Nolo aliquam sentire.

Un vento fortissimo cerca in tutti i modi, questa mattina, di portarsi via ogni cosa.

Le amarezze. Le gioie passate che cercano di plagiare il mio volere. Le gioie tarpate. Le indecisioni. I cambi d’umore. Persone irritanti. Persone la cui compagnia ritenevo salutare. O quantomeno piacevole. Gli attriti. Le liti. Le logiche di gruppo. Le logiche dei singoli. La casualità, ossia la divinità che si rivolta contro l’adepto. Le voci, le opinioni, i giudizi. I sorrisi. I baci. Le speranze. Le attese. I chiarimenti. I chiarimenti. I chiarimenti. Le attese.

Il vento però non riesce a portar via il mio mal di testa. Davvero, neanche 20 gocce di Novalgina ci sono riuscite ancora. Me le immagino ancora girovagare nel mio cervello cercando di trovare il cavillo legale opportuno per sfrattare il moroso dal cervello occupato abusivamente. Non so che dire, potrei avere un aneurisma*. Nel caso mi vedrete al Pronto Soccorso tra qualche ora (perché io in questi casi non faccio di testa mia, che si sappia). E loro mi diranno forse che questo mal di testa è dovuto ad un sovraccarico del cervello. Troppi pensieri in testa girano vorticosamente e si scontrano come palline di un flipper sulla via del tilt.

La II rivoluzione mi salverà.

Come on over, and do the twist.
Overdo it and have a fit.
Love you so much, it makes me sick.
Come on over, and shoot the shit.

(Nirvana, Aneurysm, Incesticide, 1992)

Roba da Tinset al posto dell’Aerius.

Questa invece è la storia di una serata che è iniziata bene e finita male.

Iniziata con sguardi diversi (chi entusiasta, chi terrorizzato, chi disgustato) e un cane che scambiava le mani per salsiccioni; finita con sguardi abbacchiati e stanchi.

Iniziata con presagi di sventura; finita con presagi di sventura ancora più forti.

Iniziata con un po’ di soldi in tasca; finita con spicciolame ammaccato.

Iniziata con tanta voglia di stare con le persone care; finita con la stessa voglia.

Iniziata, ora che mi ricordo, con dei CD pieni di foto che vorrei vedere… e finita con nessun CD di questi tra le mie mani!

Che palle! >:(

Una fiaba.

C’era una volta un pastore felice. Era felice perché, sebbene si potessero contare le sue pecore con le dita di una mano, erano pecore speciali, estremamente fedeli.

Un giorno il pastore incontrò un albatro. Questi guardò il suo gregge e disse: – A cosa ti serve guidarli? Ti donerò un paio d’ali, ti insegnerò a volare! Guiderai te stesso, e ti sembrerà di guidare il mondo intero.

Il pastore restò perplesso: era difficile poter immaginare di far qualcosa di diverso e più gratificante di guidare le sue pecore. E le sue pecore che fine avrebbero fatto? Chi avrebbe potuto guidarle?

In più il pastore finì tormentato da altri dubbi. Per esempio, non era convinto del fatto che sarebbe riuscito a percepire gli insegnamenti dell’albatro, né era sicuro se l’albatro l’avrebbe guidato fino alla fine dei suoi giorni, o se invece l’avrebbe abbandonato in volo, con le ali indissolubilmente attaccate dietro la schiena ma senza saperle usare. Come un angelo decaduto.

Allora si rivolse all’albatro e gli chiese di tornare il giorno dopo, perché doveva pensarci su prima di accettare.

L’albatro tornò puntuale appena dopo il tramonto e disse: – Non ti abbandonerei mai per nulla al mondo. Ti ho trovato qui, paralizzato sulla terra, e ti ho visto felice perché sai amare incondizionatamente. Io ti insegnerò a volare, tu mi insegnerai ad amare incondizionatamente, come si ama un figlio. E tu sarai come un figlio per me.

Il pastore era ancora perplesso: era difficile poter pensare di trovare qualcuno che potesse amarlo incondizionatamente come lui faceva con le sue pecore. Di solito o era una pecora o era un leone.

In più il pastore aveva ancora qualche dubbio. Per esempio, e se volare non gli piacesse? E, comunque, dove lo porterebbe l’albatro?

Allora si rivolse all’albatro e gli chiese di tornare il mese dopo, perché doveva pensarci davvero a lungo prima di accettare.

Però la storia finì qui e non si seppe più che decisione prese il pastore.
O se l’albatro tornò davvero il mese successivo.

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Comunque, sì: Toti e Tata dovrebbero tornare insieme.

Se di meve trabàgliti, follia lo ti fa fare.
Lo mar potresti arompere, a venti asemenare,
l’abere d’esto secolo tutto quanto asembrare:
avere me non pòteri a esto monno;
avanti li cavelli m’aritonno.

(Cielo d’Alcamo, Contrasto)

Many time ago I’ve tried to make this poem a nice thing, before losing all the work with a Command-Q.
For both Safari and Me.

