoderasta per la gentile segnalazione.

Dimenticavo, un saluto ai cari amici di Mai dire Blog che torneranno presto in attività. Spero anche loro con un bel trasloco da queste parti, sarà di certo più divertente.

92 minuti di blackout. 40 secondi di niente.

Il papa parla di nuovo ordine mondiale, di una Chiesa per cui morire, nonché di un’unica e sola vera Ragione.

Previsione apocalittiche affiancano alla prossima morte del Sole il collasso del Sistema Economico Mondiale entro il 2012. Senza contare poi il fatto che rimarremo senza terra a causa del riscaldamento globale, e senza considerare deduzioni che portano a prevedere una futura Terza Guerra Mondiale fra Stati Uniti e Cina, così come altri catastrofici anatemi.

Probabilmente aveva ragione Malthus, siamo troppi rispetto alle risorse, e quindi ben vengano catastrofi naturali e ben-poco-naturali per sfollare un po’ (a meno di accettare come soluzione la castità… stiamo parlando pur sempre di un prelato…).

Io intanto continuo ad aspettare al varco.

Ma alla fine non era questo.

Io sono un treno.

Un treno di centinaia di vagoni. Considerato che ogni vagone di un Eurostar è lungo 26.10m possiamo dire che siamo nell’ordine dei 26.10m x 100 = 2610m = ho fatto 2 chili e mezzo di treno, che faccio lascio?

Sono un treno che procede lento ma vuole andare sempre avanti. E chi aspetta il mio passaggio davanti alla sbarra deve sorbirsi 100 vagoni che passano alla velocità di 20 Km/h. Considerato che 20 Km/h = 5.5 m/s (e si ringrazia Google), 2610m / 5.5 = 474.5s = 7.9 minuti. Vabbè, e ci dobbiamo perdere per 0.1 minuti? E no, allora facciamo 8 minuti. Ce n’è da aspettare, comunque.

A volte si para qualcuno davanti perché vuole suicidarsi sotto di me (a 20 all’ora…), oppure vuol farmi fermare per protesta, oppure vuol rapirmi (rapire un treno? Oh Cowgirl, ti prego, salvami!), oppure vuol salir su per scroccare un passaggio, o semplicemente per assaporare la brezza dell’attrito sul viso (a 20 all’ora… boh).

A volte mi fermo, a volte no. A volte mi fermo, aspetto, riparto. A volte non ci faccio caso e lo spingo via con uno sbuffo di vapore.

Stanotte poi ho fatto un sogno strano (e qui qualcuno potrebbe obiettare che alla fine tutti i sogni son strani). Ero in viaggio. Alloggiavamo in un posto a metà tra un bagno turco, un ospedale e un ostello. Insieme ad amici. Un giorno, in due, decidiamo di far gita in un altro posto. E io mi trasformo in un videogioco. Un tizio che vola giù in picchiata da chissà quale altezza, e deve aggrapparsi a delle specie di aerei aviomorfi. Inutile dire che schiatta sempre al suolo, in un modo o nell’altro (And the dreams in which I’m dying…). Vabbè, alla fine riesce a sopravvivere, e per premio torno in me stesso, atterrato in una zona desolata di questa città sconosciuta. Corro, corro, corro (Cavalca, cavalca, cavalca…). Sono da solo. Non ho modo di chiamarla. Vado in un autosilo, mi vorrei fregare una macchina. Si entra solo con tessera magnetica. Porc… ok, cerco di prendere un pullman. Ce ne sono tantissimi, sotto un grande arco. Vanno tutti a Tokyo. Li perdo tutti. Cerco di tornare al punto dov’ero atterrato, ma ormai è buio e io non so dove sono. Corro, corro, corro, mi sveglio.

Ok, adesso posso anche accarezzarmi i capelli.

Forse sì, non è niente di particolare.
O forse è un pezzo di me che va via e che non riesce a ritornare.
E farsi nuovamente riempire.
O è colpa mia, tout court.

E non sono un bravo attore.
Né mi avvalgo dell’RMA.
Al contrario di quanto sembri.

Ma questo è meglio che non si sappia in giro. No?

Siamo la società dei blog.

Vero.

Solo su Splinder ci sono pressapoco 217mila blog aperti. Ok, alcuni belli, alcuni brutti, alcuni abbandonati, alcuni provvidi di interventi interessanti… ma son comunque una marea.

Pensate in proporzione. Beh, sì, su due piedi è difficile, perciò ve lo dico io in che ordine di grandezza dobbiamo immaginare la blogosfera. Anzi, ve lo dice Technorati: siamo quasi a quota 50 milioni.

Pensate un po’: 50 milioni di soggetti che parlano di sé, o parlano di un tema specifico, o più semplicemente di quello che gli passa per la testa in quel momento. Ci sono blog di persone normali così come di VIPpps, di aspiranti poeti, scrittori o semplicemente blogstar, di tifosi di una squadra di calcio o dell’altra, di persone interessate alla politica, o ad uno sport, o all’associazionismo, o chissà che altro. Certo, perché prima era da fighi farsi un sito, adesso è molto più figo (e facile) farsi un blog.

C’è questa tendenza globale a voler comunicare in qualche modo, a voler parlar di sé ad un esterno composto da chissà quante e quali persone. Spesso usiamo il blog come canale per comunicare un messaggio ad una persona in particolare, a volte in modo esplicito, altre volte in modo velato, quasi codificato, in modo tale che sia solo la persona prescelta (e magari qualcun altro) a capirla. Una sorta di lettera elettronica aperta. Altro che SMS.

Godiamo un po’ nel vedere contatori incrementarsi e spulciare distrattamente le statistiche per scoprire chi ci ha visto. Non per altro, ma perché si sa che spesso sarà anche piacevole rispondergli, e magari trovare un assiduo lettore di un assiduo blog-da-leggere.

Beh, cari blogger, visto che sta società dei magnaccioni è così grande e così piena di belle speranze, dedico a tutti voi questa notte, sia a voi che sarete passati di qui sia a voi che non saprete mai dell’esistenza di questo post.

Un abbraccio.