I miss the ideas, the words, the persons, the all-night-spending-days, the stress, the policomposed rhythms. I miss the two true looks of a psyche shown together one time, the storm, the water bottles. I also miss quiet, habits, soft hugs, words flowing harmonically nowhere, plans to make sure an uncertain future. And I miss bullshit shoot every two minutes by people talking and talking, till realizing that what we all say is… indeed… nothing.

C’è qualcosa in me che vuole ricominciare. Non daccapo. Altrimenti direi qualcosa tipo: tornerò quello di una volta. Ogni volta che sento una frase del genere rabbrividisco.

È tardi.

Lo spazio è chiuso intorno ad un cancello, ma ai miei occhi chiusi si apre dilatandosi insieme al tempo in modo indefinito, mentre mi dondolo dolcemente su uno strano essere inorganico appoggiato ad un’enorme molla.

Ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare!

Ho visto, grazie alla divinazione del Gran Chicco di Riso Duro, il cibo che verrà servito fra tre giorni.

Ho visto una scalinata riempirsi di piccoli topi con la rapidità della valanga che nel tunnel insegue Rossa e Mister Capra.

Ho visto poi la luna e il mare darsi il solito accordo, ovvero: la luna si sarebbe rimirata negli infiniti occhi del mare, e in cambio gli avrebbe donato la sua tipica pallida e lattea luce per farlo sentir splendido e brillante. Uno scambio tra narcisi, osserverete voi… in realtà, secondo me, un esempio da seguire.

Ho visto Brandon Lee resuscitare e decidere di passare il resto della sua nuova vita immortale (fatta però solo di notti, e notti, e notti ancora), avanti e indietro lungo la sua via prediletta, cercando e aspettando qualcosa di assolutamente ignoto sia a noi che a lui stesso… finché improvvisamente diviene vittima di una trasformazione mimetica. Beh sì. Quando si trasforma non si trasforma mica in Corvo come uno ci si aspetterebbe. Si trasforma in un gatto grigio. Furbo sto Brandon Lee, eh?

E infine…

Vedo gli amici ancora sulla strada,
loro non hanno fretta,
rubano ancora al sonno l’allegria
all’alba un po’ di notte:
e poi la luce, luce che trasforma
il mondo in un giocattolo.

(F. De Andre’, Un ottico)

La Mela di Odessa.

C’era una volta una mela a cavallo di una foglia. Cavalcava, cavalcava, cavalcava… insieme attraversarono il mare: impararono a nuotare!

Arrivati vicino al mare, dove il mondo diventa… mancino, la mela lasciò il suo vecchio vestito e prese l’abito da sposa più rosso. La foglia sorrise (era la prima volta di ogni cosa), riprese la mela in braccio e partirono.

Giunsero in un paese giallo di grano pieno di gente felice, si unirono a quella gente
e scesero cantando fino alla grande piazza; qui altra gente si unì al coro.

– Ma dove siamo? – chiese la mela.
– Se pensi che il mondo sia piatto, allora sei arrivata alla fine del mondo. Se credi che il mondo sia tondo
allora sali, incomincia un girotondo!

E la mela salì… la foglia invece salutò, rientrò nel mare e nessuno la vide più.

Forse per lei il mondo era ancora piatto.

(Area, Crac!, 1975)

Addendum: In Are(A)zione Demetrio Stratos premise agli astanti che, nel lontano 1920, un dadaista di nome Apple rubò una nave tedesca ad Odessa, per portarla in dono ai rivoluzionari russi. Questi ultimi organizzarono una gran festa in cui fecero esplodere la nave. Con i tedeschi dentro.

Forgiven and forgotten.

Stancamente e nervosamente rimuovo dei veli curativi dalla cornea, e mangio come un affamato insieme ad un essere morboso, che in questi giorni è impazzito dalla voglia di rivedermi, e che domani probabilmente impazzirà nuovamente, insieme al suo latore, dalla voglia di rivedere la sua vera dolce metà.

Stancamente e nervosamente ripenso a quanta sabbia sono riuscito a togliere dall’abitacolo, mentre come per incanto uno spirito affine piombava su di me come gli Apostoli nella Pentecoste, questa volta lasciando lo pseudo-Apostolo senza parole piuttosto che facendogli parlare lingue nuove, per poi fuggir via.

Mi eclisso nell’oblìo, prima di tornare a pensare a quanto sia stupido seguire la nausea e la fame nello stesso momento.

Bonne nuit.

A zen garden.

There’s a sentence that floats in my mind, but I don’t want to say it.
It has a kind of copyright.

On every mid of august a new soundtrack comes out in my mind.
This time it begins with One More Dub and ends with Pow R. Toc H.

Stop wastin’ time, right.
One more breath.

One more time in the ghetto,
One more time if you please,
One.

One more time for the dying man,
One more time if you please now.

One more time.

I want you to don’t stop following me. That’s all.

See you under a fresh new summer rain.
Loud thunders.